Finalmente il tumore al cervello ha un nemico da temere e la sua scoperta la dobbiamo a due scienziati Italiani originari del Sud Italia, Antonio Iavarone (Benevento) e Anna Lasorella (Noicattaro, BA), fra i più stimati nel panorama internazionale della ricerca scientifica sui tumori. Combattere il tumore al cervello è l’obiettivo che Antonio Iavarone e Anna Lasorella si sono posti dai primi anni di studio all’Università.
Entrambi pediatri, all’inizio degli anni ’90 lavoravano nel reparto di Oncologia pediatrica. Nel 2000, resisi conto che non potevano continuare le loro ricerche in Italia, si sono spostati in America, a New York, prima alla Albert Einstein e poi alla Columbia nel 2002. Quindici anni di impegno e di successi nella ricerca in uno degli ambiti più delicati e suggestivi della medicina, la crescita del tumore al cervello dei bambini, hanno portato alla loro ultima scoperta pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. Si tratta dell’individuazione del meccanismo che favorisce lo sviluppo delle cellule staminali tumorali del glioblastoma.
Il glioblastoma è il tumore cerebrale più frequente e maligno, colpisce soprattutto, ma non solo, gli adulti, e si presenta solitamente negli emisferi cerebrali; meno frequentemente si localizza al tronco cerebrale o al midollo spinale. Nella maggior parte dei paesi europei e del Nord America, l’incidenza è di 2-3 nuovi casi all’anno su 100.000 abitanti. Il glioblastoma può manifestarsi a qualsiasi età, ma nel 70% dei casi si presenta negli adulti, con un picco tra i 45 e i 70 anni. L’età media è di circa 53 anni, con un rapporto Maschi/Femmine pari a 1,5:1.
Ad oggi non c’è una spiegazione alla maggior sopravvivenza da parte delle donne . Non è chiaro se vi siano alterazioni peculiari a carico del cromosoma X o se le cause siano da ricercarsi in altre zone del DNA delle donne. Non si sa inoltre se possano esserci effetti legati al metabolismo che possano giustificare questo riscontro. Sono pediatrici l’8,8% dei glioblastomi. Rari sono invece i casi di glioblastomi congeniti, anche se diagnosi di glioma maligno tramite ecografia in utero hanno mostrato che il glioblastoma prenatale può manifestarsi anche a 29 settimane di gestazione. I glioblastomi si presentano più spesso nella materia bianca subcorticale degli emisferi cerebrali. I siti più frequentemente affetti sono il lobo temporale (31%), il lobo parietale (24%), il frontale (23%) e l’occipitale (16%); la combinazione fronto-temporale è tipica.
I tumori si formano in seguito ad una crescita anormale e sregolata di cellule. Nei glioblastomi parte del tumore è fatta da cellule che hanno le stesse caratteristiche delle staminali neuronali, talché gli autori hanno coniato il nome di cellule staminali neoplastiche del cervello; sono queste il motore del tumore: riproducono in continuazione cellule staminali tumorali e cellule tumorali (non staminali). E sono solo le ultime ad essere soggette agli attacchi delle terapie. Le staminali neoplastiche sono di fatto refrattarie a radioterapia e chemioterapia, in quanto capaci di auto-riparare in tempo i danni effettuati dalle terapie tradizionali, prima che i danni divengano irreversibili e tali da rendere inattiva la cellula; per tanto questo tumore risulta difficile da curare e pochi sono i casi di sopravvivenza oltre i tre anni. Nonostante la breve durata dei sintomi, i glioblastomi sono spesso di grandi dimensioni al momento della presentazione e possono occupare più di un lobo. La lesione è in genere monolaterale, ma quelle del tronco cerebrale e del corpo calloso possono essere bilateralmente simmetriche. Il tumore occupa la stessa posizione nei due emisferi e si presenta con un aspetto “a farfalla”; i confini della massa neoplastica, che non è mai capsulata, sono ovunque sfumati. I sintomi del glioblastoma sono quelli aspecifici di una massa in espansione all’interno del cranio, quindi di una crescente pressione endocranica (comuni sono cefalea, nausea, vomito, dilatazione dei vasi cerebrali con alterazioni della retina fino al papilledema, emiparesi, nemianestesia, emianopsia, diplopia, afasia e crisi convulsive); la percentuale di pazienti soggetti ad attacchi epilettici arriva sino ad un terzo. Sono da segnalare infine sintomi neurologici non specifici quali l’obnubilamento della coscienza e modifiche della personalità. L’aggressività di questo tipo di neoplasia è legata a diversi fattori:
- elevata capacità delle cellule del glioblastoma di muoversi ed infiltrare il tessuto cerebrale sano;
- produzione di sostanze capaci di richiamare vasi sanguigni (e di conseguenza anche ossigeno e sostanze nutritive) all’interno del tumore in modo che questo possa crescere rapidamente;
- resistenza del tumore a diversi agenti chemioterapici.
