Dopo un’aggressione brutale durante il turno al 118 Romagna, la Dott.ssa S. Faeti denuncia l’abbandono dell’AUSL e chiede più sicurezza per gli operatori sanitari.
L’aggressione in servizio: «Quel giorno ha cambiato per sempre la mia vita»
Era il 20 aprile 2024 quando la Dott.ssa S. Faeti, infermiera del 118 Romagna, è stata brutalmente aggredita da uno sconosciuto sul luogo di lavoro, in pieno orario di servizio. Un episodio di violenza che, come lei stessa racconta, «ha segnato per sempre la mia esistenza, sul piano fisico, professionale e umano».
L’aggressione le ha causato esiti traumatici permanenti al rachide cervicale, fratture multiple (sterno, costole, naso, turbinati e setto), una ferita da arma bianca all’arto superiore destro, la rottura del legamento crociato anteriore e una sindrome da stress post-traumatico legata all’evento critico.
«Ho subito cinque interventi chirurgici e mi attende il sesto, molto invasivo» spiega. «Non potrò mai più tornare a lavorare in unità di emergenza, né riprendere il mio ruolo nel SAER. Mi hanno tolto non solo il mio lavoro, ma la mia identità professionale».
L’appello: «L’azienda non risponde. Né alle mie mail, né al mio dolore»
La Dott.ssa Faeti lavora in sanità dal 2012, prima con contratto a tempo determinato e poi, dal 2016, a tempo indeterminato dopo concorso pubblico. Eppure, dopo l’aggressione, racconta di aver trovato solo silenzio e indifferenza.
«Invio mail e messaggi ogni settimana, dopo ogni visita Inail, ma nessuno risponde. Non ho ricevuto né supporto burocratico, né morale» denuncia. «Dopo 12 anni di servizio, il mio infortunio gravissimo non è stato nemmeno attenzionato. È come se non esistessi più».
Il caso riapre il dibattito nazionale sulla sicurezza degli operatori sanitari, tema sempre più urgente nelle cronache italiane. Secondo i dati Inail, ogni anno oltre 3.000 episodi di violenza avvengono ai danni di medici, infermieri e operatori socio-sanitari.
Il precedente giuridico: la sentenza di Ancona
Nel 2024 la Corte d’Appello di Ancona ha condannato un’azienda sanitaria a risarcire un’infermiera con oltre 22.000 euro per un’aggressione subita nel 2017 al pronto soccorso di Ascoli Piceno. In quel caso, la lavoratrice aveva riportato solo la frattura di un dito.
«Se per una frattura a un dito la Corte ha riconosciuto un risarcimento di oltre ventimila euro», riflette Faeti, «come può restare senza risposta un caso come il mio, in cui le lesioni sono permanenti e invalidanti?».
La sentenza di Ancona, secondo gli esperti legali, rappresenta un precedente importante in materia di responsabilità delle aziende sanitarie e tutela del personale, imponendo un obbligo di vigilanza e di prevenzione attiva contro episodi di violenza.
Una carriera spezzata: «Ho dato tutto per questo lavoro»
La Dott.ssa Faeti non è solo una professionista esperta in emergenza-urgenza, ma anche una figura con titoli di formazione avanzata e master specialistici, tra le prime in Regione per competenze. «Ho sempre scelto di crescere, formarmi, studiare per dare il massimo ai pazienti» racconta. «Ho sacrificato tempo personale, ferie, vita privata. E oggi mi ritrovo a dover lottare per essere riconosciuta come vittima di un’aggressione avvenuta in servizio».
Un’amara constatazione che apre a una riflessione collettiva: la violenza contro gli infermieri non è un fatto isolato, ma un problema strutturale. «Non si può parlare di qualità dell’assistenza se chi assiste non è tutelato. Ogni giorno, chi lavora in sanità rischia la propria incolumità per garantire sicurezza agli altri».
Il silenzio istituzionale e la richiesta di un cambiamento
«Non cerco compassione, cerco giustizia» afferma. «Mi rivolgo ai vertici dell’AUSL Romagna e alla cittadinanza: fermatevi a riflettere su cosa significhi lavorare in prima linea, oggi, senza protezioni adeguate. Non si può accettare che chi soccorre venga lasciato solo dopo essere stato aggredito».
L’appello è chiaro: riconoscere, tutelare e risarcire. Ma anche prevenire, attraverso formazione, protocolli di sicurezza e supporto psicologico post-evento.
Secondo il Ministero della Salute, è in crescita la percentuale di infermieri che denunciano aggressioni fisiche o verbali. Le Regioni, tra cui l’Emilia-Romagna, hanno approvato linee guida per la prevenzione, ma spesso restano lettera morta.
Un messaggio a tutta la sanità: «Chi cura, merita di essere protetto»
Il caso Faeti riaccende una discussione che coinvolge operatori del 118, pronto soccorso e ospedalidi tutta Italia. È necessario, come lei stessa scrive, «un atto di responsabilità collettiva: perché nessun altro infermiere debba vivere ciò che io ho vissuto».
L’aggressione subita dalla Dott.ssa Faeti non è solo una notizia di cronaca, ma un monito: la sanità italiana non può più permettersi di trascurare la sicurezza di chi la tiene in vita, ogni giorno, nei turni più difficili.
Redazione NurseTimes
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