Introduzione di Giuseppe Papagni
Grande successo per il progetto editoriale denominato NExT (Nurse EXperimental Thesis) targato Nurse Times.
Giunge all’indirizzo mail della nostra redazione ([email protected]) il lavoro di tesi della dott.ssa Noemi Miele, dal titolo “La gestione del catetere venoso periferico: nuove tecniche per il reperimento degli accessi vascolari nel paziente pediatrico”, laureatasi presso l’Università “Tor Vergata” di Roma.
Relatori dott.ssa Natascia Mazzitelli e dott.ssa Nadia Fortuna.
La professione infermieristica ha come obiettivo fondamentale la tutela della persona e della sua salute, pertanto per poter garantire la miglior assistenza possibile, l’infermiere ha l’obbligo e il dovere di aggiornarsi al fine di evolvere la propria professione, acquisendo competenze e conoscenze adeguate e specifiche.
Partendo da questi presupposti, è doveroso sottolineare che l’infermiere ha la possibilità di aggiornare le proprie competenze in modo da portare dei miglioramenti nel proprio campo assistenziale.
L’attenzione rivolta sempre di più all’esecuzione di procedure assistenziali sicure come il reperimento degli accessi vascolari, ha portato alla scoperta di nuove tecniche per il loro trattamento. L’inserimento di un catetere venoso periferico è una procedura molto comune nel reparto di pediatria.
In più casi, questo è un procedimento relativamente semplice basato sul metodo tradizionale che prevede la visualizzazione e la palpazione della vena.
Tuttavia, il reperimento di un accesso venoso periferico nei pazienti pediatrici rappresenta il più delle volte una vera e propria sfida, dovuta oltre che dalle condizioni anatomiche, anche dalla complessità di quelle mediche.
Il catetere venoso periferico (CVP) è un dispositivo, munito di un ago-cannula o ago a farfalla, che permette di collegare la superficie cutanea con una vena del circolo periferico ed è comunemente utilizzato nella pratica clinica ospedaliera per la somministrazione di farmaci, sangue e i suoi derivati.
I cateteri periferici sono difficili da inserire nei bambini, soprattutto a causa della mancanza di collaborazione del paziente, determinando l’esecuzione di punture venose ripetute, che rappresentano uno dei più grandi traumi nei bambini ospedalizzati. Complessità sottolineata anche dal fatto che è molto difficile inserire una cannula endovenosa di dimensioni adeguate e affidabili nei pazienti pediatrici.
Oltre che dalla scelta del catetere il successo d’inserimento dipende anche dal sito di veni-puntura; possono essere scelti diversi siti anatomici per l’accesso vascolare periferico nei pazienti pediatrici, garantendo sempre il comfort del piccolo paziente e la salvaguardia del patrimonio venoso.
E’ consigliato, infatti, usare i rami distali di una grossa vena lasciando i punti migliori per eventuali emergenze. Il sito d’incannulamento frequentemente utilizzato a livello degli arti superiori è il dorso della mano, consentendo al bambino una maggiore attività di movimento.
Altri caratteristiche riguardano le dimensioni ridotte del braccio ed il plesso venoso meno sviluppato, la mancanza di cooperazione del bambino per cui è necessaria l’esecuzione di più tentativi.
La pelle scura e l’obesità, periodi lunghi e frequenti di ospedalizzazione, somministrazione di più farmaci e un patrimonio venoso di scarsa qualità nel bambino (vene sclerotiche, traumatizzate, presenza di flebite), influiscono sulla visualizzazione delle vene periferiche, determinando l’insuccesso della procedura al primo tentativo.
Al fine di garantire l’accesso venoso periferico l’infermiere deve gestire in modo adeguato il catetere stesso, prendendo in considerazione diversi fattori tra cui:
- il materiale di cui è composto il catetere venoso periferico;
- i tempi di permanenza; la soluzione antisettica da usare sulla cute;
- la tolleranza del paziente (comparsa di eventuali reazioni allergiche o dolore);
- la valutazione e il monitoraggio del sito di inserzione (integrità e sensibilità cutanea, segni di flebite, infiltrazione, stravaso);
- il tipo di medicazione e la frequenza della sua sostituzione;
- il monitoraggio del dispositivo di accesso vascolare (pervietà, flusso, fissaggio);
- la modalità di somministrazione della terapia prescritta.
La cute deve essere pulita prima di applicare l’antisettico; si raccomanda di utilizzare come antisettico la clorexidina al 2% in alcool; in alternativa si può usare lo iodo-povidone al 10% oppure alcool al 70% purché vengano rispettati i tempi di efficacia del prodotto secondo le indicazioni dell’azienda produttrice (CDC 2011).
I CDC di Atlanta raccomandano, inoltre, di lasciare l’antisettico sul sito di inserimento e di farlo asciugare all’aria; lo iodo-povidone dovrebbe rimanere sulla cute per almeno 2 minuti o più se non ancora asciutto.