Inoltre, al di là delle cause biologiche bisogna ricordare che trattandosi di un tumore che cresce all’interno di un organo nobile come l’encefalo anche la chirurgia non può spingersi molto al di là dei margini chiaramente visibili fra tumore e tessuto sano. Ciò comporta che molto frequentemente alcune cellule tumorali infiltranti non vengano eradicate dall’intervento chirurgico. La presenza di una neoplasia cerebrale può essere efficacemente rivelata attraverso la tomografia computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RM). Nel trattamento del glioblastoma, come per qualunque altro tumore cerebrale, distinguiamo:
- le terapie di supporto che hanno come scopo quello di alleviare i sintomi e di migliorare le funzioni neurologiche del paziente (agenti di supporto primari: farmaci antiepilettici e corticosteroidi);
- le terapie curative dei tumori cerebrali che includono essenzialmente chirurgia, radioterapia e chemioterapia.
La chiave del meccanismo che blocca la progressione del tumore, scoperta dai due scienziati e dal loro team della Columbia University di New York, si chiama Id-2, una proteina sulla quale da oltre 15 anni si sono concentrate le ricerche della coppia campano-pugliese. Tale proteina appartiene ai cosiddetti Inibitori del differenziamento (Id), che in condizioni normali permettono alle cellule staminali di moltiplicarsi, mentre in altre condizioni possono favorire lo sviluppo di un tumore. In particolare si è notato che la proteina Id-2 viene utilizzata dai tumori per creare cellule staminali di tipo tumorale. Essa si accumula nelle cellule tumorali aumentandone la malignità.
Quando si sviluppa, un tumore non riesce a disporre dei vasi sanguigni di cui ha bisogno per ossigenarsi; di conseguenza diverse regioni, tra cui il centro della massa tumorale, sono ipossiche. Le cellule in queste aree ipossiche producono il cosiddetto fattore indotto dall’ipossia (hypoxia-inducible factor, HIF) che le aiuta a portare avanti la crescita.
Quando ID2 rimane inappropriatamente attiva, a causa della ridotta concentrazione di ossigeno nel tumore in espansione, blocca il sistema di distruzione di due proteine chiamate Hypoxia Inducible Factor (Hif) alfa 1 e 2, della cui azione le cellule staminali tumorali si servono per sopravvivere in mancanza di livelli adeguati di ossigeno e nutrimento. L’ ID2 consente alle cellule più maligne del glioblastoma di adattarsi a condizioni sfavorevoli, sopravvivere anche in condizioni estreme e continuare a moltiplicarsi senza perdere l’identità staminale.
Il nemico naturale di queste due proteine è una terza proteina detta Vhl (von Hippel-Lindau), che, invece, svolge il ruolo di soppressore dei tumori; frena l’espansione del tumore bloccando i meccanismi di attivazione di ID2. Ma ecco che proprio la carenza di ossigeno provoca l’attivazione anche delle proteine Id-2 che vanno a bloccare il soppressore dei tumori Vhl, consentendo così al cancro di svilupparsi. Intuibile, a questo punto, il prossimo obiettivo della ricerca: trovare il modo di impedire a Id-2 di legarsi a Vhl. Aver scoperto come e dove il loro legame si instaura, rappresenta il passaggio fondamentale per arrivare alla individuazione di farmaci in grado di impedirlo e quindi di bloccare la crescita del tumore.
Esperimenti condotti sui topi confermano la validità di questo percorso scientifico: Iavarone ha spiegato che al momento non sono stati utilizzati farmaci, ma solo manipolazioni, grazie alle quali si è riusciti a prevenire il legame tra le due proteine, bloccando lo sviluppo di tumori aggressivi del cervello. La sfida ulteriore sarà quindi individuare composti chimici in grado di bloccare il meccanismo, ossia di disinnescare l’azione della proteina Id-2 rendendola inoffensiva. La disattivazione di ID2 priverebbe il tumore di un circuito indispensabile al suo mantenimento.
Capire la sequenza di eventi di cui il glioblastoma, e probabilmente anche altri tumori umani, si sono dotati affinché il cancro continui a vivere è un passo importante verso l’ideazione di nuove strategie di cura.
Tuttavia, non è ancora una cura, e ulteriori studi sono necessari prima che la nuova scoperta possa tradursi in una terapia. La proteina ID2 deve legarsi alla proteina VHL per favorire la crescita delle cellule staminali tumorali, pertanto, un farmaco che blocca il legame tra ID2 e VHL, di cui ora conosciamo tutti i dettagli molecolari, potrà avere un eccezionale valore antitumorale.
Michela Crudele
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