Per proseguire il tema delle competenze avanzate infermieristiche, ho intervistato il dott. Mauro Pittiruti, chirurgo e coordinatore del “Vascular Team multidisciplinare” presso il Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, e direttore del Master in “nursing degli accessi venosi”, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Ho conosciuto il dott. Pittiruti lo scorso anno accademico durante la mia frequenza al Master da lui diretto.
Sono rimasto immediatamente colpito dalla visione che ha della professione infermieristica, assolutamente autonoma e lanciata ad ampie falcate verso l’acquisizione di competenze specialistiche sempre più avanzate.
Ovviamente tutto questo cozza con una realtà fatta di demansionamento o lavoro per compiti che molti colleghi, nel 2017 ancora sono costretti a subire.
Ho voluto intervistare uno dei massimi esperti mondiali di accessi venosi, per chiarire, ai molti che ancora lo ignorano, le competenze e le responsabilità degli infermieri nell’ambito della gestione e impianto degli accesi venosi, sia centrali che periferici.
Sappiamo che per anni l’impianto di accessi venosi centrali è stato esclusivo appannaggio dei medici, limitando l’agire infermieristico alla sola gestione. Negli ultimi anni le cose sono cambiate. Come?
“La tendenza inequivocabile che si riscontra in tutto i Paesi del mondo è quella di un progressivo affidamento di tutti gli aspetti relativi ai dispositivi per accesso venoso centrale (ovvero: scelta dell’accesso – impianto – gestione) alla professione infermieristica.
La cosa non fa meraviglia, considerando che questo profilo professionale prevede – tra l’altro – il ruolo dell’infermiere come ‘garante’ che la terapia prescritta dal medico venga somministrata in modo appropriato e sicuro; nel caso particolare delle terapie endovenose, è quindi evidente che la indicazione, il posizionamento e la gestione di un dispositivo per accesso venoso debbano essere logicamente affidati come prima scelta all’infermiere.
Il posizionamento dell’accesso venoso centrale non è un atto esclusivamente ‘medico’ (non è né un atto diagnostico né un atto terapeutico), è semplicemente una procedura clinica atta a ottimizzare la somministrazione della terapia.
Ciò sta avvenendo – come dicevo – in tutto il mondo.
L’infermiere oggi riveste un ruolo fondamentale nel posizionamento di tutti gli accessi venosi periferici – e di molte tipologie di accessi venosi centrali – più o meno dappertutto: negli Stati Uniti, in Canada, in Cina, in Brasile, in Australia e nella maggior parte dei paesi europei (Gran Bretagna, Italia, Spagna, Francia, Grecia, etc.).
Uniche eccezioni rilevanti sono la Germania e il Giappone, paesi in cui la cultura dell’accesso venoso è d’altronde assai arretrata rispetto ai Paesi su citati.
In realtà, si potrebbe affermare che l’affidamento dell’impianto di accessi venosi centrali (più specificamente dei PICC) agli infermieri sia un significativo indicatore del progresso di un determinato Paese nel campo degli accessi venosi (altri indicatori sono: la presenza di associazioni scientifiche dedicate agli accessi venosi; la diffusione della venipuntura ecoguidata; la progressiva riduzione del ruolo della radiologia nel campo degli accessi venosi; la diffusione di linee guida specifiche per la gestione degli accessi venosi; la presenza di corsi universitari e non, specificamente dedicati agli accessi venosi)”.
Alla luce del DM 739/94, l’infermiere, in possesso di un titolo post base, quale ad esempio un master, assurge al ruolo di specialista.
Nell’ambito degli accessi venosi quali responsabilità possiamo individuare per gli infermieri, in particolare per quelli definiti specialisti?
“Al di là della attribuzione del ruolo di specialista – cosa che comunque riveste una sua importanza – la responsabilità dell’infermiere che si occupa di accessi venosi è quella di sviluppare una specifica competenza nei criteri di scelta e di gestione dell’accesso venoso, ma anche e soprattutto di intraprendere una attività di impianto di dispositivi per accesso venoso soltanto dopo aver affrontato uno specifico percorso formativo di addestramento.
Sia che si tratti dell’impianto di un agocannula o di un PICC o di un port o di qualsiasi altro dispositivo, sia che si stia parlando di medici (specialisti e non) o di infermieri (specialisti e non), il codice deontologico dei professionisti della salute prevede che un operatore sanitario debba e possa accettare di eseguire una determinata manovra soltanto se ritiene di essere adeguatamente addestrato a portarla a termine con competenza e destrezza: anche perché dovrà assumersi personalmente tutta la responsabilità legale di eventuali danni provocati per negligenza, imprudenza o imperizia”.
Nella sua realtà è attivo un servizio di consulenza infermieristica che fornisce indicazioni all’impianto di cvc o altri dispositivi in base alla terapia infusiva prescritta?
