La carenza di personale oss e, in minor misura, infermieristico sta mettendo seriamente a rischio la qualità dell’assistenza nelle case di riposo della provincia di Treviso (quasi 60 strutture pubbliche e private), dove mancano all’appello tra i 500 e i 600 operatori socio-sanitari, e fra gli 80 e i 100 infermieri.
Un problema che si somma ad altri, come le liste d’attesa che non calano, e l’aumento delle rette. Un tema, quest’ultimo, sul quale si è ora aperto anche un fronte giuridico, con le cause intentate dai famigliari degli ospiti con patologie più gravi, che invocano la totale copertura delle rette da parte dello Stato.
In alcune case di riposo della provincia di Treviso non è garantita la presenza notturna degli infermieri, che la legge pure raccomanda in caso di gravi patologie degli ospiti e che talvolta è sostituita dal turno di reperibilità. Va da sè che non è garantita nemmeno l’alzata dal letto degli ospiti non autosufficienti due volte al giorno. Senza dimenticare il fisiologico smaltimento di ferie e riposi da parte del personale.
Restando in tema di infermieri, ormai i due terzi di quelli in servizio nella Marca Trevigiana sono stranieri: una conferma di come l’attrattività della professione, a queste latitudini, sia in deciso ribasso, se non sta proprio scomparendo.
“Scenari e realtà inevitabili – spiega Giorgio Pavan, direttore dell’Israa (Istituto per servizi di ricovero e assistenza agli anziani), la più grande Ipab del Veneto, intercettato dalla Tribuna di Treviso -. I contratti delle Ulss sono migliori, ogni concorso o selezione della sanità pubblica drena personale alle case di riposo. Per questo le nostre assunzioni sono praticamente a tempo, e dopo pochi anni si deve ripartire, cercando sempre altrove, al Sud o all’estero. Determinanti, in questo contesto, diventano alcuni benefit, come la garanzia di un alloggio per i primi mesi di servizio”.
Redazione Nurse Times
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