Un vertice a Palazzo Chigi per fare il punto sulle tante questioni aperte in tema di sanità, a partire dalla riforma dei medici di famiglia, con l’ipotesi di un passaggio dalla libera professione, in convenzione col Servizio sanitario nazionale, alla dipendenza pubblica. La riunione è stata anche l’occasione per un confronto con le Regioni.
Erano presenti la premier Giorgia Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro della Sanità, Orazio Schillaci, quello dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, e quello della Regione Piemonte, Alberto Cirio.
Sulla riforma dei medici di famiglia, contestata duramente dalle organizzazioni di settore, Fedriga èp rimasto sul vago: “In questa riunione non è stato espresso alcun orientamento sullo status che i medici di famiglia dovrebbero acquisire. La nostra volontà è quella di una collaborazione, di una valorizzazione, ma per quanto riguarda le misure da mettere in atto ci sarà un confronto dentro la Conferenza. Immagino che il Governo immagino farà lo stesso al proprio interno, poi ci sarà un nuovo confronto”.
In linea di massima, l’idea alla base della riforma è chiara: trasformare tutti i medici di famiglia, che oggi sono lavoratori autonomi convenzionati, in dipendenti pubblici del Ssn. Il passaggio, almeno nelle intenzioni del Governo, riguarderebbe tutti i nuovi medici di base, mentre quelli già in attività potrebbero scegliere di restare convenzionati.
La novità servirebbe per garantire personale alle nuove case di comunità, spazi dedicati alla sanità territoriale previsti dal Pnrr (se ne dovrebbero aprire quasi 1.400 in tutto in Paese entro giugno 2026). Per i pazienti, quindi, le visite non si svolgerebbero più negli studi medici (almeno nella maggior parte dei casi), ma appunto nelle nuove strutture. E non sarebbero svolte necessariamente dal proprio medico, se in quel momento non fosse disponibile.
Chi è favorevole alla riforma
Tra i favorevoli alla riforma dei medici di famiglia, sulla carta, ci sarebbe il ministro Schillaci, che però non sarebbe del tutto convinto della nuova impostazione. A spingere sarebbero soprattutto Fratelli d’Italia e Lega, in particolare i loro presidenti di Regione. Il governatore del Lazio, Francesco Rocca, insieme a diversi presidenti leghisti (Attilio Fontana in Lombardia, ma anche Luca Zaia in Veneto, sebbene in modo meno esplicito), vorrebbe invece accelerare su una soluzione per la carenza di personale nelle case di comunità.
Al momento, insomma, la maggioranza sembra divisa. Ci sarebbe una prima bozza di partenza, stilata da alcune Regioni. Ma non è ancora chiaro dove si potrà trovare il compromesso. I medici potrebbero avere soltantola scelta, e non l’obbligo, di diventare dipendenti del Ssn? Per il momento la questione resta aperta, e non sembra che il Governo possa trovare la quadra in tempi brevi.
Chi è contrario alla riforma
Un primo stop alla riforma dei medici di famiglia arriva invece da Forza Italia. “I medici di medicina generale dovranno essere disponibili fino a 18 ore su 38 per le case di comunità, e per 20 ora rimanere a disposizione dei propri pazienti convenzionati, continuando a garantire una assistenza vicina ai cittadini nei propri studi salvaguardando il rapporto fiduciario – afferma Paolo Barelli, presidente dei deputati di FI -. Ma devono mantenere lo stesso attuale rapporto giuridico libero-professionale di parasubordinato convenzionato e non dipendente”. Una posizione ribadita anche da Tajani.
L’ipotesi del passaggio alla dipendenza dal Ssn è respinta senza appello dagli stessi medici di famiglia, secondo i quali ciò significherebbe lavorare quasi esclusivamente nelle case di comunità, dove sarebbero presenti sette giorni su sette a rotazione, privando il cittadino della possibilità di scegliere in autonomia il proprio medico di base.
Monta dunque la protesta, testimoniata dalla lettera aperta ai cittadini che la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) del Lazio ha diffuso ieri: “Vogliono farci fare i dipendenti per poterci controllare meglio. Ad esempio per decidere loro quali farmaci prescrivere e quali no, quali visite o accertamenti prescriverti e quali no. Il tutto organizzato con le stesse sapienza e capacità con cui stanno gestendo le liste d’attesa. È il momento di far sentire le nostra e la vostra voce: non si può rimanere in silenzio”.
Redazione Nurse Times
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