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Melanoma in stadio avanzato: combinazione di farmaci ritarda la progressione, ma in modo non significativo

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Melanoma in stadio avanzato: una combinazione di farmaci ritarda la progressione, ma in modo non significativo
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Uno studio presentatoal congresso virtuale della European Society for Medical Oncology ha dimostrato la limitata efficacia di spartalizumab in associazione alla doppietta dabrafenib-trametinib.

Presentati al congresso virtuale della European Society for Medical Oncology (ESMO), i risultati dettagliati dello studio di fase 3 COMBI-i, nel quale si è valutato il farmaco immunoterapico sperimentale spartalizumab (un anti PD-1) in combinazione con la doppietta dei farmaci a bersaglio molecolare (target) dabrafenib e trametinib, rispetto alla sola doppietta. L’aggiunta dell’immunoterapia ai due farmaci target ha aumentato la sopravvivenza libera da progressione (PFS) di oltre quattro mesi, ma la differenza fra i due bracci non ha raggiunto la significatività statistica, probabilmente anche per una performance particolarmente buona della doppietta dabrafenib-trametinib, con la quale era trattato il braccio di controllo. Infatti i dati di efficacia ottenuti con la doppietta di farmaci target nel braccio di controllo rappresentano i migliori risultati di PFS osservati in diversi studi di fase 3 condotti con questi due agenti.

«La sopravvivenza libera da progressione prolungata osservata con dabrafenib più trametinib nello studio COMBI-i conferma che questa combinazione di farmaci mirati rimane un gold standard per i pazienti che hanno un melanoma avanzato BRAF-mutato – ha dichiarato l’autore principale del trial, Paul Nathan, oncologo medico presso il Mount Vernon Cancer Centre di Northwood, nel Regno Unito –. La buona notizia è che il braccio di controllo dello studio è andato meglio di quanto ci aspettassimo, e l’efficacia della doppietta dabrafenib-trametinib ha dimostrato di migliorare costantemente nel tempo. Anche se lo studio non ha raggiunto il suo endpoint primario, si è visto un importante trend a favore del braccio trattato con la tripletta sperimentale. C’è chiaramente molto ancora da imparare sui pazienti che potrebbero beneficiare dell’eventuale aggiunta di un’immunoterapico alla doppietta di farmaci target».

Lo studio COMBI-i è stato condotto su pazienti con melanoma cutaneo in stadio avanzato, portatori delle mutazioni più comuni del gene BRAF (V600E o V600K) e non trattati in precedenza (naïve). Queste mutazioni di BRAF, presenti in circa il 50% dei pazienti con melanoma, inducono l’iperattivazione di una via molecolare, il pathway di BRAF-MAPK, che provoca la proliferazione incontrollata delle cellule tumorali; il blocco di questa via determina quindi l’arresto della crescita e la morte delle cellule tumorali.

È stato dimostrato che nei pazienti con forme avanzate di malattia, l’associazione di farmaci target inibitori di BRAF e inibitori di MEK, quali dabrafenib e trametinib, che agiscono a livello di questa via, determina un buon aumento della PFS e anche della sopravvivenza globale (OS).
Nello studio COMBI-i, gli sperimentatori hanno cercato di capire se l’aggiunta di un farmaco immunoterapico, in questo caso l’anti-PD-1 spartalizumab (sviluppato da Novartis), potesse migliorare la performance della doppietta di farmaci target.

Lo studio COMBI-i (NCT02967692) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato e controllato con placebo, in doppio cieco, nel quale si è valutato l’anti-PD1 spartalizumab in combinazione con la doppietta dabrafenib-trametinib rispetto alla sola doppietta più un placebo come terapia di prima linea in pazienti con melanoma cutaneo non resecabile (stadio IIIC) o metastatico (stadio IV), portatori della mutazione V600E o V600K del gene BRAF, assegnati secondo un rapporto 1:1 alla tripletta sperimentale o al trattamento di controllo (doppietta dabrafenib-trametinib più placebo).

Lo studio è stato condotto in tre parti. Nella parte di run-in di sicurezza (parte 1), l’endpoint primario era l’incidenza delle tossicità dose-limitanti, mentre nella coorte in cui sono stati valutati i biomarker (parte 2) era la modulazione del microambiente immunitario e dei biomarker e nella parte randomizzata dello studio (parte 3) la PFS valutata dagli sperimentatori.

Lo studio ha coinvolto in totale 322 pazienti e il follow-up mediano, al momento dell’analisi dei dati, era di 27,2 mesi. La PFS mediana è risultata di 16,2 mesi nel braccio trattato con la tripletta sperimentale e 12 mesi nel braccio di controllo (hazard ratio [HR] 0,82; IC al 95% 0,655-1,027; P = 0,042), mentre i tassi stimati di PFS a 12 e a 24 mesi sono risultati rispettivamente del 58% e 44% con la tripletta e 50% e 36% con la doppietta. Il tasso di risposta complessivo è risultato del 68,5% con la tripletta (IC al 95% 62,6-74,1%) contro 64,2% per doppietta dabrafenib-trametinib (IC al 95% 58,1-69,9%).

Lo studio ha evidenziato anche una durata della risposta (DoR) significativa nel braccio trattato con la tripletta, in quanto al momento del cut-off dei dati, a 2 anni, la mediana non era ancora stata raggiunta, mentre nel braccio di controllo risultava di 20,7 mesi. Per quanto riguarda l’OS, non è stata testata formalmente e al momento dell’ultima analisi dei dati la mediana non era ancora stata raggiunta in nessuno dei due bracci, ma i dati preliminari hanno evidenziato un HR pari a 0,785, a favore della tripletta.

Nel trial, non sono stati osservati effetti collaterali nuovi e il profilo di sicurezza della doppietta dabrafenib-trametinib nel braccio di controllo è risultato coerente con quanto osservato negli studi precedenti. Da segnalare che nello studio COMBI-i si è valutato un nuovo protocollo di gestione degli effetti collaterali per affrontare la piressia, un effetto collaterale comune fra i farmaci mirati.

Gli eventi avversi gravi correlati al trattamento di grado ≥ 3 hanno avuto un’incidenza del 23,2% nel braccio sperimentale e 11% nel braccio di controllo Gli eventi avversi di grado ≥3 più comuni e non correlati al trattamento sono stati aumento dei livelli ematici di creatina fosfochinasi (rispettivamente 7,9% contro 7,2%), piressia (5,2% contro 3%), aumento dell’aspartato aminotransferasi (3,7% contro 1,1%), affaticamento (3,4% contro 1,9%), eruzione cutanea (3,4% contro 0,4%), astenia (2,2% contro 1,1%), cefalea (1,1% contro 1,5%), diarrea (0,7% contro 1,9%), nausea (0,7% contro 0,4%), artralgia (0,7% contro 1,5%) e brividi (0% contro 0,8%).
Eventi avversi correlati al trattamento che hanno portato all’interruzione di tutti i farmaci in studio si sono manifestati nel 12% dei pazienti nel braccio sperimentale e nell’8% dei pazienti nel braccio di controllo.

Redazione Nurse Times

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