Nella prevenzione secondaria del tumore al seno esistono ancora profonde disuguaglianze in Italia. Attualmente in alcune Regioni il programma di screening inizia a 45 anni, in altre solo dai 50. In alcune arriva fino ai 69 anni e in altre si estende fino ai 74. Sono differenze che creano un’ingiustizia strutturale nel sistema sanitario, influenzando direttamente le possibilità di individuare precocemente il carcinoma più frequente in Italia. La prevenzione della malattia è così negata a oltre 2 milioni di donne nel nostro Paese.
Parte da questi dati la nuova campagna di Europa Donna Italia per sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni sulla disomogeneitĂ dell’etĂ di accesso allo screening mammografico. L’iniziativa, denominata “La fortuna costa (la sfortuna di piĂą)”, chiede un diritto alla prevenzione uguale per tutte le pazienti, indipendentemente da dove vivono.
Oggi in Italia – informa una nota – ci sono cittadine “fortunate”, perchĂ© risiedono nelle poche regioni (appena 6 su 20) che hanno adottato la piena estensione della fascia di etĂ dello screening dai 45 ai 74 anni, e cittadine “sfortunate”, perchĂ© abitano in regioni dove tale estensione è solo parzialmente attiva.
“La possibilitĂ di prevenire untumore al seno, però, non può dipendere dalla fortuna – commenta Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia -. Sono disparitĂ che non possiamo accettare, perchĂ© disattendono le Linee guida europee, che fin dal 2017 chiedono di ampliare la fascia di etĂ dello screening mammografico dai 45 ai 74 anni. Inoltre creano differenze reali tra le cittadine circa le possibilitĂ di salute e anche di salvezza dal tumore al seno”.
E ancora: “Ci uniamo così alla voce del presidente Mattarella nel ricordare che la copertura universale e l’accesso uniforme alle prestazioni sull’intero territorio della Repubblica sono obiettivi irrinunciabili del nostro Servizio sanitario, e i divari regionali nella sanitĂ devono essere superati al piĂą presto”.
“Con oltre 53.600 nuove diagnosi registrate nel 2024 – evidenzia Paola Mantellini, direttrice dell’Osservatorio Nazionale Screening – il tumore al seno si conferma il piĂą frequentemente diagnosticato tra le donne in Italia e, purtroppo, anche il piĂą frequente per mortalitĂ . Se viene intercettato agli esordi, però, tutto cambia: si può curare con terapie meno invasive e piĂą efficaci, interventi chirurgici piĂą conservativi e una sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi, che nel nostro Paese supera ormai il 90%”.
Sempre Mantellini: “Per questo lo screening può essere un salvavita e l’estensione della sua fascia di etĂ , come anche documentato dalle Linee guida europee e italiane, è cruciale per garantire maggiore quantitĂ e qualitĂ di vita. Per questo motivo è importante, inoltre, dare una formalizzazione a questa proposta introducendo l’ampliamento nei Livelli essenziali di assistenza e facilitando quindi l’allargamento anche nelle Regioni in cui vigono i piani di rientro”.
“Del resto il programma di screening mammografico organizzato – afferma Silvia Deandrea, presidente della Federazione delle associazioni degli screening oncologici e del Gruppo italiano screening mammografico – chiama periodicamente le donne a effettuare una mammografia, garantendo che l’esame venga eseguito in modo totalmente gratuito, secondo parametri certificati di qualitĂ ed efficacia. Le immagini radiologiche sono interpretate in doppio cieco da due radiologi indipendenti per massimizzare l’accuratezza diagnostica e i centri in cui viene svolto lo screening sono direttamente collegati alle Breast Unit, strutture multidisciplinari specializzate che assicurano una presa in carico tempestiva e completa in caso di diagnosi”.
“Ampliare la fascia di etĂ a cui lo screening è garantito rappresenta certamente un costo per il Servizio sanitario nazionale – aggiunge D’Antona -, ma non farlo sarebbe un clamoroso autogol. A pagarne le conseguenze sarebbero in primo luogo le donne, private della possibilitĂ di intercettare per tempo un tumore che, se diagnosticato precocemente, può essere curato. Ma a perdere è anche l’intera collettivitĂ . Investire nella prevenzione significa infatti evitare i costi ben piĂą alti che si sosterrebbero a curare tumori scoperti in fase avanzata a causa di diagnosi tardive”.
Conclude D’Antona: “Ci teniamo a sottolineare che, quando parliamo di costi, non ci riferiamo solo a quelli economici, ma anche a quelli sociali, lavorativi, psicologici e, non ultimi, affettivi: quando una donna si ammala di tumore al seno, tutto il sistema di relazioni e affetti intorno a lei ne è colpito”.
Redazione Nurse Times
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