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Pronta disponibilità nei giorni festivi e nel riposo settimanale: spetta il riposo compensativo?

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Aadi: Il mero svolgimento di attività di coordinamento non può automaticamente dare diritto alle relative indennità
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Commento all’art. 28 CCNL comparto sanità 2016-2018.

La questione è stata più volte dibattuta a livello sindacale e dalla giurisprudenza di merito, approdando poi sino alla suprema Corte di Cassazione, che ha messo una pietra tombale sull’incertezza interpretativa che si è avuta negli anni.

Il caso nasce dal contratto collettivo della dirigenza medica del 2005, riverberandosi poi a caduta anche nel contratto collettivo del comparto. Infatti lo stesso CCNL 2016/18, firmato lo scorso maggio dalle compagini sindacali confederate, ha mostrato ancora i limiti di un problema che non si è in realtà voluto definitivamente affrontare. Sarebbe stato sufficiente aumentare il valore economico della P.D., che rappresenta sempre e comunque una “limitazione” per il lavoratore costretto così a sacrificare il proprio tempo libero in ossequio del rapporto sinallagmatico con l’azienda, per rendere la controprestazione del datore di lavoro economicamente più vantaggiosa.

Gli articoli contrattuali in questione, ex art. 28, comma 6 CCNL comparto sanità 2016/18 e l’art. 17, comma 6, CCNL 3 novembre 2005 della dirigenza medica, sono stati spesso interpretati come favor prestatoris, prevedendo al loro interno la facoltà del recupero delle ore prestate in regime di P. D. come compensazione, ma in realtà devono invece essere interpretati in una logica negativa e quindi decisamente contra prestatoris.

In linea generale, il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere la propria struttura di lavoro nel più breve tempo possibile dalla chiamata, un tempo che può variare, ma garantendo comunque un tempo minimo limitato al tragitto tra il domicilio e la sede di lavoro. E’ quindi un servizio che viene reso dal dipendente oltre il proprio orario di lavoro ed infatti, in caso di chiamata e, quindi di effettiva prestazione lavorativa è contrattualmente previsto il pagamento delle ore prestate in regime di straordinario, ovvero, compensato con recupero orario.

Il servizio di P.D. di norma va limitato ai periodi notturni e festivi ed è previsto per quei lavoratori che devono essere in servizio presso unità operative con attività continua e, di norma, ha durata di 12 ore. Tuttavia, essendo materia di contrattazione integrativa aziendale, laddove necessitato in relazione a particolari esigenze legate all’organizzazione del lavoro, il servizio di P.D. potrebbe anche essere attivato nei giorni prefestivi.

Di regola, non potranno essere previste per ogni dipendente più di 6 pronte disponibilità al mese; su quest’aspetto, la Cassazione si è espressa ponendo questo limite non come un limite perentorio in termini assoluti ma più elasticamente ha inteso il significato della previsione contrattuale per come si legge e viene lessicalmente interpretata non dando così spazio, ad interpretazioni diverse o analogiche; “la giurisprudenza della Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri metodi interpretativi quando la comune volontà delle parti emerga in modo chiaro ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere un diverso significato (Cass. n. 14850/04; 28479/05; 4176/07; 110/13).

Nel caso di specie la disposizione contrattuale risulta chiara nella sua portata precettiva, infatti, contrariamente a quanto affermato in ricorso, ben può ritenersi sotto il profilo grammaticale e sintattico che l’uso nel comma 10 dell’inciso “di regola” stia a significare una situazione che si verifica normalmente ma che non escluda, in determinati contesti, la ricorrenza a circostanze diverse La Corte di Appello ha considerato il tenore lessicale della disposizione ed ha ritenuto che la specificità dei destinatari e le ineludibili esigenze di servizio ospedaliero consentano di leggere la dizione quale previsione di massima e di natura programmatica e consentano per altro all’azienda, di richiedere turni di PD anche in misura superiore a sei.. ”.

Il numero delle P.D. contrattualmente previste deve quindi interpretarsi come un limite non insuperabile purché motivato da esigenze organizzative e produttive aziendali. Per orientamento costante, si definiscono due tipi di pronta disponibilità (c.d. reperibilità) “la reperibilità passiva”, ossia quella che comporta la sola disponibilità del dipendente alla chiamata rimanendo di fatto inoccupato presso la propria abitazione o in un luogo facilmente reperibile e la “reperibilità attiva” che invece prevede la chiamata e quindi la prestazione lavorativa effettiva.

La prima, ossia, quella passiva, essendo di fatto infruttuosa per gli scopi aziendali, risulta, secondo l’orientamento giurisprudenziale una “obbligazione strumentale ed accessoria, qualitativamente diversa da quella lavorativa, che, pur comportando una limitazione della sfera individuale del lavoratore, non impedisce il recupero delle energie psicofisiche”.

Per tali ragioni è quindi da escludersi che il servizio di reperibilità “passiva” possa essere equiparato al lavoro effettivo per un principio di diritto oramai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte che, con plurime pronunce, non solo ha escluso l’invocata equiparazione ma ha anche evidenziato che dalla prestazione del servizio non deriva, quale effetto automatico, il diritto del dipendente a fruire del riposo compensativo, rimesso, invece, alla sua scelta discrezionale (Cass. 4.4.2016 n. 6491; Cass. 18.3.2016 n. 5465; Cass. n. 9316/2014; Cass. n. 11730/2013; Cass. n. 4688/2011; Cass. n. 27477/2008; Cass. n. 18812/2008); non può quindi essere equiparata alla prestazione lavorativa effettiva che è invece rappresentata dalla reperibilità c.d. attiva, questa diversità è stata definita dalla Suprema Corte come diversità di natura “ontologica”.

