Quegli atti sessuali non si possono negare, perché sono stati da lui ripresi con il suo cellulare, all’interno del quale gli inquirenti hanno trovato i file video decisamente espliciti. Ma il suo difensore, l’avvocato Massimo Pavan, ha invece sostenuto la tesi che la ragazza coinvolta fosse consenziente.
Di tutt’altro avviso è invece il pm di Venezia, Roberto Piccione, che contesta all’uomo, un operatore sociosanitario (oss) che lavora in una struttura di Padova, sia la violenza sessuale nei confronti di una paziente psichiatrica all’epoca minorenne, che la produzione di materiale pedopornografico. E per questo ha chiesto una pesante condanna a sei anni e otto mesi (che sarebbero stati dieci senza lo sconto di un terzo della pena).
I parenti della giovane, dal canto loro, hanno sottolineato la gravità dei fatti, negando che si possa parlare di consenso, visto il disturbo di personalità diagnosticato alla vittima e chiesto un risarcimento danni di 40mila euro. Il gup lagunare Alberto Scaramuzza ha rinviato l’udienza al prossimo 24 luglio, quando dopo le repliche delle parti emetterà la sua sentenza. Il processo si celebra a Venezia perché la pedopornografia è un reato distrettuale.
I fatti risalgono alla primavera del 2022, quando la ragazza era ricoverata per i suoi problemi di comportamento. E proprio in quel periodo iniziarono gli abusi, tra aprile e maggio. Rapporti sessuali ripetuti, su cui è emerso più di un sospetto durante un colloquio con la madre: la giovane non le avrebbe riferito esattamente cosa accadeva in reparto con quell’oss, ma avrebbe spiegato che tra i due era in corso uno scambio di messaggi. Alla donna, però, qualcosa non tornava e decise di parlarne con uno alcuni psicologi in servizio nella struttura. I sospetti della madre furono condivisi dall’esperto, che subito li segnalò.
A quel punto partì l’indagine, coordinata dalla procura lagunare, e quello che la madre temeva si è rivelato purtroppo vero: sua figlia era stata ripetutamente abusata e la prova era in quei video salvati nel telefono dell’operatore. Debole, in condizione di disabilità psicologica, l’adolescente era in una situazione di “sottomissione”, e probabilmente nemmeno si rendeva conto della gravità di quanto era costretta a subire. Però nel corso del faticoso interrogatorio di un anno fa, con l’ausilio di uno psicologo, alla fine aveva ammesso di essere stata “violentata” e di aver poi anche tentato il suicidio.
Per questo si è arrivati al processo. La difesa ha anche tentato nella scorsa udienza, celebrata due settimane fa, di accedere alla giustizia riparativa prevista dalla riforma Cartabia. Ipotesi che però il giudice ha rigettato, alla luce della gravità dei fatti contestati. Ha invece accolto la domanda di accedere al rito abbreviato, che concede uno sconto di un terzo della pena.
L’oss, da quando è scoppiato il caso, ha sempre contestato tutte le accuse, sostenendo appunto la tesi del consenso della presunta vittima. E in sua difesa, è stato segnalato che continua a lavorare nella struttura dove sarebbero avvenuti i fatti. In attesa della sentenza è stato solo spostato in un altro reparto.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere della Sera
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