Presentati al congresso ASCO 2025 i risultati ufficiali dello studio DeLLphi-304, pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Amgen (NASDAQ: AMGN) ha annunciato ieri nuovi dati secondo cui tarlatamab ha significativamente prolungato la sopravvivenza globale (OS) da 8,3 a circa 14 mesi (13,6) rispetto alla chemioterapia standard (SOC) in pazienti precedentemente trattati affetti da tumore del polmonare a piccole cellule (SCLC).
I dati provengono dallo studio globale di Fase 3 DeLLphi-304, che ha valutato tarlatamab in pazienti con tumore del polmonare a piccole cellule in progressione di malattia dopo una precedente linea di chemioterapia a base di platino (OS mediana: 13,6; hazard ratio [HR]: 0,6; intervallo di confidenza al 95% [IC]: 0.47-0.77). I risultati vengono presentati oggi al Congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO 2025) – LBA8008.
La peculiarità di tarlatamab è la sua capacità altamente selettiva di legarsi sia alla proteina DLL3 sulle cellule tumorali, sia alla proteina CD3 sui linfociti T, attivando una risposta immunitaria diretta contro le cellule SCLC che presentano DLL3 (espressa nell’85-96% dei casi). Questa tecnologia, con cui Amgen ha trasformato il trattamento dei tumori del sangue come la leucemia linfoblastica acuta, entra ora per la prima volta in ambito oncologico applicata ai tumori solidi.
La forma a piccole cellule del tumore al polmone è nota per la sua estrema aggressività: nella maggior parte dei casi, la diagnosi avviene in fase avanzata e i pazienti spesso rispondono poco alle terapie dopo la prima linea di trattamento.
“L’approvazione Fda di tarlatamab nel 2024 è stata un traguardo importante e atteso da tempo – ha dichiarato Jay Bradner, M.D., vicepresidente esecutivo Ricerca e Sviluppo, Amgen -. Oggi questi dati confermano il suo potenziale nel trasformare gli esiti clinici e lo scenario terapeutico del tumore del polmonare a piccole cellule”.
Sulla base degli incoraggianti risultati provenienti dalla sperimentazione clinica, tarlatamab ha ricevuto un’approvazione accelerata da parte di Fda nel 2024. Nello stesso anno è stata inoltre inclusa da Time tra le “invenzioni dell’anno”.
Il tumore del polmone a piccole cellule rappresenta il 10-15% di tutti i carcinomi polmonari. Ogni anno nel mondo si registrano oltre 330 mila nuove diagnosi di SCLC, circa 6 mila In Italia, dove 30 centri specializzati sono coinvolti nella sperimentazione della molecola attraverso 8 studi clinici, alcuni già conclusi e altri in partenza, mirati ad esplorare tarlatamab in diversi regimi di combinazione e stadi di malattia. Ad oggi sono 29 i pazienti arruolati nell’ambito del programma di sviluppo clinico in Italia.
Nell’analisi ad interim programmata, lo studio DeLLphi-304 ha raggiunto il suo endpoint primario di sopravvivenza globale (OS mediana: 13,6 mesi con tarlatamab vs 8,3 mesi con SOC; HR: 0,60; IC 95%: 0,47–0,77; P < 0,001) e l’endpoint secondario di sopravvivenza libera da progressione (PFS mediana: 4,2 mesi vs 3,7 mesi; HR: 0,71; IC 95%: 0,59–0,86; P < 0,001). “I dati dello studio DeLLphi-304 segnano una svolta per i pazienti con recidiva di tumore del polmonare a piccole cellule.
Tarlatamab è associato a miglioramenti significativi, anche in pazienti con malattia ricorrente o progressiva – ha affermato Charles Rudin, M.D., Ph.D., vicedirettore del Memorial Sloan Kettering Cancer Center -. Questo studio offre anche dati confermativi su come gestire le potenziali tossicità delle terapie bispecifiche, aspetto fondamentale per migliorare l’esperienza dei pazienti”.
“Un risultato così importante in termini di sopravvivenza mediana, parliamo di circa 14 mesi, è qualcosa che nel carcinoma polmonare a piccole cellule non si era mai visto – spiega Federico Cappuzzo, Direttore Uoc Oncologia Medica 2, Istituto Nazionale Tumori Irccs Regina Elena -. In questo tumore, spesso, si contano le settimane, più che i mesi. Con tarlatamab per la prima volta abbiamo pazienti con tumore del polmonare a piccole cellule ‘lungosopravviventi’, anche oltre i tre anni dal trattamento”.
Questa innovativa molecola bispecifica della piattaforma BiTE®, è la prima mai sperimentata a dare risultati concreti in un tumore solido. La sua azione è duplice: attiva le cellule T del sistema immunitario e le guida contro un bersaglio molto particolare, la proteina DLL3.
“Perché particolare? Perché è ‘aberrante’ – precisa Cappuzzo –. Non solo nel senso tecnico (cioè espressa in modo anomalo in circa l’85% dei tumori a piccole cellule) ma anche perché è del tutto assente nei tessuti sani. È proprio questa ‘aberrazione’ che la rende un target ideale, quasi ‘segnalato’ al sistema immunitario. Il bisogno di terapie innovative, efficaci e accessibili è altissimo”.
Prosegue Cappuzzo: “Questo trattamento rappresenta una sfida per tutta la comunità scientifica, che si trova oggi di fronte a un nuovo ‘mondo’ terapeutico, che richiede esperienza clinica, attenzione alla safety e a percorsi di gestione dedicati. Come già accaduto per i tumori del sangue, anche qui sarà centrale l’apprendimento sul campo per integrare al meglio l’uso di questi farmaci nella pratica clinica”.
Redazione Nurse Times
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