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Tumore al polmone: l’importanza dello screening con Tac a basso dosaggio

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Tumore al polmone: possibile svolta dalla Tac a basso dosaggio
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La sfida al tumore del polmone potrà essere vinta soltanto puntando in maniera decisa sulla diagnosi precoce. L’offerta ai fumatori di una Tac spirale con cadenza annuale o biennale – aspetto ancora da definire – ha infatti un potenziale senza eguali. La quota di pazienti vivi due decenni dopo aver ricevuto una diagnosi attraverso lo screening radiologico può essere fino a quattro volte superiore a quella che si rileva in Italia ad appena un lustro dalla scoperta della malattia.

Il confronto prende spunto dalle prime rilevazioni raccolte nelle persone a rischio “osservate” con l’imaging per la prima volta vent’anni fa. Dati incoraggianti oltre ogni misura, che in futuro potrebbero portare il tumore del polmone a essere considerato alla stregua di altri molto più curabili.

“Penso alle neoplasie della tiroide e al linfoma non Hodgkin”, dichiara Emanuela Taioli, alla guida del centro per lo studio delle malattie toraciche e dell’Istituto di epidemiologia traslazionale del Tisch Cancer Institute, la struttura del Mount Sinai Medical Center (New York) che si occupa della ricerca e della cura delle malattie oncologiche.

Italiana di nascita e di formazione, la specialista fa parte del gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato dalla radiologa Claudia Henschke (direttrice del programma di diagnosi precoce polmonare e cardiaca) che ha aperto la strada all’uso della Tac a basso dosaggio nella diagnosi precoce del più letale del tumore.

Un’iniziativa parte di un più ampio programma di ricerca (PLCO Cancer Screening Trial) decollato dopo aver registrato i limiti della radiografia nello scovare le più piccole e indolenti forme di cancro polmonare. Da qui il progetto I-Elcap, che ha svelato per la prima volta i dati di follow-up ventennale.

Attraverso le pagine della rivista Radiology i camici bianchi statunitensi hanno scolpito nella pietra i numeri che dimostrano l’efficacia dello screening effettuato con cadenza annuale nelle persone a rischio. Ovvero: uomini e donne con più di quarant’anni, fumatori o ex fumatori (anche di meno di dieci pacchetti di sigarette all’anno) e persone esposte in maniera duratura al fumo passivo.

Lo studio ha confermato il beneficio della Tac spirale nella gestione della malattia fino a vent’anni dall’ingresso nel percorso di diagnosi precoce. Il tasso medio di sopravvivenza legato al tumore è risultato infatti sovrapponibile a quello decennale, già noto dal 2006 e pari all’81 percento. Segno che, con ogni probabilità, già da questo primo traguardo si comincia a rilevare un “plateau” dopo il quale le conseguenze della malattia tendono a stabilizzarsi. Se si pensa che in Italia la sopravvivenza a cinque anni per il tumore del polmone non supera il 20 percento, il beneficio dello screening è già evidente.

Guardando a quell’87 per cento attribuibile a coloro che avevano ricevuto la diagnosi di una neoplasia in stadio 1, emerge però l’intero potenziale di un simile approccio nel ridurre l’impatto sociale della malattia. Ma pure i costi relativi alla sua gestione, saliti come riflesso della disponibilità di nuovi farmaci (rispetto alla sola chemioterapia) e di approcci chirurgici sempre più contenuti che stanno incrementando la sopravvivenza. Il loro impatto è fuori discussione e quantificabile in una riduzione annua della mortalità superiore al sei per cento dall’avvento dell’immunoterapia.

Ma le ricadute determinate dalla diagnosi precoce nei fumatori sono quasi di tre volte superiori, come evidenziato in uno studio pubblicato ad agosto sull’European Journal of Cardio-Thoracic Surgery. “Quello che abbiamo osservato – prosegue Taioli, che ha coordinato il lavoro – è che un paziente con una malattia al quarto stadio trattato con l’immunoterapia vive in media quasi undici mesi in più. Mentre una diagnosi agli stadi 1 e 2 è in grado di determinare un aumento della sopravvivenza mediana di 34 mesi”.

