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Mutilazioni genitali femminili: un problema che sta diventando anche italiano

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Mutilazioni genitali femminili: un problema che sta diventando anche italiano
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Negli ultimi due decenni con l’acuirsi dei flussi migratori verso in nostro paese si sta sempre più evidenziando il problema delle mutilazioni genitali femminili (MGF) e di conseguenza sempre più operatori sanitari ed in particolare infermieri ed ostetriche si trovano a doversi confrontare con questo problema

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Vediamo quindi di districarci con pochi concetti in questa problematica cercando di capire di cosa si tratta e quali sono le conseguenze di questa pratica.

Per prima cosa dobbiamo dire che la pratica delle MGF è molto diffusa in diverse parti del mondo ed in particolare in Africa e più in particolare nell’Africa sub sahariana, pertanto i flussi migratori provenienti da quelle zone sono maggiormente a rischio.

Questa pratica è profondamente radicata nella cultura tradizionale di questi popoli pertanto nonostante sia condannata a livello mondiale come lesione dei diritti fondamentali dell’uomo fino al punto che la grandissima maggioranza dei paesi coinvolti ha legiferato rendendola illegale, però purtroppo non la si riesce a debellare.

Nel mondo, ancora oggi, sono più di 125 milioni le bambine e le donne che sono state sottoposte a MGF. Nei prossimi dieci anni, si stima che altri 30 milioni di bambine rischieranno di subire questa pratica. 

Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano i 29 paesi africani, mentre una quota decisamente minore vive in paesi a predominanza islamica dell’Asia.

Ma quali sono le conseguenze sulla salute delle donne di questa pratica?

Per prima cosa vediamo in cosa consiste diciamo quindi che ci sono diversi tipi di MGF che variano a seconda dei casi da una semplice escissione della clitoride ad una escissione della clitoride delle piccole e grandi labbra ed un cucitura del tramite vaginale lasciando un piccolo orifizio per far fuoriuscire urina e flusso mestruale, quindi pur rimanendo le conseguenze generali comuni a tutti i tipi di pratica sicuramente maggiore è la radicalità della pratica, maggiori sono le conseguenze.

Per tutte, l’evento è un grave trauma: molte bambine entrano in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue, inoltre considerando che tale pratica viene fatta in condizioni igieniche a dir poco discutibili il rischio di gravi infezioni e setticemie è elevato così come elevato è il rischio di emorragie.

Conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da Hiv, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto infine c’è anche un discreto rischio di mortalità del nascituro.

Inoltre non sono da trascurare le complicanze psicologiche derivanti dal trauma infantile subito con tale pratica e le ripercussioni sempre psicologiche che derivano dalla mutilazione che influisce negativamente anche sulla vita sessuale della donna.

Cosa spinge allora le donne a sottoporre le proprie figlie (ricordiamo che questa pratica vine maggiormente praticata trai 4 e i 14 anni) a questa pratica discutibile e pericolosa? E cosa spinge le bambine ad attendere con trepidazione e paura questo evento?

La cultura, le tradizioni, il fatto che da sempre sia così e che la cosa sia vista come un momento di festa per tutta la comunità di cui queste bambine sono il fulcro e la ragione sono senza dubbio delle forti spinte motivazionali per tutti gli attori in campo

A questo aggiungiamo che questa pratica è vissuta in realtà come un rito di passaggio e come una necessità ad essere una donna ed una buona moglie, per cui chi non viene sottoposta alla pratica verrà considerata una poco di buono e sicuramente nessuno la vorrà in sposa.

Quali strategie da mettere in atto per prevenire/debellare questo fenomeno? Come possiamo rapportarci a queste donne?

E’ fondamentale coinvolgere i paesi di origine, in molti dei quali tale pratica è proibita, divieto che però non ha prodotto gli effetti sperati, causa il radicamento nella cultura di queste popolazioni.

Gli interventi devono essere mirati, come il progetto portato avanti da AMREF che ha coinvolto in prima istanza i maschi dei villaggi ed in particolare quelli più autorevoli proponendo un rito alternativo molto simile a quello tradizionale in cui naturalmente mancava la parte mutilatoria.

Naturalmente in Italia questi riti sono pesantemente puniti dalla nostra legislazione, per cui molto spesso le bambine vengono riportate in patria per essere sottoposte a queste pratiche dai loro parenti (nonne, zie, comunità).

La prevenzione in Italia si basa su un processo multidisciplinare e multifattoriale partendo dai centri di riferimento regionali attivi, mantenendo come punto di riferimento per queste donne i consultori familiari ed i centri sanitari a loro dedicati.

Fondamentale sarà il contributo dei mediatori culturali e la progettazione di interventi mirati nelle singole comunità, in particolare in quella islamica, pratica che trae giustificazione sopratutto nella loro religione.

Per quanto riguarda la parte clinica bisogna pensare di inserire questa tematica anche nei nostri percorsi nascita prevedendo interventi specifici e necessari per queste donne atte a consentire un parto sereno e sicuro prevedendo una defibulazione preventiva o in casi più estremi un parto cesareo.

In caso della defibulazione deve essere chiaro fin da subito che non sarà possibile un successivo ripristino della situazione precedente, in quanto si è visto che spesso queste donne chiedono di essere richiuse dopo il parto e naturalmente vanno spiegati i motivi sia etici che legali dietro questo rifiuto, tramutando ove possibile un rifiuto in un occasione di contatto.

Possiamo quindi dire che gli infermieri potranno avere un ruolo importante sia dal punto di vista preventivo che più propriamente assistenziale, immaginando che si possano prevedere importanti contributi legate ad opportunità assistenziali legate all’infermieristica di famiglia e di comunità.

Di seguito la testimonianza di Mahatari, una delle 3 milioni di bambine sotto i 15 anni che, ogni anno, vengono sottoposte alla mutilazione genitale femminile:

“Mi chiamo Mahatari e ho 10 anni. Vivo in Somalia, in un piccolo villaggio. La mia capanna non è tra le più belle, la mia mamma e il mio papà lavorano tutto il giorno e spesso per me e i miei fratellini non c’è quasi nulla da mangiare, ma io sono felice ugualmente. Mi hanno insegnato che quando c’è l’amore della famiglia si può superare tutto, e io sono davvero convinta che sia così. La mia mamma stamattina mi ha parlato di qualcosa di strano, qualcosa che lei vorrebbe che facessi. Mi ha detto che anche lei lo ha fatto alla mia età, che non devo spaventarmi, che lei sarà vicina a me in ogni momento, ma io non sono riuscita a capire bene cosa accadrà. Mi ha detto che sarà qualcosa di molto doloroso, che mi cambierà per sempre la vita, ma mi ha anche detto che lei lo ha fatto, sua madre lo ha fatto, sua nonna l’ha fatto, tutte le donne del villaggio lo hanno fatto, alla mia età. La mamma mi ha anche spiegato che sarà un sacrificio che dovrò fare per il mio futuro: se non le obbedirò verrò allontanata dalla mia comunità, nessuno vorrà sposarmi e rimarrò da sola… no, non voglio, obbedirò alla mamma! Anche le mie amiche faranno la stessa cosa, siamo tutte un po’ spaventate, ma sappiamo che le nostre mamme vogliono solo il meglio per noi.”

Angelo De Angelis

Foto: www.movimentoideelibere.org

 

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