L’anno 2017 si è rivelato un anno delle grande riforme in ambito sanitario. Dopo l’entrata in vigore della legge 24/2017, cosiddetta legge Gelli-Bianco ed incentrata sulla sicurezza delle cure in sanità, il 22 dicembre dello stesso anno ha visto la luce un’altra legge molto importante, la legge n. 219/2017 recante “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”.
Questa legge salda ancora di più il concetto della responsabilità sanitaria fornendo le linee guida sui trattamenti di fine vita ai quali i sanitari devono attenersi nel caso di presa in carico di un paziente affetto da una malattia incurabile e stabilisce anche la clausola di tutela dei professionisti dalle accuse ingiuste sul loro operato.
Per quanto riguarda il consenso del paziente ai trattamenti proposti dal sanitario, l’articolo 1 della legge 219/2017 stabilisce che: “Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”.
Quindi il paziente per ricevere un determinato trattamento sanitario o un esame diagnostico deve dare il proprio consenso, tranne nei casi di TSO (trattamenti sanitari obbligatori), per i quali sono previste altre norme.
Ma il paziente può esigere un certo trattamento sanitario o esame diagnostico scelti da lui?
La risposta la troviamo nell’articolo 1, comma 3 e nell’articolo 6 della legge 219.
L’articolo 1 comma 3 recita: “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamento sanitari indicati, nonché riguarda alle possibili alternative e alle conseguenze di eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.
L’articolo 6 invece ha per il testo: “Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali”.
Analizzando le parole del legislatore si deduce che il paziente può negare qualsiasi trattamento a lui proposto da un sanitario, ma non può esigere di avere il trattamento che vuole lui.
Questa impostazione della legge da un lato protegge il cittadino (perché essendo ignorante in materia sanitaria il paziente non è in grado di stabilire cosa sia giusto per lui in base alle sue condizioni cliniche al momento) e da un altro lato protegge il sanitario, che rimane esente da qualsiasi tipo di responsabilità per omissione del trattamento non acconsentito dal paziente.
Ovviamente per far valere la legittimità di omissione del trattamento sanitario il paziente deve essere informato sui benefici del trattamento a lui proposto e sulle conseguenze del rifiuto di questo trattamento i quali devono essere documenti in modo appropriato.
Per gli scopi medico-legali l’annotazione del “rifiuto” in cartella clinica non vale se accanto non è scritto: “nonostante il paziente sia stato informato sulle conseguenza alle quali potrebbe andare incontro se dovesse rifiutare il trattamento (anche fatali)”.
Infatti il riferimento alle corretta annotazioni del rifiuto del paziente di un certo trattamento lo troviamo nell’articolo 1, comma 3 della legge 219, che stabilisce: “La revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.
Ma non basta.
Il legislatore non si ferma sull’importanza dell’informazione al paziente sulle conseguenze del suo rifiuto di un trattamento, ma nella comma 3 del articolo 1 sottolinea anche: “Ogni persona ha il diritto di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamento sanitari indicati, nonché … della rinuncia ai medesimi”. Ciò vuol dire che il paziente non solo deve essere informato ed acconsentire o meno un certo trattamento sanitario, ma deve anche capire cosa esattamente sta acconsentendo o rifiutando e le conseguenze che comporterebbe la sua scelta.
Quindi il sanitario non solo deve informare il paziente sulle particolarità di un trattamento o un esame oppure sulle conseguenze del rifiuto di essi, ma deve anche accertarsi che il paziente abbia capito ciò che gli è stato spiegato, altrimenti il consenso non può essere informato.
Ovviamente il legislatore ha previsto anche la possibilità di revocare il consenso da parte del paziente ed anche a rifiutare del tutto o parte del trattamento proposto dal sanitario che potrebbe essere effettuato in qualsiasi momento (articolo 1, comma 5).
L’epoca del contenzioso, in quale il mondo sanitario ha vissuto per decenni ormai sembra di essere svanita grazie ai cambiamenti introdotti dalle due leggi importanti dell’anno 2017: la legge 24 e la legge 219 – le norme che tutelano sia il paziente, sia i professionisti che gli prestano il proprio operato, garantendo non soltanto la sicurezza delle cure, ma anche la possibilità di accettarli o rifiutarli in modo libero ed informato.
Dott.ssa Natalia Naydenova, infermiera legale e forense
Redazione Nurse Times
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