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Terapie farmacologiche: la responsabilità è interdisciplinare

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Terapie farmacologiche: la responsabilità è interdisciplinare
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Intervista al giurista Luca Benci, dopo una sentenza della Cassazione sul tema (a cura di Opi Firenze Pistoia).

Se la somministrazione del farmaco è sbagliata, la responsabilità è sia dell’infermiere che del medico: entrambi devono verificare la validità delle scelte degli altri. Ad affermarlo è la sentenza della Cassazione n. 20270/2019, che investe gli infermieri di precise responsabilità nell’ambito della somministrazione delle terapie farmacologiche. Responsabilità che finora sembravano appannaggio dei soli medici. Un tema di profondo interesse per Opi Firenze-Pistoia, che ha voluto approfondire i risvolti della sentenza insieme a Luca Benci (foto), giurista toscano nominato componente non di diritto del Consiglio superiore di sanità per il triennio 2019-2022.

Per la sentenza, anche se la prescrizione dei farmaci resta al di fuori delle competenze dell’infermiere, questi svolge un ruolo di garanzia, limitato al confronto con il medico: l’infermiere non deve solo somministrare in modo meccanicistico la terapia, ma deve farlo in maniera collaborativa con il personale medico, per richiamarne l’attenzione su errori che sia in grado di notare; deve segnalare eventuali anomalie o “incompatibilità” tra farmaci, tra essi e la patologia o tra particolari condizioni e la cura prevista. Secondo la Cassazione, inoltre, il medico di riferimento non può essere uno specializzando non in possesso delle informazioni necessarie a comprendere e correggere l’errore, ma un medico strutturato del reparto interessato.

Dottor Benci, come commenta la sentenza n. 20270/2019 della Cassazione?
«Si tratta di una questione che si trascina da molto tempo: il fatto è del 2011 e riguarda due medici specializzandi, un medico strutturato, uno studente di medicina e due infermiere. Tutta la vicenda ruota attorno a un errore di trascrizione di uno specializzando che ha portato a somministrare 90 anziché 9 mg di Vinblastina a una donna di 33 anni affetta da linfoma di Hodgkins. La trasmissione di un fax all’unità addetta alla preparazione degli antiblastici, l’arrivo in reparto del medicinale in dosi errate e la relativa somministrazione hanno causato la morte della donna. La sentenza di primo grado ha condannato tutti gli imputati ad eccezione dello studente di medicina: il fatto ha coinvolto quindi un’intera equipe interprofessionale. I due specializzandi sono stati condannati in primo e in secondo grado per omicidio colposo. Una delle due infermiere, che ha materialmente somministrato il farmaco, ha patteggiato una pena di 2 anni e 8 mesi, mentre l’altra è rimasta nel processo».

Cosa viene imputato all’infermiera?
«Per lei, che davanti a una prescrizione anomala (il farmaco era in una quantità tale da non poter essere, come da procedura, preparato in siringa  e somministrato “in bolo”) ha telefonato al reparto e ha ricevuto rassicurazioni da una specializzanda, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio ad altra Corte d’Appello (siamo al IV grado di giudizio): il 18 luglio sarà valutato il comportamento dell’infermiera, perché quello che le si imputa è che non doveva fare riferimento a una specializzanda, ma rapportarsi con il medico di reparto. In realtà l’infermiera ha seguito la prassi ospedaliera che prevede rapporti da “servizio a servizio” e che non prevede invece usualmente di rintracciare il medico tramite centralino. La Corte d’Appello, che in primo grado l’ha condannata a 4 anni, ha stabilito che comunque si debba tener conto del suo comportamento».

Alla luce di questa sentenza, emergono per gli infermieri precise competenze e responsabilità…
«Certo, nell’autonomia della somministrazione dei farmaci. L’infermiere deve sempre fare una valutazione di quello che sta somministrando».

Quali comportamenti devono tenere i professionisti sanitari, e in particolare gli infermieri, per garantire l’appropriatezza delle cure e la sicurezza della persona?
«È il profilo professionale dell’infermiere a stabilire che questi deve garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. Non si tratta di pura e semplice somministrazione, ma di somministrazione corretta. Se c’è qualcosa che non va all’interno del processo di somministrazione, se accade qualcosa di errato o manifestamente errato, all’infermiere spetta un controllo sull’operatore medico, ovviamente nei limiti delle proprie conoscenze».

Redazione Nurse Times

 

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