“Nel contesto ospedaliero in cui lavoro (Fondazione Policlinico Universitario ‘A.Gemelli’ di Roma) è attivo da anni un team afferente direttamente alla Direzione Infermieristica, costituito da infermieri che espletano un servizio di consulenza infermieristica (attivato mediante una richiesta via intranet) per tutti i pazienti con problemi di accesso venoso ricoverati nei vari reparti.
L’infermiere del PICC team valuta il paziente e la terapia prevista, verifica la indicazione al PICC o ad altro accesso venoso periferico o centrale e procede poi al posizionamento del dispositivo più appropriato per il paziente, oppure risolve il problema di un dispositivo già in sede ma malfunzionante.
Si tratta quindi di una vera e propria consulenza, nella quale l’infermiere può avvalersi a sua volta della consulenza di un piccolo gruppo dedicato di medici (da me coordinato), ad esempio per la discussione e risoluzione di determinate complicanze che prevedono un intervento medico (infezione, trombosi venosa) o per la assistenza nel posizionamento di dispositivi in condizioni particolarmente delicate.
Non ti nascondo che gli ottimi risultati del team sono legati anche al grande affiatamento che esiste tra medici e infermieri, al punto che si può parlare più ampiamente di un ‘Vascular Team’ multidisciplinare più che di un ‘PICC Team’ infermieristico”.
In qualità di direttore del master in “nursing degli accessi venosi” dell’UCSC, in che modo si rapporta con gli infermieri che vogliono intraprendere questa strada?
“Ovviamente, tutti gli infermieri che fanno parte del team su citato hanno conseguito in anni passati il nostro Master in Accessi Venosi (che fornisce le basi culturali di quella che io chiamo la ‘scienza dell’accesso venoso’) e hanno successivamente seguito percorsi formativi specifici per l’impianto dei dispositivi più utilizzati (PICC, Midline, mini-midline); alcuni di loro hanno anche completato percorsi formativi per l’impianto di dispositivi più delicati (CICC, FICC, port e PICC-port).
E’ importante sottolineare che il Master costituisce un anno di specializzazione che prepara a 360° il professionista su tutti gli aspetti riguardanti la indicazione, l’impianto e la gestione di tutti i dispositivi, ma non può ovviamente costituire un percorso di addestramento ‘totale’ per qualunque dispositivo.
L’infermiere che desidera impiantare un determinato dispositivo dovrà frequentare corsi specifici, secondo uno schema formativo che è oramai ben definito a livello internazionale.
Mi rallegra quando un infermiere desidera impegnarsi nel ns Master: ciò indica che vuole approfondire le sue cognizioni in un campo – quello degli accessi venosi – che è stato per troppo tempo sottovalutato.
Se mi rendo conto però che non è interessato a diventare un esperto del campo ma che – ad esempio – desidera soltanto diventare un bravo impiantatore di PICC, provvedo a ‘dirottarlo’ verso uno dei nostri corsi di addestramento”.
Cosa prevede il percorso di studi per diventare impiantatore certificato di cvc o di altri dispositivi a breve media e lunga permanenza?
“Il percorso di addestramento ideale – definito su dati basati sulla evidenza scientifica – è stato ben esposto in una Consensus della WoCoVA Foundation, elaborata in collaborazione con il GAVeCeLT e pubblicata sul British Journal of Anesthesia pochi anni or sono.
In breve, il percorso prevede un certo numero di ore di lezioni teoriche, una pratica di laboratorio su simulatori, una pratica clinica con curva di apprendimento tutorata e successiva curva di apprendimento autonoma, e un audit finale”.
Parecchi medici hanno osteggiato e continuano a farlo, l’avanzare delle competenze avanzate degli infermieri (mi perdoni il gioco di parole). Posso chiederle quale è la sua posizione in merito a questa diatriba che va avanti da anni?
“Tale atteggiamento è di solito tipico di medici non esperti di accessi venosi o comunque non a conoscenza di quanto avviene a livello internazionale in questo ambito.
Che dire? È un atteggiamento anacronistico, controtendenza, e con nessun appiglio scientifico, poiché è dimostrato come l’affidare agli infermieri alcuni punti critici della scelta e dell’impianto dei dispositivi per accesso venoso ha come risultato un incremento della costo-efficacia e della efficienza aziendale della manovra.
Le giustificazioni medico-legali portate da costoro sono inconsistenti e irrilevanti. Opporsi ad un aumento del ruolo infermieristico negli accessi venosi è cosa fatua e inutile, quanto può essere inutile l’opporsi a fenomeni universali e irreversibili quali la globalizzazione o la apertura commerciale delle frontiere”.
Ringrazio il dott. Pittiruti per la disponibilità mostrata nel rispondere alle mie domande, ed a nome di tutti gli Infermieri, per l’alta considerazione, ahimè ancora rara tra molti medici, che nutre nei confronti della nostra Professione.
Emanuele Battiston
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