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Ospedali con regimi dietetici a base vegetale: l’evidenza scientifica è ancora lontana

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Ospedali con regimi dietetici a base vegetale: quando l'evidenza scientifica è ancora lontana
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In Italia possiamo parlare di ospedali che impostano regimi dietetici a base vegetale, rispettando le evidenze scientifiche? Nonostante le linee guida nazionali e internazionali che raccomandano un’alimentazione a base vegetale, anche per bambini e neonati, negli ospedali si continua a non tenere conto dell’alimentazione come fattore di prevenzione

Chiunque di noi sia stato un degente o abbia fatto visita a un famigliare negli ospedali avrà notato nei piatti forniti ai pazienti alimenti non veg: prosciutto cotto, stracchino, pollo, hamburger, formaggi di vario tipo. E, aspetto ancora più paradossale, menù non personalizzati, ma uguali per tutti.

Il nodo cruciale è che gli ospedali, nella maggior parte dei casi, si avvalgono di ditte esterne, e sono queste ultime a “programmare” il genere di alimenti da proporre. Non vi è, di fatto, un board ospedaliero dietro le scelte alimentari. Per questo, tuttavia, c’è una spiegazione: soltanto da qualche anno nelle università si sta iniziando a porre un’attenta riflessione sull’alimentazione.

Le linee guida del ministero della Salute – le più recenti sono del 2018 – instradano sull’importanza di considerare diete a base vegetale per i degenti degli ospedali, fatto salvo il considerare le specifiche condizioni di ogni paziente. Si evidenzia: “Programmare diete che rispondano alle specifiche esigenze etiche, culturali, religiose di differenti gruppi”, anche se tra le conclusioni si invita i gestori delle mense a non concedere menù differenti da quelli di riferimento (se non in caso di patologie accertate).

In realtà gli Stati Uniti sono già alle prese con le diete plant-based. Dal 2023 il NYC Health + Hospitals, il più grande sistema sanitario municipale del Paese, ha reso il cibo a base vegetale lo standard per i pasti dei degenti. Ciò significa che il cibo offerto dagli ospedali non contiene carne, latticini o uova. E anche la seconda opzione offerta, se la prima non è gradita, è a base vegetale. E per chi vuole la carne? Occorre fare una richiesta speciale. E in termini di costi il risparmio è assicurato: 59 centesimi per vassoio.

In Italia l’esperimento che più si avvicina a questo è quello di Bolzano, il primo ospedale d’Italia a proporre a ogni inizio di settimana un menù veg ai propri dipendenti (un esempio di prevenzione promossa verso i professionisti sanitari).

Nel 2023 anche l’ospedale di Biella ha iniziato a proporre la dieta vegetale riservata alle neo mamme: un esperimento possibile per la presenza di una mensa interna. I ricercatori biellesi nel 2022 avevano pubblicato i risultati in un articolo scientifico sull’impatto salutare di un approccio nefrologico green per chi ha problemi di insufficienza renale, supportata da una ricca letteratura scientifica.

Dal punto di vista strettamente legato alla salute del nostro organismo – senza contare il tema dell’impatto ambientale – sono ormai molte le revisioni scientifiche negli anni hanno sottolineato che diete ricche di alimenti di origine animale minacciano la salute umana e planetaria più di quelle plant-based, anche non necessariamente completamente vegane.

E nelle università? Sono pochissime le mense che offrono alternative a base vegetale. Eppure, un articolo apparso su The Lancet nel 2023 sottolineava come le università dovrebbero guidare la transizione verso una dieta plant-based. Si legge: “Procurandosi diversi tipi di alimenti, le università potrebbero ridurre molti di questi effetti negativi risparmiando anche denaro”. 

Come sottolineato in diversi rapporti, anche recenti, del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici e dalla EAT – Lancet Commission on Food, Planet, Health, riduzioni sostanziali della domanda di alimenti di origine animale sono vitali per raggiungere gli obiettivi climatici e per mantenere la produzione alimentare entro i limiti planetari.

“Un primo passo” – scrivono gli esperti della commissione di The Lancet – “sarebbe quello di garantire che ogni giorno sia disponibile almeno un’opzione a base vegetale conveniente, soddisfacente e salutare. Un secondo passo sarebbe fornire agli studenti e al personale degli ospedali informazioni su ciò che mangiano tramite attraverso interventi di alfabetizzazione alimentare e tabelle di valutazione dell’impatto dei piatti. In terzo luogo, come già praticato in molte università, sarebbe necessario incoraggiare attivamente i cambiamenti nella dieta attraverso misure soft, come la riduzione della componente di origine animale in un determinato piatto e prezzi contenuti”.

Anna Arnone

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