Le nuove previsioni contrattuali poi, sia della dirigenza medica e veterinaria che del comparto, sono pressoché identiche ed hanno suscitato e suscitano ancora una certa incertezza interpretativa da parte dei lavoratori, alla quale, la Cassazione ha posto la parola definitiva “fine” (Cassazione civile, sez. lav., 14/06/2017, n. 14770; Cass. civ., sez. lav., 22 marzo 2017 – 27 luglio 2017, n. 18654).

Nel nuovo contratto collettivo nazionale del comparto 2016/18 e precisamente all’art. 28 comma 6, secondo capoverso, si legge:

  • “Il servizio di pronta disponibilità va limitato, di norma, ai turni notturni ed ai giorni festivi garantendo il riposo settimanale. Nel caso in cui esso cada in giorno festivo spetta, su richiesta del lavoratore anche un’intera giornata di riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale. In caso di chiamata, l’attività viene computata come lavoro straordinario ai sensi dell’art. 31 (lavoro straordinario) ovvero trova applicazione l’art. 40 del CCNL integrativo del 20/9/2001(Banca delle ore)”.

Parimenti nel CCNL della dirigenza medica l’art. 17, comma 6, CCNL 3 novembre 2005;

  • “….nel caso in cui esso cada in giorno festivo spetta, su richiesta del lavoratore anche un’intera giornata di riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale”;

Ora è del tutto evidente che le due definizioni contrattuali siano sovrapponibili sia nella sintassi che nella finalità, ma ciò che le rende ancor più identiche è il significato esegetico che va dato alle parole contenute nelle due previsioni contrattuali; su richiesta del lavoratore è prevista una giornata di riposo compensativo “senza riduzione del debito orario settimanale”.

Ad una prima lettura, ancorché approfondita, sembrerebbe lasciar intendere che la giornata di riposo possa essere presa a compensazione della pronta disponibilità passiva, purché, effettuata in una giornata di festa o coincidente con il riposo settimanale, di talché, non inciderebbe, riducendole, le ore settimanali contrattualmente previste, ma in realtà il significato esegetico che assume ha una valenza tutta in negativo, la fruizione della giornata compensativa deve invece lasciare globalmente immutata l’ordinaria prestazione oraria settimanale e, quindi, imporrebbe una variazione in aumento della durata della attività lavorativa da prestare negli altri giorni della settimana.

Il godimento di tale giornata, quindi, comporta l’obbligo per il lavoratore di recuperare le ore non lavorate nel giorno di riposo compensativo “spalmandole” sugli altri giorni lavorativi. Esattamente l’opposto di quello che molti fino a oggi avevano erroneamente interpretato.

A tal proposito la dirigenza medica aveva infatti radicato un ricorso presso il giudice del lavoro per il riconoscimento di tale giornata, ricorso rigettato per le conclusioni appena espresse. Il perché di questa interpretazione ce lo spiega la stessa Suprema Corte; “il giorno di riposo compensativo non è teso a “recuperare le energie psicofisiche” del lavoratore, che in pronta disponibilità passiva non ha effettivamente speso, con la conseguenza che il giorno stesso di riposo compensativo rientra nella “disponibilità” del dipendente che deve farne espressa richiesta. Spetta quindi al lavoratore stesso optare per il recupero a compensazione aggravando quindi la sua prestazione lavorativa settimanile, ovvero, rinunciarci”.

Ma c’è anche un aspetto in positivo della interpretazione della Suprema Corte ed è quello che riguarda l’ipotesi della c.d. P.D. attiva, mentre la prima ipotesi si esaurisce nel mero rispetto dell’obbligo di attesa di essere chiamato nel periodo orario prestabilito per raggiungere il presidio (cd. reperibilità passiva), senza che a tale disponibilità segua una effettiva chiamata; la seconda è caratterizzata invece dalla effettiva chiamata in servizio e dalla conseguente prestazione lavorativa spesa a favore dell’azienda (cd. reperibilità attiva).

L’attività prestata attivamente viene quindi retribuita come prestazione straordinaria oppure viene compensata a domanda del dipendente con un recupero orario (riposo sostitutivo da fruire, compatibilmente con le esigenze di servizio, nel mese successivo). Ma attenzione, il recupero delle ore derivanti dalla pronta disponibilità attiva non sempre va a favore del lavoratore, ipotizzando che un’ora di lavoro ordinario sia retribuita ad es. con 10 euro, quella prestata invece in regime di lavoro straordinario può vedersi aumentata la quota oraria dal 15% al 30% a seconda se è stata prestata in una giornata feriale, festiva o notturna festiva.

Nel caso si optasse quindi per il recupero delle ore a compensazione, queste, verranno stornate dal datore di lavoro come ore in regime di lavoro ordinario (non potrebbe essere altrimenti) e quindi, il lavoratore così facendo perderà quella differenza retributiva derivante dal costo orario delle ore prestate in regime straordinario rispetto al costo orario dell’orario prestate in regime ordinario. A voi la scelta.

Dott. Carlo Pisaniello

 

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