La tutela della sicurezza del paziente è l’unico motivo che giustifica l’utilizzo dei mezzi di contenzione. Deve essere limitata ai casi strettamente necessari.
La contenzione deve essere usata quando mezzi alternativi (relazionali, educativi, modifiche o eliminazione dei fattori di rischio) risultano inefficaci nell’esclusivo interesse dell’incolumità del soggetto e delle persone che giacciono vicino allo stesso.
La contenzione ha origine in psichiatria, dove un tempo appariva lecito che gli infermi di mente potessero essere contenuti con mezzi coercitivi. Questa norma, insieme ad altre sull’organizzazione dei manicomi è stata abolita con la legge 180/1978 e attualmente nel nostro ordinamento non c’è nessuna disposizione di legge che autorizzi la contenzione. Tuttavia, la contenzione oggi rappresenta un evento possibile in molti contesti: DSM, RSSA, reparti ospedalieri…
Il codice penale e il codice deontologico dell’infermiere (art. 30) indicano che la contenzione deve essere limitata solo ad eventi straordinari e deve essere sostenuta da prescrizione medica e da documentate valutazioni assistenziali.
L’abuso dei mezzi di contenzione è punita dall’articolo 571 del codice penale.
Si possono distinguere quattro tipi di contenzione:
- Contenzione fisica: si ottiene con presidi applicati sulla persona, o mezzi come barriere nell’ambiente che riducono e controllano i movimenti (corpetto, polsiere, cavigliere, cuscini, le spondine più che un mezzo di contenzione rappresentano un mezzo di sicurezza per ridurre rischio di cadute, mentre se sono usate per contrastare la volontà di un paziente ad alzarsi dal letto rappresenta un mezzo di contenzione);
- Contenzione chimica: si ottiene con farmaci che modificano il comportamento;
- Contenzione ambientale: comporta i cambiamenti apportati all’ambiente in cui vive il soggetto per limitare o controllare i movimenti;
- Contenzione psicologica, relazionale, emotiva: con la quale l’ascolto e l’osservazione empatica riducono l’aggressività del soggetto perché si sente rassicurato.
Le conseguenze dell’uso della contenzione fisica si dividono in danni diretti e indiretti.
Quelli diretti causati dalla pressione esercitata dal mezzo di contenzione causando lesioni nervose (es. pressione plesso brachiale), ischemiche (es.contrattura dei muscoli), asfissia (persone intrappolate nel tentativo di liberarsi), morte (per un prolungato stato di agitazione e lotta contro il mezzo).
Danni indiretti dovuti all’immobilità forzata come lesioni da pressione, cadute, infezioni nosocomiali, allungamento delle degenze, aumento del tasso di mortalità.
Importante per la contenzione fisica:
- Valutare se esistono fattori che inducono lo stato di agitazione. Il risultato delle valutazione deve essere riportato nella documentazione infermieristica e stilare un piano di assistenza (diagnosi infermieristica es. “alto rischio di lesione” oppure “potenziale rischio di aggressività”);
- Tentare di eliminare o ridurre i fattori di rischio;
- Se i comportamenti pericolosi o lesivi continuano nonostante i tentativi di eliminare i fattori scatenanti è necessario ricorrere alla contenzione;
- È necessaria la prescrizione medica. Importante è che l’ordine deve essere limitato nel tempo, l’ordine deve essere scritto per un episodio specifico e non per un futuro indefinito e deve essere specificato il tempo di inizio e di fine della contenzione, la motivazione e il tipo di contenzione;
- Durante il tempo di contenzione il paziente deve essere valutato ogni 15 minuti dal personale infermieristico;
- Occorre garantire al soggetto la possibilità di movimento per non meno di 10 minuti ogni 2 ore;
- Garantire il confort e la sicurezza.
Ovviamente i mezzi di contenzione vanno applicati solo per evitare un danno imminente agli altri, per evitare un danno imminente al soggetto in stato di agitazione o per evitare gravi interruzioni del programma terapeutico o danni significativi all’ambiente.
Il diritto alla libertà del proprio corpo è sancito dall’articolo 13 della Costituzione: “La libertà è inviolabile”. Inoltre tale dichiarazione è rafforzata dall’articolo 32 della Costituzione: “…Nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Dunque, nessuno può essere trattenuto contro la sua volontà presso strutture sanitarie o nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura a meno che non sia soggetto ad un provvedimento di TSO.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio non giustifica necessariamente la contenzione (che dovrebbe essere applicata solo in via eccezionale e basandosi su disposizioni di legge su come questa verrà attuata); mai comunque la violenza fisica.
Il TSO prevede che una persona venga sottoposta a cure mediche contro la propria volontà presso SPDC – Servizi Psichici di Diagnosi e Cura. Il TSO è attualmente regolamentato dalla legge 23 dicembre 1978 n. 833. È un atto composito, di tipo medico e giuridico, che consente l’effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale che, anche se in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, rifiuti il trattamento (solitamente per mancanza di consapevolezza di malattia).
Il concetto di Trattamento sanitario obbligatorio basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza, finalizzato alla tutela della salute e della sicurezza del paziente, ha sostituito la precedente normativa del 1904 riguardante il “ricovero coatto” (legge n. 36/1904), basato sul concetto di “pericolosità per sé e per gli altri e/o pubblico scandalo”, concetto maggiormente orientato verso la difesa sociale.