Nelle fasi più avanzate, dunque, anche il miglior trattamento immunoterapico disponibile determina un beneficio modesto rispetto a quello dato dalla possibilità di anticipare la diagnosi.

“Nel caso del polmone, trovare una lesione non superiore a un centimetro fa la differenza tra la vita e la morte. Vuol dire poter asportare una malattia che non si è diffusa. E poter farlo con tecniche sempre meno invasive, con cui si preserva la funzionalità respiratoria dei pazienti”, puntualizza l’esperta.

Nonostante evidenze consolidate e condivise, però, la consapevolezza dell’importanza della diagnosi precoce è ancora bassa anche tra i medici. “Negli Stati Uniti, nonostante lo screening venga offerto da oltre vent’anni e ormai da quasi tutte le assicurazioni, soltanto il cinque per cento dei cittadini eleggibili si sottopone annualmente alla Tac spirale”.

La maggiore valenza dello screening rispetto al massiccio ricorso alle terapie non riguarda soltanto l’aspetto sanitario. Ma pure quello legato alla sostenibilità economica, cruciale per un sistema assistenziale come quello italiano. Diverse sono le prove già disponibili, in questo senso.

Le analisi condotte in questi anni sull’altra sponda dell’Atlantico portano a stimare in oltre 136 mila dollari l’investimento necessario per aumentare di un anno la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita di un paziente ricorrendo all’immunoterapia. Tutto ciò senza considerare la spesa legata alla gestione degli effetti collaterali.

Considerando che negli Stati Uniti il valore di una Tac si attesta sui 300 dollari, la sua diffusione su larga scala determinerebbe una spesa inferiore del quaranta per cento (81 mila dollari) per raggiungere lo stesso beneficio su larga scala.

Nella comparazione tra costi e benefici dei due approcci – in molti casi comunque non esclusivi, visto peraltro il crescente ricorso all’immunoterapia anche nei pazienti operabili – l’ago pende dunque dalla parte dello screening. Almeno se si guarda alla popolazione dei forti fumatori fino a 75 anni, dal momento che l’impatto sulla riduzione della mortalità tende a ridimensionarsi dall’inizio della nona decade di vita.

Oltre all’ampiezza della fascia di età a cui riservare lo screening, sono tre i punti da chiarire: l’entità dell’intervallo di tempo tra un controllo e un altro (meglio ogni anno o biennale?), la necessità di affidare o meno l’indagine soltanto ai centri di maggiore esperienza (per evitare di vedere crescere il tasso di falsi positivi) e l’opportunità di estenderla anche ai non fumatori.

Una scelta che con il tempo potrebbe divenire necessaria. “Il prossimo passo – precisa Taioli – sarà rappresentato dalla valutazione del rischio professionale. Dovremo capire quali categorie di lavoratori potrebbero trarre benefici dallo screening e quali potranno invece farne a meno”. Per poi decidere come comportarsi con chi vive in luoghi particolarmente inquinati o è regolarmente esposto al fumo passivo. L’obiettivo è definire un’offerta cucita su misura, sulla base del rischio di ogni persona.

Non soltanto prevenzione del tumore del polmone. Lo screening a basso dosaggio con la Tac spirale è in grado di rilevare anche la presenza di malattie respiratorie croniche e cardiovascolari correlate al fumo. Uno studio pubblicato nel 2021 sulla rivista Clinical Imaging – sempre partendo dalla coorte dello studio I-Elcap – ha evidenziato come il 77 per cento pazienti sottoposti a screening convivesse con una Bpco e il 25 per cento con una diagnosi di enfisema mai rilevate prima.

Un lavoro pubblicato pochi mesi prima sul Journal of Thoracic Imaging aveva invece portato alla luce l’elevata ricorrenza di calcificazioni coronariche di entità moderata o grave nelle persone “osservate” con la Tac spirale. Problemi di cui i pazienti non erano a conoscenza e che in tre quarti dei casi hanno portato all’introduzione o alla modifica di un piano terapeutico.

Redazione Nurse Times

Fonte: AboutPharma

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