Home Regionali Emilia Romagna Rischio chiusura per i Cau a Bologna, infermieri del Sant’Orsola denunciano: “In Pronto soccorso è vietato indirizzare lì i pazienti”
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Rischio chiusura per i Cau a Bologna, infermieri del Sant’Orsola denunciano: “In Pronto soccorso è vietato indirizzare lì i pazienti”

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“L’azienda non ha mai voluto che pubblicizzassimo in alcun modo il Cau con i pazienti che si presentano al Pronto soccorso”. Come riferisce il Corriere della Sera, medici e infermieri del Policlinico Sant’Orsola di Bologna non accettano che si parli di una mancata assunzione di responsabilità dal basso con riferimento alla possibile chiusura del Centro di assistenza e urgenza (Cau).

“Abbiamo chiesto di mettere cartelli appena fuori dal Pronto soccorso con l’elenco delle problematiche per cui rivolgersi al Cau, di distribuire opuscoli in sala d’attesa o direttamente al Triage, di poter inviare i pazienti da codici bianchi e verdi al Cau anche per alleggerire la pressione sul Ps, ma non è stato possibile”, racconta il personale sanitario, rivendicando di aver fatto di tutto perché al Sant’Orsola il Cau diventasse il braccio destro del Pronto soccorso.

Di fatto il Sant’Orsola “pubblicizza” il Cau solo sul suo sito internet, elencando i sintomi per i quali recarsi in visita al Centro. Lo conferma da Caterina Saponaro, infermiera del Pronto soccorso e segretaria aziendale della Cisl al Policlinico, aggiungendo che “un infermiere di Triage ha proprio il veto di indirizzare il paziente al Cau, e infatti il Cau non ha aiutato a far flettere il numero di pazienti che arrivano al Ps”.

A complicare le cose, il fatto che Policlinico e Cau afferiscono ad aziende diverse, essendo il secondo sotto le Cure primarie della Ausl. «Ma anche al Maggiore che è sotto l’Auslm funziona così – spiega Marco Pasquini, segretario della Fp Cgil -. E’ una questione molto complessa di responsabilità, ma sta di fatto che, se uno va al Cau e c’è un tema legato all’emergenza, lo si manda al Pronto soccorso, dove non puoi non prendere in carico un paziente, a prescindere dai tempi d’attesa”. 

Anche Pasquini ribadisce l’importanza di una comunicazione efficace: “A suo tempo avevamo posto in modo forte il tema della comunicazione alla popolazione, perché si era capito che sarebbe stata assolutamente necessaria e strategica. A questo punto, però, se si vuole avere una speranza di tenere aperti i Cau negli ospedali, bisogna trovare il modo di fare un triage unico, come chiediamo da tempo”.

Insomma, gli infermieri del Triage sono sempre alle prese con gli iper-afflussi in Pronto soccorso, e alcuni di loro – quelli “prestati” al Cau – stanno studiando una strategia alternativa da sottoporre all’azienda per non vedere chiuso il Centro di assistenza e urgenza, che avrebbe molte potenzialità. 

Viola Di Lembo, infermiera di Pronto soccorso al Sant’Orsola e dirigente sindacale del Nursind, tiene a ribadire che gli infermieri, per quanto esperti e formati, non possono “fare triage-out”, cioè dimettere il paziente senza una valutazione medica. A ciò si aggiunge che “non possiamo indirizzare i pazienti verso altri luoghi di cura, Cau compreso, anche se li riteniamo più adeguati ai sintomi”.

Anche per Di Lembo il problema di fondo resta quello della errata strategia comunicativa: “Sui Cau qualcosa non ha funzionato nell’informazione alla popolazione. Da noi arrivano ancora persone che nemmeno sanno cos’è un Cau. Dentro il reparto, a un certo punto, si era anche ipotizzato che le persone potessero essere registrate in Ps con la rilevazione dei parametri vitali e poi, nel caso, indirizzate al Cau”. 

E alla fine il risultato è sempre lo stesso: il Pronto soccorso va in affanno. “La gente non riesce ad andare a fare gli esami per colpa delle liste d’attesa, e alla fine viene a farli al Ps – conclude Di Lembo -. E’ tutto il sistema del territorio che non riesce a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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