Due casi emblematici (Ada e Mario) riaccendono il dibattito sul diritto a morire e sulle responsabilità delle strutture pubbliche, tra sentenze della Consulta, attese procedure ospedaliere e iniziative legali.
Le cure di fine vita e il tema del suicidio medicalmente assistito sono diventati nodi centrali della sanità e della bioetica italiana. Per capire benefici, limiti e procedure è necessario partire dal quadro giuridico: la Corte costituzionale ha indicato i presupposti perché l’aiuto al suicidio non sia punibile, affidando al Servizio Sanitario Nazionale e ai comitati etici il compito di verificare i requisiti e le modalità operative.
Cos’è il suicidio medicalmente assistito in Italia
Nel nostro ordinamento la distinzione pratica è netta:
- il paziente si autosomministra il farmaco fornito dalla struttura sanitaria;
- il farmaco è messo a disposizione da una struttura pubblica ma la somministrazione è compito del paziente;
- la somministrazione attiva da parte del medico (eutanasia attiva) rimane, nella prassi, distinta e soggetta a limiti giuridici molto rigidi.
I casi recenti: Ada e Mario — perché sono importanti
Il caso di Ada, una donna di 44 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) con rapida progressione della malattia, è un esempio recente di come una ASL possa certificare la sussistenza dei requisiti previsti dalla giurisprudenza per l’accesso all’aiuto al suicidio. Secondo le comunicazioni ufficiali, l’Azienda Sanitaria ha verificato i requisiti e ha annunciato la prossima individuazione del farmaco e delle modalità di autosomministrazione. Questo passaggio pratico — dall’accertamento clinico alla predisposizione logistica del farmaco — è ciò che concretizza l’orientamento espresso dalla Consulta.
Il caso noto come “Mario” (Federico Carboni), che nel 2022 è stato il primo soggetto a ottenere l’accesso al suicidio assistito sulla base della sentenza della Consulta, rimane paradigmatico: la vicenda ha richiesto l’intervento dei comitati etici e delle strutture sanitarie per deliberare il farmaco appropriato (in quella sede si era discusso, ad esempio, del tiopentone) e ha mostrato come l’iter può richiedere ricorsi, ricognizioni e valutazioni cliniche dettagliate.
Procedura, ruoli e criticità operative
Le tappe operative, sulla base delle indicazioni emerse nei casi giudiziari e nelle prassi regionali, sono in genere:
- Richiesta formale del paziente e valutazione preliminare clinica.
- Verifica da parte di strutture pubbliche (ASL/ospedale) e coinvolgimento del comitato etico regionale o aziendale.
- Accertamento della volontà libera, informata e persistente del paziente (documentazione, colloqui psichiatrici/psicologici quando necessari).
- Individuazione del farmaco e delle modalità tecniche (con indicazioni precise per garantire dignità, sicurezza e assenza di sofferenza).
- Esecuzione: la somministrazione resta a carico del paziente; la struttura assicura la fornitura e le condizioni per l’autosomministrazione.
Le criticità osservate nella prassi nazionale includono ritardi nell’attivazione delle procedure da parte delle ASL, differenze regionali nelle prassi e la necessità di linee guida nazionali più chiare per ridurre contenziosi e incertezze. In alcune realtà regionali si sono registrate invece procedure più snelle, anche in seguito a legislazioni regionali specifiche che però possono essere impugnate (es.: recenti sviluppi in Toscana).
Impatto sui professionisti sanitari (infermieri, medici, servizi ospedalieri)
Per infermieri e operatori sanitari le implicazioni pratiche sono concrete: gestione del percorso assistenziale, supporto al paziente e ai familiari, preparazione degli ambienti e delle forniture farmaceutiche, collaborazione con i comitati etici. La formazione su modalità cliniche, aspetti legali e gestione della sofferenza è una best practice ormai impellente nelle strutture che affrontano queste richieste. Le strutture ospedaliere devono predisporre protocolli che tutelino sia il diritto del paziente sia la responsabilità del personale.
Davide Di Pierro
Fonti:
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