Lo conferma uno studio di Policlinico Gemelli e Università Cattolica Sacro Cuore, condotto in particolare sull’epatocarcinoma.
L’immunoterapia ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per tanti pazienti affetti da tumore. Purtroppo, però, un paziente su tre non mostra una risposta soddisfacente a questo trattamento. Per questo, gruppi di ricerca di tutto il mondo sono alla ricerca delle cause di questo fenomeno. Tra i vari filoni di ricerca in questo campo, uno riguarda la composizione del microbiota intestinale, che molti studi indicano ormai come forte “influencer” della risposta agli immunoterapici.
Uno studio di Francesca Ponziani e colleghi, pubblicato su Hepatology Communications, è andato a valutarne il ruolo nel trattamento del carcinoma epatocellulare (HCC), dimostrando che nei pazienti affetti da questo tumore del fegato uno stato infiammatorio e una composizione sfavorevole del microbiota si associano a una scarsa risposta alla terapia.
Gli studiosi hanno in particolare individuato come marcatori di risposta all’immunoterapia bassi livelli di calprotectina fecale (una proteina che segnala la presenza di un’infiammazione a livello del tratto intestinale) e un microbiota ricco di batteri “buoni”, come Akkermansia. Al contrario, elevati livelli di calprotectina e un microbiota nel quale abbondano batteri “sfavorevoli”, come Enterobacteriaciae, rappresentano indici prognostici negativi di risposta al trattamento.
Lo studio appena pubblicato ha valutato undici pazienti con HCC trattati con tremelimumab e/o durvalumab (due immunoterapici). Tutti sono stati sottoposti di base e durante il trattamento con questi immunoterapici a una serie di indagini: dosaggio di calprotectina fecale, di zonulina, di PD-L1, valutazione della composizione del microbiota intestinale. Gli autori concludono che una composizione favorevole del microbiota intestinale e un basso grado di infiammazione intestinale sono associati a una buona risposta all’immunoterapia e al raggiungimento di un controllo della malattia tumorale.
“Siamo uno dei primi centri in Italia – ricorda la dottoressa Ponziani, dirigente medico presso l’Ambulatorio di Epatologia del CEMAD della Fondazione Policlinico Gemelli, nonché ricercatrice di Medicina interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – che ha cominciato a trattare i pazienti affetti da HCC con l’immunoterapia, ancora sperimentale in questa forma di tumore. Oltre a valutare l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci, siamo andati a valutare i parametri prognostici di risposta, attraverso una serie di variabili cliniche e non. La cirrosi epatica, malattia sulla quale insorge l’epatocarcinoma, è fondamentalmente una malattia infiammatoria, che si associa ad un’alterazione dell’asse intestino-fegato molto importante. In un’ottica di medicina traslazionale, cioè di fare uno sforzo per unire tutti i pezzi del puzzle, abbiamo deciso di indagare il ruolo del microbiota intestinale nella risposta al trattamento immunoterapico in questi pazienti, per gestirli al meglio”.
Prosegue Ponziani: “Non solo abbiamo studiato la composizione del microbiota all’inizio della terapia, come parametro prognostico di risposta, ma ne abbiamo seguito l’evoluzione anche ad ogni ciclo di trattamento (ogni quattro settimane). Abbiamo inoltre preso in esame parametri di infiammazione (calprotectina, una proteina infiammatoria che deriva dai neutrofili intestinali, che dà una misura dell’infiammazione intestinale) e indici di permeabilità intestinale attraverso il dosaggio della proteina che lega il lipopolisaccaride (che dà la misura della traslocazione batterica, cioè del passaggio di batteri dall’intestino al sangue) e della zonulina (indice di permeabilità dell’intestino, cioè di compromissione della barriera intestinale)”.
I pazienti che di base presentavano calprotectina elevata (cioè con un’elevata infiammazione intestinale) e un microbiota caratterizzato da un elevato indice di disbiosi (rapporto sfavorevole tra batteri “buoni”, come l’Akkermansia, e batteri “cattivi”, come le Enterobacteriacee) sono quelli che rispondevano meno alla terapia. Ma la composizione del microbiota è un sistema dinamico che si modifica nel corso della terapia.
“Abbiamo evidenziato nel tempo delle oscillazioni e una variazione consensuale di questi parametri (es. i parametri sfavorevoli di disbiosi, di infiammazione intestinale e di compromissione della barriera andavano tutti nello stesso senso) – aggiunge Ponziani –. Al momento in cui il paziente presentava un problema (ad esempio uno scompenso della malattia del fegato o una perdita di risposta all’immunoterapia e la doveva interrompere), abbiamo notato che i parametri sfavorevoli di disbiosi e infiammazione prendevano tutti il sopravvento”.
Ma è dunque ipotizzabile “pre-condizionare” un microbiota che si presenta in assetto sfavorevole, prima della somministrazione dell’immunoterapia per migliorare la risposta a questa? “Per altre forme di tumore – spiega Ponziani – questo è stato già tentato su modelli animali, somministrando ad esempio dei Bifidobatteri; e questo sembra favorire la risposta alla terapia. In Fondazione Policlinico Gemelli stiamo già lavorando alla modulazione del microbiota, nei pazienti che hanno eventi avversi da immunoterapia (enteriti, diarrea). Visto che l’epatocarcinoma è un tumore che insorge sulla cirrosi, che è il modello della disbiosi, molto probabilmente in futuro progetteremo studi che avranno come target la modulazione del microbiota e della barriera intestinale con l’obiettivo di migliorare la risposta all’immunoterapia”.
E ancora: “Il microbiota è un importante priming per il sistema immunitario; modularlo e potenziarlo in maniera vantaggiosa per l’uomo potrebbe offrire vantaggi anche nella risposta contro il tumore nei pazienti trattati con immunoterapia. E nel frattempo suggeriamo a questi pazienti di condurre uno stile di vita sano e di essere molto prudenti con le terapie antibiotiche, perché un loro uso non strettamente necessario potrebbe essere nocivo in caso di trattamento con immunoterapici”.
“I risultati di questo studio – commenta il professor Antonio Gasbarrini, direttore del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, nonche ordinario di Medicina interna all’Università Cattolica – suggeriscono che il microbiota intestinale rappresenta uno strumento promettente per personalizzare la terapia nel paziente affetto da epatocarcinoma. Saranno naturalmente necessari ulteriori studi per definire con precisione e validare l’efficacia di questo intervento”.
Redazione Nurse Times
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