Se il medico sbaglia il dosaggio nella prescrizione di un farmaco e l’infermiere somministra il dosaggio errato sono entrambi responsabili di un eventuale danno o della morte del paziente. Questo è quanto è emerso da numerose sentenze riguardanti casi di malasanità degli ultimi anni
L’infermiere non può più essere considerato un mero esecutore di prescrizioni mediche ma, almeno per la legge, è considerato un professionista intellettuale in grado di compiere interventi autonomi anche di correzione o di integrazione della prescrizione medica. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione – III sezione civile nella sentenza del 12 aprile 2016, n. 7106 che è intervenuta nuovamente in materia di responsabilità di equipe con particolare riferimento al rapporto medico-infermiere. Appare ormai evidente che la responsabilità sia condivisa in ogni caso di errore di prescrizione e/o di somministrazione farmacologica.
Il rigido schema che suddivide le competenze attribuendo al medico la responsabilità della prescrizione e all’infermiere la sola responsabilità della somministrazione del farmaco è più volte stato smantellato dai giudici. In molte sentenze è chiaramente scritto che non é più possibile considerare l’infermiere come un mero esecutore di volontà mediche anche in tema di somministrazione di terapia farmacologica.
Analizzando l’evoluzione normativa riguardante la somministrazione di farmaci possiamo notare come nel corso dei decenni anche i termini utilizzati dal legislatore siano variati.
Il primo mansionario dell’infermiere, datato 1940, attribuiva all’infermiere il compito di somministrazione dei farmaci “ordinati” dal medico. Nel 1974 il mansionario attribuiva il compito di somministrare i farmaci “prescritti” dal medico. L’ultimo step normativo riguarda il DM 739 del 1994 che attribuisce agli infermieri la “corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche”.
Questa evoluzione normativa è stata alla base della decisione della Suprema Corte di Cassazione.
L’episodio incriminato é accaduto all’interno di un reparto di degenza. Il farmaco incriminato è il cloruro di potassio che sarebbe stato prescritto senza diluizione in dose non precisata nella sentenza.
Secondo i protocolli in uso tale dosaggio avrebbe dovuto essere diluito in 500 ml di soluzione fisiologica. La somministrazione senza diluizione ha portato a morte il paziente. In primo grado il Tribunale di Carrara ha condannato il medico e assolto l’infermiera.
In secondo grado la Corte di appello di Genova, con sentenza confermata in cassazione, riconosce la responsabilità anche dell’infermiera analizzando diversi punti:
a) compete all’infermiera il controllo sulla prescrizione medica o deve considerarsi come figura puramente esecutrice?
b) ha pregio la riferita inesperienza dell’infermiera in merito alla somministrazione di farmaci per via endovensoa?
c) in caso di prescrizione medica errata l’infermiera può disattendere la prescrizione medica
Per quanto riguarda i punti ‘A’ e ‘C’ i giudici riconoscono in capo all’infermiera la possibilità di delibazione sulla prescrizione medica errata o incompleta con conseguente “onere di adeguarne l’esecuzione ai protocolli medici vigenti”, pertanto è dovere dell’infermiere correggere eventuali errori di prescrizione medica.
Quanto al punto ‘B’ la Corte di appello di Genova riconosce corresponsabile l’infermiera poiché “doveva appartenere al bagaglio professionale dell’infermiera, all’esito di un percorso formativo che comprendeva 30 ore di farmacologia e 140+190 ore di tecniche infermieristiche, la conoscenza della portata letale di una iniezione di cloruro di potassio non diluito”.
Secondo i giudici “sarebbe stato sufficiente, nell’eseguire una prescrizione medica errata non nella sua sostanza, aggiungervi l’accorgimento della diluizione, per rendere innocua e corretta la terapia”.
Pertanto l’infermiere non è “mero esecutore materiale delle prescrizioni impartite dal personale medico” possedendo competenze che gli consentono di chiedere quantomeno conferma dell’esattezza di una determinata procedura.
La sentenza stabilisce che per non incorrere in responsabilità è necessario che l’infermiere intervenga direttamente sulla prescrizione medica errata o incompleta non meramente disattendendola, ma, integrandola e modificandola per ricondurla ai protocolli in uso.
La corresponsabilità dell’infermiera è quindi evidente poiché “mancó di rilevare”, avendone le conoscenze, l’inesattezza o la grave incompletezza della procedura. Tutto ciò non esenta il medico dall’onere di impartire una prescrizione terapeutica precisa e completa ponendo particolare attenzione a farmaci con complicanze potenzialmente letali quali il potassio cloruro non diluito.
Continuando a leggere la sentenza si evidenzia che nel processo di somministrazione dei farmaci “l’infermiere, non esaurisce il proprio apporto nella mera esecuzione materiale della terapia prescritta, proprio perché in possesso di professionalità e competenze specifiche, non può esimersi, ove si presti il caso, dalla opportuna interlocuzione con lo stesso medico, al fine di ricevere conferma della correttezza della prescrizione”.
In caso di prescrizione incompleta, errata o insufficiente è dovere dell’infermiere intervenire in modo interlocutorio e, nel caso, integrare la prescrizione medica. Questo in estrema sintesi il sunto della vicenda giudiziaria che commentiamo e la giurisprudenza più recente.
Simone Gussoni
Fonte: Quotidianosanità
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