Commento a sentenza Cass. Sez. IV penale n. 03206 del 23 gennaio 2019.
La Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna del pediatra di famiglia per omicidio colposo ai danni del paziente X per aver cagionato colposamente il decesso del piccolo di 17 mesi. Il pediatra ha omesso di visitarlo nonostante il bambino continuasse ad avere febbre elevata, come comunicato telefonicamente dalla madre, limitandosi a prescrivere solo paracetamolo in supposte e poi iburpofene. Successivamente per non aver formulato una corretta diagnosi nonostante il bambino avesse manifestato un’importante e improvvisa diminuzione della temperatura corporea.
Il pomeriggio, dopo averlo visitato, non ha evidenziato la comparsa dell’esantema petecchiale sul corpo, segno di grave infezione batterica in atto concludendo che non si riscontrava nulla di grave, ma semplici sintomi di influenza. Inoltre non ha valutato i paramenti vitali del piccolo, parametri che avrebbero fornito dati obiettivi sul quadro clinico severo di polmonite in atto, impedendo così che fossero fornite le cure necessarie e vitali, cosicché, ha cagionato il decesso del bambino nella stessa sera.
La Corte di Appello sulla base delle valutazioni processuali ha ritenuto la condotta dell’imputata affetta da grave negligenza e imperizia, atteso anche che, l’imputata non misurò la temperatura del bambino, sottovalutando pesantemente il quadro complessivo che aveva dinanzi, connotato da un abbassamento forzoso della temperatura non accompagnato dal benessere generale del piccolo. Durante la visita il pediatra non riscontrò alcun rumore polmonare pur essendosi resa conto delle difficoltà respiratorie del piccolo e senza alcun tipo di approfondimento prescrisse in via cautelativa l’antibiotico Augmentin stante che, all’asilo nido si era diffusa la scarlattina.
I giudici di Appello hanno poi evidenziato il breve lasso temporale intercorso fra la visita della dottoressa e l’intervento, la sera stessa del 118 chiamato dalla madre verso le 20.00, ed il rapido peggioramento delle condizioni respiratorie e generali del bambino in poco più di due ore dalla visita, fondando anche su tale aspetto l’imperizia e la negligenza della odierna ricorrente, ritenendo che la stessa avrebbe comunque dovuto cogliere la gravità della situazione clinica di setticemia in atto e la necessità di procedere a specifici riscontri mediante esami di laboratorio adeguati.
Avverso la sentenza di Appello propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputata lamentando che;
- deve dichiararsi la nullità della sentenza di appello per la mancata assunzione delle prove decisive sulla richiesta in sede di appello di procedere all’esame dibattimentale della madre del piccolo e all’espletamento della perizia medico legale. In funzione della problematica dell’elevata temperatura corporea del bambino, elevata a fulcro della asserita negligenza contestata alla ricorrente. La Dott.ssa X si recò al capezzale del bambino per riscontrare il rischio di avvenuto contagio da scarlattina, ma dopo l’auscultazione e la palpazione dell’addome non riscontrò alcunché di preoccupante in tal senso. I giudici di merito hanno fondato il loro giudizio di colpevolezza su proprie deduzioni prive di riscontri in atti, a dimostrare che la condotta positiva diversa avrebbe avuto una efficacia salvifica. la perizia medico legale avrebbe dovuto essere disposta al fine specifico di dirimere i dubbi dei consulenti di parte;
- deduce inoltre la contraddittorietà del percorso logico-motivazionale del giudice di appello che da una parte prende in considerazione le oggettive difficoltà di inquadramento diagnostico della malattia, ma dall’altro, insiste nel sostenere che la condotta della pediatra sia stata negligente per non aver misurato la temperatura e non aver colto i sintomi che avrebbero dovuto allarmarla. La sentenza impugnata non ha attribuito rilievo alle conclusioni dei consulenti di parte, concordi nel ritenere difficile stabilire se un diverso intervento terapeutico all’esito della visita avrebbe avuto efficacia salvifica essendosi tratta di probabilità di una sepsi fulminante. Rileva inoltre che il giudice di secondo grado non ha fornito spiegazioni o argomentazioni sul nesso causale tra le omissioni contestate e l’evento finale, né in sul mancato riconoscimento del decorso alternativo prospettato. Ritiene contraddittorio il riconoscimento del rispetto delle linee guida da parte della pediatra, accompagnato dalla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 3 della legge 189/12 in tema di colpa lieve (Legge Balduzzi).
La Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendolo infondato, la sentenza impugnata è esente da vizi logico-giuridici vista anche la conformità con la sentenza di primo grado. La sentenza di primo grado, infatti, attraverso un compiuto esame del materiale probatorio e le diverse prospettazioni, ha ragionevolmente osservato che dopo cinque giorni il bambino presentava ancora un quadro clinico connotato da febbre persistente, tosse e raffreddore, per cui sarebbe stato necessario approfondire i motivi della mancata risposta alla terapia somministrata, anche in ragione della diversa reazione manifestata dai due gemelli dalla pediatra visitati (di cui uno guarito).
Da qui la ritenuta insufficienza del solo contatto telefonico della pediatra con la madre ai fini della formulazione di una corretta diagnosi, valutato la mancata diminuzione della temperatura corporea nonostante le plurime somministrazioni di paracetamolo e tenuto conto del rischio di complicanze più temute come le infezioni delle vie respiratorie di origine virale costituite da polmoniti e otiti.