La legge stabilisce che si può attuare il TSO a sole due condizioni. Quando la persona necessita di cure, secondo i sanitari che l’hanno visitata, in quanto appare pericolosa per sé o per gli altri oppure se le rifiuta.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è disposto con provvedimento del Sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, del Comune di residenza o del Comune dove la persona si trova momentaneamente.
Egli emana l’ordinanza di TSO solo in presenza di due certificazioni mediche, motivate in forma scritta anche con breve descrizione, che attestino che:
- la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici;
- gli interventi proposti vengono rifiutati;
- non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere.
Tutte e tre le condizioni devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico, che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi altro medico e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica (generalmente uno psichiatra della ASL).
Ricevute le certificazioni mediche il Sindaco, oppure un assessore delegato presso un ufficio preposto, ha 48 ore per disporre, tramite un’ordinanza, il TSO facendo accompagnare la persona dai vigili e dai sanitari presso un reparto psichiatrico di diagnosi e cura.
In un primo momento la persona viene invitata a seguire vigili e sanitari nel reparto ospedaliero, se si rifiuta viene prelevata con la forza, messa in ambulanza e trasferita al reparto ospedaliero.
Il Sindaco ha poi l’obbligo di inviare l’ordinanza di TSO al Giudice Tutelare (entro 48 ore successive al ricovero) per la convalida e il Giudice convalida il provvedimento entro le 48 ore successive (legge 180, art. 3 comma secondo).
Qualora manchi la convalida il TSO decade automaticamente. Il Giudice Tutelare può però anche non convalidare il provvedimento annullandolo.
Il TSO ha per legge la durata di 7 giorni.
Al termine dei 7 giorni, qualora non sia stata presentata dallo psichiatra del servizio una richiesta di prolungamento, il trattamento termina e lo psichiatra, non per forza lo stesso che ha proposto e convalidato il TSO, è tenuto a comunicare al Sindaco la cessazione delle condizioni richieste per l’internamento. Il Sindaco a sua volta lo comunica al Giudice Tutelare.
Terminato il periodo di TSO, non sono necessari né una firma per uscire dal reparto, né la presenza di qualcuno che venga a prendere il paziente, assumendosene la responsabilità. Difatti la persona che viene ricoverata in un reparto psichiatrico non è né incapace né interdetta. Egli conserva tutti i diritti e doveri di chiunque altro. Quindi può chiedere di essere dimessa in qualsiasi momento e questa richiesta deve essere immediatamente esaudita, altrimenti ci si trova di fronte al reato di sequestro di persona. Il TSO decade anche nel caso in cui i medici o il Sindaco o il Giudice Tutelare non abbiano specificato nel provvedimento le motivazioni che hanno reso attuabile il Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Qualora il trattamento venga prolungato, prima della scadenza dei 7 giorni deve essere comunicata al Sindaco una richiesta motivata di prolungamento. Entro 48 ore dal ricevimento della richiesta verrà firmata a nome del sindaco o del suo delegato l’ordinanza di prolungamento, provvedendo a notificarla al Giudice Tutelare nelle 48 ore successive.
Il Giudice a questo punto convaliderà o meno il provvedimento e lo comunicherà al sindaco. Nel caso di proroga il paziente deve richiedere la notifica per evitare di rimanere chiuso in reparto, risultando ora un ricovero volontario.
Una volta venuto meno il TSO per scadenza dei termini la persona può chiedere di essere dimesso in ogni momento e tale richiesta deve essere esaudita.
Uno psichiatra del servizio – non necessariamente lo stesso che ha proposto o convalidato il trattamento sanitario obbligatorio – è tenuto a comunicare al sindaco la cessazione delle condizioni richieste per l’internamento. Quest’ultimo, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione dello psichiatra emette un’ordinanza di revoca e ne dà comunicazione al giudice tutelare. Tale ordinanza di revoca dovrà aversi ogni qual volta il paziente venga dimesso, a prescindere dal momento in cui ciò si verifica: prima del settimo giorno, il settimo giorno, o – laddove sia stato ordinato un prolungamento – dopo sette giorni.
Quando la persona viene ricoverata in Trattamento Sanitario Obbligatorio presso il servizio psichiatrico, i suoi diritti (primo tra tutti quello alla libertà di movimento e di scelta) vengono limitati ed è obbligata a subire passivamente i trattamenti a lei somministrati (benché la persona non possa rifiutare le cure, questa ha il diritto di essere informata sulle terapie a cui viene sottoposta ed inoltre il diritto di sapere i nominativi e le qualifiche di chi opera nel reparto ed esigere che ogni infermiere deve avere sul camice un cartellino di riconoscimento).
Da precisare che durante il ricovero del TSO la persona può fare ricorso al Sindaco contro il provvedimento. Anche gli amici, i familiari, chiunque abbia a cuore la persona ha questa possibilità. La legge infatti dice espressamente che CHIUNQUE può fare ricorso. Il Sindaco ha l’obbligo di rispondere entro 10 giorni (art. 33 legge 833/78).
In ogni caso è importante avere sempre chiaro il concetto sancito dall’art. 32 della Costituzione Italiana! La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Giuseppe Papagni
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