Per ridurre il rischio di flebite si deve riposizionare il catetere venoso periferico ogni 72-96 ore. Se però il patrimonio venoso è limitato e non vi sono segni obiettivi di flebite o infezione, il catetere può essere lasciato in sede più a lungo soprattutto nel paziente pediatrico.
In questo caso è necessario tenere sotto stretto controllo il paziente ed il sito d’inserimento; rimuovendo subito il catetere quando si sospetta una flebite oppure quando non è più necessario.
La medicazione con garza o cerotto sul sito d’incannulamento dovrebbe essere evitata poiché non consente la visualizzazione dell’area sottostante anche se possiede una caratteristica traspirante che favorisce un ambiente più asciutto del sito di inserzione con minor possibilità di colonizzazione microbica.
La medicazione in poliuretano trasparente permette, invece, l’ispezione visiva del sito di inserimento. In ogni caso questa deve essere sterile e semipermeabile; il cerotto non sterile non dovrebbe essere mai utilizzato. La medicazione deve essere rimossa e cambiata solamente quando risulta bagnata, staccata o sporca; nei pazienti che presentano una sudorazione abbondante, deve essere rinnovata più frequentemente (CDC 2011). Se non viene utilizzato, il catetere può essere lavato con 10 ml di soluzione fisiologica con chiusura in pressione positiva.
I dispositivi lavati con questa metodica rimangono pervi come quelli lavati con eparina. Per assicurare il mantenimento del catetere venoso periferico nei bambini, questo viene immobilizzato al braccio con l’utilizzo di tutori o stecche per evitare che si dislochi facilmente dal sito d’inserzione.
Questo tutore deve essere applicato e fissato con l’arto in posizione naturale per evitare restrizioni dell’afflusso di sangue o dei nervi e garantire il massimo comfort possibile al paziente; deve essere controllato giornalmente per evitare escoriazioni della cute, pressione troppo elevate dell’area interessata dal tutore causata dal nastro troppo stretto e dislocamenti accidenti del catetere.
La scelta del catetere venoso periferico e della vena più appropriata dipende anche dalle caratteristiche delle soluzioni o dei farmaci da somministrare.
L’osmolarità ed il PH sono i principali fattori intrinseci di soluzioni e farmaci in grado di
provocare alcune complicanze locali (flebite, infiltrazione e stravaso) se non vengono opportunamente rispettate le indicazioni relative ai tempi e alle modalità di infusione.
Negli ultimi anni sono stati progettati molti dispositivi allo scopo di facilitare la visualizzazione dei vasi da incannulare o per rendere meno traumatico o meno frequente l’inserimento dell’agocannula come transilluminazione, l’indicatore di vena, dispositivi a luce infrarossa ed ultrasuoni (Simhi, 2008).
L’illuminazione transcutanea è stata utilizzata con successo per molti anni in ambito neonatologico ed attualmente il suo utilizzo è stato allargato su bambini di tutte le età. Sono invece relativamente di recente introduzione i sistemi di visualizzazione delle vene a raggi infrarossi.
Questa metodica si avvale di dispositivi che emettono fasci di luce con frequenza vicina a quella dei raggi infrarossi: la luce emessa dallo strumento viene assorbita dall’emoglobina, presente nei vasi sanguigni superficiali e riflessa dai tessuti circostanti.
I vasi venosi superficiali si evidenziano direttamente sulla cute del paziente, apparendo come immagini in negativo su fondo chiaro. Un altro dispositivo progettato per aiutare a reperire un vaso venoso nei bambini è l’indicatore di vena (vein entry indicator). Questo strumento è composto da un contenitore in plastica al cui interno è presente un sensore di pressione, un’unità di elaborazione, un generatore di segnale e da una batteria che si collegata tramite un adattatore all’estremità distale della cannula, dopo aver rimosso il tappo della camera del ritorno venoso.
L’indicatore di vena riesce ad identificare una variazione di pressione nell’ago, che indica la penetrazione del mandrino nella vena e il reflusso di sangue nel lume del catetere emettendo un segnale acustico continuo, riducendo così la probabilità di uscire dalla parete posteriore della vena. Se quest’ultimo perfora la parete distale durante la procedura, il dispositivo identifica la diminuzione della pressione ed il segnale acustico si interrompe.
Questo facilita il posizionamento dell’ago-cannula nei bambini con uno scarso patrimonio venoso riducendo il numero di tentativi ed il tempo richiesto per questa prassi (Simhi et al., 2008). Esistono, inoltre, varie procedure per migliorare la visibilità venosa e presumibilmente facilitare l’inserimento della cannula endovenosa.
Ad esempio, per aumentare il diametro della vena solitamente si può picchiettare delicatamente sul sito, applicare un laccio emostatico a livello prossimale rispetto alla vena, chiedendo al paziente di stringere e rilassare le mani oppure di collocare il braccio in posizione di scarico per diminuire momentaneamente il ritorno venoso.