La compromissione della compliance polmonare avrebbe potuto essere rilevata, tenuto conto del quadro anatomopatologico accertato dai consulenti del PM e dai tempi di insorgenza e di evoluzione dell’infezione. Ciò è stato correttamente valutato dalla corte territoriale in termini di grave negligenza, avendo la pediatra mancato ingiustificatamente di porre attenzione all’evoluzione della situazione patologica del bambino, nonostante la pregressa conoscenza dell’infezione respiratoria, procrastinando al pomeriggio del primo giorno successivo la visita domiciliare.
È stato inoltre riscontrato un comportamento gravemente negligente e imperito dal punto di vista della omessa diagnosi differenziale, premesso che, a seguito della telefonata della mattina, con la quale la mamma del bambino comunicava alla pediatra il drastico abbassamento della temperatura corporea, la pediatra, lungi dal considerare tale dato come un elemento allarmante in funzione di un peggioramento dello stato generale di salute del paziente con possibile comparsa di una situazione settica, si limitava a prescrivere la somministrazione di paracetamolo per la riferita stomatite, omettendo di sottoporre a visita immediata il bambino o di disporne l’immediato ricovero in pronto soccorso.
È stato infine appurato che durante la visita domiciliare del pomeriggio, alle ore 18.00, la pediatra si sia limitata ad effettuare l’auscultazione del torace senza misurare la temperatura corporea né valutare la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, la pressione arteriosa, lo stato di idratazione delle mucose e senza dare il giusto rilievo alla presenza di esantema petecchiale, indicativo di una grave sepsi batterica in atto. Sulla scorta di quanto affermato ed accertato dai consulenti è stato ragionevolmente ritenuto che anche in considerazione del successivo rapido aggravamento (il piccolo moriva due ore dopo la visita), già alle 18.00, orario della visita del pediatra, le condizioni fossero tali (ipotermia, tachipnea, tachicardia, obiettività polmonare, esantema petecchiale) da consigliare l’immediato invio in pronto soccorso.
Per tali motivi è stato giustamente e congruamente addebitata alla pediatra un atteggiamento gravemente negligente ed imperito, ingiustificatamente attendista e di generale sottovalutazione del quadro clinico del piccolo paziente, nonostante i sintomi manifestati avrebbero dovuto indurre ad un approccio ben diverso, sia attraverso una tempestiva visita domiciliare e sia mediante il pronto invio presso un pronto soccorso ospedaliero.
Sotto questo profilo le prove richieste dalla ricorrente non appaiono decisive visto che le complesse argomentazioni contenute nelle due sentenze di merito mostrano correttamente che i dati probatori forniti dalle consulenze tecniche in atti, escludevano una ulteriore e non decisiva richiesta di ulteriore perizia, anche la richiesta della testimonianza della madre del piccolo, disattesa dalla corte territoriale, nulla avrebbe potuto aggiungere alla completa ed esaustiva ricostruzione della vicenda per come emerge dagli atti.
Sul piano poi del nesso causale, la sentenza di primo grado ha fondatamente osservato che l’omessa osservazione clinica del bambino, in particolare l’omessa auscultazione, hanno impedito la possibilità di formulare la corretta diagnosi. Il comportamento alternativo lecito avrebbe invece potuto consentire di rilevare i segni semiologici propri di un interessamento polmonare che avrebbero potuto indurre la pediatra a prescrivere ulteriori accertamenti radiografici, e ciò, sin dalla giornata precedente.
In riferimento alla patologia che ha condotto a morte il bambino è ampiamente dimostrato ed evidenziato dagli studi scientifici in merito che, c’è un rapporto statistico diretto secondo cui il rischio morte si riduce notevolmente nei casi di pazienti aggrediti sul piano terapeutico in maniera tempestiva ed efficace.
Nel caso di specie è stato quindi ritenuto plausibile la conclusione che le condotte omissive contestate alla ricorrente, abbiano determinato le condizioni dell’evento fatale, con alto o elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale, potendosi escludere che la morte del bambino si sarebbe verificata in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità e d intensità, se l’imputata non avesse omesso i comportamenti dovuti sul piano della migliore perizia e diligenza medica.
La esclusione della responsabilità da colpa lieve, invocata dalla ricorrente è stata adeguatamente motivata dalle sentenze di merito, in considerazione della notevole divergenza tra la condotta tenuta dall’imputata e quelle cui sarebbe stata tenuta, avuto riguardo alla grave sottovalutazione delle condizioni generali e respiratorie del bambino che avrebbero imposto la necessità di specifici riscontri attraverso esami di laboratorio e strumentali.
È stata quindi sostanzialmente rimarcata la sussistenza di un marcato allontanamento del comportamento dell’imputata da una appropriata condotta medica, certamente qualificabile in termini di colpa grave, tale da escludere che la fattispecie in esame possa essere ricondotta alla previsione decriminalizzante di cui all’art. 3 della legge 189 del 2012 c.d. Legge Balduzzi. Per tali ragioni si rigetta in toto il ricorso e si condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dott. Carlo Pisaniello
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