Ci sono persone naturalmente resistenti al coronavirus. Questa è uno tra le straordinarie scoperte legate al Covid-19. Alla base dei contagi, infatti, tra i tanti fattori, sarebbero determinanti anche il Dna e l’interferone, considerata la prima barriera tra noi ed il virus.
“Gli individui che mancano di IFN (interferoni) specifici possono essere più suscettibili alle malattie infettive”, si legge sulla ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Science.
“Abbiamo cominciato a vedere che le differenze genetiche bisogna cercarle nel Dna delle persone” ha affermato il prof. Giuseppe Novelli, genetista del Policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano, capogruppo del team italiano degli scienziati di Tor Vergata insieme ad un gruppo di oltre 250 laboratori in tutto il mondo il cui coordinatore principale è il professor Jean Laurent Casanova della Rockfeller University di New York. “Per prima cosa abbiamo studiato i casi gravi: in una curva ci sono gli estremi e quelli che stanno in mezzo. Gli estremi sono quelli più interessanti perché la genetica si focalizza sugli estremi per trovare le differenze“, afferma il Prof. Novelli.
Il 10-12% dei malati gravi di Covid, nello studio, riportava delle differenze gentiche nella produzione dell’interferone, la prima molecola di difesa che produciamo quando ci infettiamo. “La prima linea di difesa non sono gli anticorpi, sono le molecole che cercano di neutralizzare o bloccare il virus”, ha spiegato Novelli.
Il team di ricerca si è accorto che le persone che si ammalavano più gravemente non producevano interferone.
“Mancava la prima linea di difesa chiamata ‘immunità innata’, ed è importantissima: se è difettosa, è chiaro che il virus vive e trova terreno fertile”. La scoperta apre la strada a trattamenti personalizzati: potranno essere selezionati gli individui che hanno questo difetto e trovare delle terapie mirate anche a base di interferone.
Ci sono persone resistenti al coronavirus.
Comunquue, ci sono anche persone resistenti al coronavirus. “Sono quelle persone che sicuramente sono state esposte, quindi a contatto, con persone che hanno la malattia ma risultano negative al test“. I ricercatori pensano che si tratti di un cluster di individui resistenti i quali, pur essendo stati fortemente a contatto con la persona positiva al virus molto a lungo nel tempo, non solo non si sono ammalati. “Si è dimostrato che c’è stata un’esposizione certa, il test molecolare ed il sierologico sono risultati negativi oltre a tutta una serie di criteri che servono ad identificare bene queste persone chiamate resistenti. Ne stiamo raccogliendo tanti in giro per il mondo per analizzarli geneticamente, mettere insieme i dati e vedere cosa viene fuori”, afferma Novelli.
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Fonte: ilgiornale.it (A. Ferro)
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