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Tumore a 35 anni e poi due figlie: la storia di Elisabetta

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Tumore a 35 anni e poi due figlie: la storia di Elisabetta
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Anni fa ricevere la notizia di essere malate di cancro significava rinunciare al desiderio di maternità. Oggi, però, i dati scientifici raccolti e analizzati nel primo studio internazionale su “Tumore al seno associato a mutazione BRCA e gravidanza”, pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama e a cui ha contribuito con l’arruolamento delle storie cliniche delle donne pazienti l’associazione aBRCAdabra, forniscono una nuva speranza alle donne interessate.

Emblematica è la storia della 35enne Elisabetta, donna mutata BRCA2 che, come ogni donna mutata, il cancro lo ha visto prima nel genitore da cui ha ereditato la mutazione oncogenetica e poi su se stessa.

“Nel 2015 – racconta – mia madre scoprì di avere un tumore al seno e partì con intervento e chemio. Io avevo 35 anni e, spaventata, chiesi al mio medico di fare un controllo al seno. Dopo una mammografia, negativa ci fu un’ecografia positiva. Così, dopo nemmeno due mesi dalla diagnosi di mia mamma, arrivò la mia”. A riportare la storia, che incarna perfettamente i risultati del primo studio internazionale sulla sicurezza della gravidanza dopo un tumore BRCA, è l’associazione aBRCAdabra, la prima nata per le persone mutate.

La storia

Elisabetta segue al San Matteo di Pavia il percorso idoneo a una donna mutata: test genetico che darà responso di positività, mastectomia bilaterale e ricostruzione del seno. Poi arriva la terapia con la prescrizione di cinque anni di farmaco antiormonale che rischia di azzerare quel progetto di avere figli che tanto desiderava e che cercava da qualche mese, poco prima che arrivasse il verdetto del tumore. Ma lei, secondo precisi criteri, può interromperla prima perché risponde ad alcuni criteri – come ha stabilito un altro studio denominato “Positive” – per dedicarsi al sogno di un figlio.

Lo studio

“Un tempo la maternità dopo la diagnosi di tumore veniva controindicata. Ora, grazie a questo studio internazionale, è possibile dire con dati solidi che la gravidanza dopo il cancro e le terapie è sicura sia per la mamma, per le recidive di malattia, che per i bambini, in merito a complicanze o malformazioni”.

È la sintesi rivoluzionaria del primo studio internazionale che ha reclutato “piu di 4.700 donne da 78 centri sotto i 40 anni”, fornita da Matteo Lambertini, ricercatore e coordinatore dello studio, professore associato all’Università di Genova, oncologo al Policlinico San Martino di Genova e membro scientifico dell’associazione aBRCAdabra. Il messaggio deve arrivare alle pazienti, ma anche agli oncologi.

“Ci sono ancora correnti di pensiero diverse tra gli oncologi – aggiunge a tal proposito lo specialista -. Uno su tre, infatti, non è convinto che la gravidanza sia sicura dopo un tumore della mammella e, se la donna ha tumore e mutazione, questa percentuale aumenta e dal 30% sale al 45%. Dunque c’è tanto da fare”.

E ancora: “In passato non c’erano questi dati. Ora sì, grazie anche alle pazienti che hanno aderito. Si tratta di donne molto giovani: l’80% ha avuto una gravidanza naturale, il 20% con PMA. Il prossimo passaggio è l’analisi della sicurezza di queste tecniche che utilizzano ormoni. Già in estate avremo i primi esiti. Diverse persone che collaborano con l’associazione aBRCAdabra hanno contribuito all’arruolamento delle pazienti, coordinate dai diversi colleghi del board scientifico e presenti nei diversi centri dello studio”.

L’associazione

Sempre Lambertini: “L’associazione ha attivamente contribuito allo studio stesso attraverso l’arruolamento di associate con i criteri idonei. La disponibilità delle giovani associate all’arruolamento è stata totale, essendo il quesito della ricerca una domanda percepita da loro stesse come rilevante. Sono numerose, infatti, le donne che, pur in assenza di dati certi sulla sicurezza oncologica, hanno deciso di diventare madri dopo un tumore al seno BRCA associato in età giovanile. Oggi finalmente siamo in grado di rassicurare queste donne, fin dallo sviluppo della malattia, che esiste un futuro possibile anche per chi progettava una maternità”.

La chirurga senologa Alberta Ferrari, responsabile della struttura semplice dipartimentale Tumori eredo-famigliari al Policlinico San Matteo, in qualità di responsabile locale per questo studio, ha sottolineato il ruolo propositivo dell’associazione nell’indagine e la svolta di speranza che porterà nella vita di tante giovani donne.

“L’associazione è sensibile al tema fin dalla sua nascita – ricorda Ferrari, cofondatrice e presidente onoraria dell’associazione -. È datato 2014, infatti, l’incontro di lavoro su tumore al seno BRCA e maternità che ha visto arrivare da tutta Italia giovani donne con i figli, anche piccoli, per un confronto e aggiornamento su questo tema. È emozionante, esattamente dopo dieci anni da quell’evento, poter rassicurare sulla possibilità di una possibile gravidanza dopo un tumore al seno. Certamente è qualcosa a cui pensare subito, preservando la fertilità della donna da possibili danni collaterali delle cure oncologiche, e decidere insieme la tempistica più adeguata al caso specifico”.

Puntualizza Lambertini: “Le linee guida ci sono già, ma sul tema dell’oncofertilità dobbiamo discutere sempre di più e tempestivamente con le giovani BRCA mutate molto giovani, che peraltro hanno un tasso di gravidanza dopo il tumore alla mammella più alto delle donne non mutate, sia per la giovanissima età della diagnosi sia perché molte – le BRCA1 – hanno spesso tumori triplo negativi. Ora lo studio porta evidenze scientifiche per dire che la gravidanza è sicura”.

La speranza

La storia di Elisabetta può diventare un simbolo per tante e lei, mentre guarda le sue piccoline, ne è felice: “Dopo due anni ho potuto interrompere la terapia ormonale, e da qui i diversi tentativi e poi finalmente la gravidanza. Ho incontrato i medici giusti. Devo dire grazie al dottor Fedro Peccatori (IEO) e alla ginecologa Chiara Cassani (San Matteo Pavia), che mi ha seguito come un angelo custode. Loro, con i medici che ho incontrato lungo la mia strada, mi hanno incoraggiata e ascoltata. Se oggi sono qui con le mie bambine, lo devo a loro”.

Redazione Nurse Times

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