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Quando la passione per lo studio si trasforma in incubo: il peso della svalutazione universitaria e professionale e il tabù sulla salute mentale

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Il drammatico caso dello studente di Fisciano trovato senza vita nel campus universitario ha riacceso il dibattito dentro fuori le mura parlamentari sul peso della pressione accademica e sulla mancanza di supporto per chi vive momenti di difficoltà. La sua storia, come quella di molti altri giovani, evidenzia un problema sistemico: l’isolamento e la svalutazione che spesso si vivono negli ambienti universitari e di ricerca.

Nel mondo universitario i percorsi di laurea e post-laurea rappresentano un’opportunità di crescita e innovazione e aprono le strade nel mondo del lavoro. Tuttavia non sempre chi desidera intraprendere questa strada trova un ambiente favorevole. Capita spesso che le dinamiche accademiche e professionali possano trasformarsi in un ostacolo insormontabile, lasciando segni profondi su chi con passione e determinazione prova a inserirsi in questo ambito.

Le testimonianze di due colleghi infermieri, che hanno scelto di condividere la loro esperienza e di restare poco visibili, offrono uno spunto di riflessione su due problemi ancora poco discussi: la svalutazione professionale e l’assenza di supporto nei percorsi di crescita, spesso con gravi ripercussioni sul benessere psicologico

Le testimonianze di due giovani professionisti sono un esempio concreto: Francesca e Giuseppe, due infermieri che lavorano e studiano in ambiti diversi, ma hanno vissuti molto simili. Dopo aver investito loro formazione post-laurea e vinto un concorso per un dottorato, si sono ritrovati in ambienti ostili, privi di supporto e segnati da continue critiche distruttive. Ogni loro tentativo di migliorarsi veniva respinto e il mancato riconoscimento del loro impegno ha compromesso il loro benessere psicologico. Esclusi dalle riunioni e svalutati professionalmente, hanno deciso infine di rinunciare al percorso accademico per dedicarsi ad altri progetti.

Queste vicende richiamano alla mente casi simili che continuano a fare notizia. In molti contesti accademici il benessere psicologico viene ignorato o sottovalutato, portando a conseguenze gravi. Il senso di inadeguatezza e la mancanza di riconoscimento possono sfociare in condizioni critiche, in alcuni casi con esiti tragici. Le istituzioni accademiche e professionali devono prendere consapevolezza del loro ruolo nella creazione di ambienti di lavoro e di studio più sani, dove il supporto sia una costante, e non un’eccezione.

Queste storie non sono casi isolati, ma un riflesso di una realtà più ampia. Il mondo dell’università ha bisogno di apertura, inclusione e valorizzazione delle nuove generazioni. Il cambiamento deve partire dalle istituzioni e dai professionisti stessi, affinché nessuno si senta più una “carta da stracciare”.

Inoltre è necessario abbattere il tabù sulla salute mentale nel mondo accademico e professionale. Nessuno dovrebbe trovarsi in una situazione di isolamento e svalutazione senza alcun tipo di supporto. Parlare apertamente di questi problemi, creare reti di sostegno e promuovere un ambiente di lavoro sano sono passi essenziali per garantire un futuro migliore all’università e a chi vi si dedica con passione. Solo così potremo costruire un sistema che non solo avanza scientificamente, ma che tutela anche il benessere di chi vi opera.

Anna Arnone

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