Queste manovre vengono utilizzate quotidianamente ma spesso non riescono ad essere efficaci (Lenhardt et al., 2002). Una tecnica per migliorare il reperimento della vena e l’inserimento delle cannule endovenose è quella del riscaldamento del braccio.
Questa pratica non è stata studiata in ambito pediatrico ma tuttavia è perfettamente applicabile anche su bambini ed adolescenti, in particolare quelli che, affetti da patologie croniche, necessitano di frequenti terapie venose.
Infatti, la veni – puntura ripetuta tende a ridurre la disponibilità di vasi incannulabili. E’ un accorgimento semplice che non richiede particolari dotazioni, è sufficiente un impacco di garze bagnate con acqua e riscaldate nel forno a microonde applicandole successivamente sulla zona interessata per 10 minuti circa.
L’utilizzo degli ultrasuoni per il posizionamento del catetere venoso periferico ha il giusto potenziale per migliorare il tasso di successo iniziale e ridurre quindi il numero di veni-punture nei pazienti pediatrici.
L’ecografia è una tecnica di indagine tomografica, capace di ricostruire sezioni variamente orientate di parti del corpo. L’ecografia sfrutta l’energia acustica (ultrasuoni) prodotta da apposite sonde manovrate a contatto con la regione da esplorare.
L’ecografo non è altro che un computer in grado, attraverso un software complesso, di tradurre graficamente un’eco ultrasonografico, deducendo dall’intervallo di tempo necessario agli ultrasuoni per tornare alla sonda e dall’intensità del segnale riflesso rispettivamente la profondità e la costituzione delle strutture.
Le sonde possono essere di varia foggia e operare con frequenze elettive; ciò si traduce in immagini di forma differente e soprattutto con diversa definizione, quindi con varia penetrazione in profondità.
Esistono due tipi di sonde: sonde ad alte frequenze e sonde a basse frequenze. La sonda lineare, utilizzata appunto per l’analisi dei vasi superficiali, ha un’impugnatura ergonomica e una “testa”, sul cui profilo libero, accolti in una banda grigia, ci sono i cristalli, responsabili con la loro vibrazione della generazione degli ultrasuoni e della ricezione dell’eco di ritorno.
Dal punto di vista ecografico i vasi appaiono come strutture tubulari, cilindriche se visualizzate lungo il loro asse maggiore e circolari se la sonda viene posta trasversalmente su di essi.
La parete dei vasi, in genere ecoriflettente, viene a delimitare un contenuto fluido omogeneo, che quindi appare transonico (nero). Nelle procedure interventistiche vascolari è fondamentale mantenere l’asepsi per due motivi: per evitare il rischio d’infezione vascolare, potenzialmente grave, e la difficoltà di mantenere la sterilità di apparecchiature (come sonde e cavi) non sterilizzabili con le normali procedure.
Nei casi in cui non ci sarà contatto dell’ago o degli altri dispositivi d’introduzione con la sonda, è possibile ricorrere ad un metodo semplificato che prevede l’utilizzo di un profilattico sterile posto sulla sonda. La sonda viene così protetta dal betadine impiegato per la disinfezione del campo operatorio o da vaselina sterile. Il materiale necessario per inserire il catetere periferico con l’utilizzo dell’ecografia è sostanzialmente identico al materiale necessario per il normale incannulamento di un accesso venoso periferico con tecnica classica.
Prima di eseguire la procedura eco-guidata è necessario informare il paziente e ottenerne il consenso scritto. Quindi la persona viene invitata ad assumere una posizione idonea e confortevole in base alle sue condizioni cliniche ed alla regione impiegata nell’incannulamento.
Poi vengono esaminate le vene con l’ecografo, al fine di individuare quella più idonea e poi si procede all’incannulamento, mantenendo l’ago con un’inclinazione di circa 45 °, diretto verso il centro del vaso. Esistono due approcci fondamentali per eseguire la tecnica eco-guidata per il reperimento degli accessi vascolari periferici: l’approccio complanare e trasversale. L’approccio complanare è una tecnica per cui l’ago viene diretto verso il bersaglio, mantenuto nel piano di scansione della sonda.
L’approccio trasversale è quello per cui la sonda è posta trasversalmente sul vaso da pungere, mentre l’ago segue una via perpendicolare al lato maggiore della sonda lineare. La tecnica eco-guidata comunque non è esente da rischi, infatti il rischio principale della puntura venosa eco-guidata è connesso al possibile incannulamento errato dell’arteria brachiale (o di una sua branca), che sopra la piega del gomito decorrono molto superficialmente e possono essere confuse facilmente con la vena cefalica o con la vena basilica.
Comunque attualmente l’ecografia infermieristica diverge in due distinti campi di applicazione: uno più propriamente operativo che prevede l’ausilio ecografico a procedure prevalentemente invasive ed uno che permette attraverso scansioni, opportunamente orientate ad organi bersaglio, di valutare ed eventualmente monitorizzare nel tempo le condizioni cliniche dei pazienti critici.
Noemi Miele
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