Martedì 3 novembre è stato presentato a Roma, al Senato, il secondo rapporto sulle reti di assistenza ai malati rari. Lo studio (clicca qui per il report completo fornito da Il Sole 24 Ore ), che ha analizzato le esperienze maturate in alcune Asl di Lombardia, Toscana, Sardegna e Puglia, si è concentrato sullo stato di attivazione del Piano nazionale malattie rare (Pnmr) 2013-2016. Il report è stato presentato da C.R.E.A. Sanità, Federsanità Anci e Gruppo Recordati.
Cosa è emerso dall’analisi?
Federico Spandonato, presidente di C.R.E.A. Sanità (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata) e professore aggregato presso l’Univeristà degli Studi di Roma – Tor Vergata, sottolinea che “dalla rilevazione emergono tre modelli con proprie caratteristiche distintive, inevitabile conseguenza delle logiche federaliste a cui si ispira il Servizio sanitario nazionale, e in ossequio alle quali il Piano nazionale malattie rare si ferma alle indicazioni generali lasciando ampio spazio implementativo alle Regioni”.
Quali sono i tre modelli di riferimento?
Le peculiarità con cui si sono strutturati i tre “modelli guida” sono da ritrovare nelle esperienze della Asl di Brescia, della Ausl 8 di Arezzo e delle Asl di Taranto e Cagliari. In dettaglio, il primo modello prevede un canale preferenziale per il malato raro nella struttura delle risposte assistenziali, e per questo motivo è stato costituito un Centro Territoriale per le Malattie Rare (CTMR), che rappresenta un punto di riferimento unico per pazienti e famiglie, e svolge anche un ruolo di coordinamento locale per gli operatori socio sanitari (clicca qui per la pagina dedicata sul sito della Asl di Brescia). Al servizio si può accedere su appuntamento senza impegnativa del MMG o del Pediatra, ed è gratuito.
Il secondo “standard” caratterizza l’esperienza della Ausl di Arezzo, che prevede la non separazione dei percorsi assistenziali tra malati cronici affetti da patologia “non rara” e malati rari. Questo approccio si basa sull‘assunto che un sistema efficace ed efficiente di risposta alla cronicità (Il Chronic Care Model, n.d.a.) sia un riscontro di per sé adeguato alle problematiche dei malati rari, non necessitando di particolari adattamenti o differenziazione dei percorsi.
Il terzo e ultimo modello, riguardante le Asl di Taranto e Cagliari, prevede un’attivazione di risposte caso-specifico, gestite sia a livello aziendale che regionale.
I tre modelli, come si legge dal report, risultano coerenti con i modelli organizzativi in cui le realtà analizzate si situano: il primo è chiaramente coerente con il modello lombardo, che prevede una chiara separazione fra ruoli di produzione e committenza. Il secondo si lega all’adozione, generalizzata in Toscana, dell’approccio del cosiddetto “Chronic Care Model”. Il terzo, riscontrato nelle due Regioni del Sud analizzate, ancora in una fase di sviluppo embrionale del modello di risposta per le malattie rare, è un modello misto, con una forte presenza di “corpi intermedi”, che regolano i rapporti fra produttori e committenti. (ripreso da Il Sole 24 Ore)
Il presidente di Federsanità Anci Angelo Lino del Favero afferma che “In Italia le persone affette da malattia rara sono circa due milioni e più del 70% sono bambini. Questi dati testimoniano quanto le malattie rare non siano un fenomeno marginale del Paese, ma anzi costituiscono una delle sfide più importanti da affrontare prima di tutto attraverso la condivisione delle conoscenze. L’assistenza ai malati rari richiede, infatti, una serie molto complessa e articolata di interventi che coinvolgono l’organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell’intero Ssn. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere realmente soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono in parte dalla complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche tipologie e in parte dalla obiettiva diversità dei servizi sanitari regionali, soprattutto sotto il profilo della qualità”.
La condivisione delle conoscenze e l’implementazione delle risorse socio-assistenziali per pazienti con patologia rara sono sempre stati due punti cardine di UNIAMO, la Federazione Italiana Malattie Rare.
Dal 2009 ad esempio, con il progetto territoriale “Conoscere per assistere” – rivolto a professionisti in ambito pediatrico e di medicina dell’adulto prevalentemente operanti a livello territoriale (pediatri di famiglia e medici di medicina generale) – si è avuto l’obiettivo di formare i partecipanti verso una nuova sensibilità diagnostica ma soprattutto assistenziale di fronte al malato (bambino o adulto) affetto da malattia rara. Il progetto è stato portato avanti fino a fine 2013, toccando varie realtà in tutta Italia.
Più recentemente, in occasione della Settimana Europea delle Biotecnologie, sono state organizzate tre giornate (la prima a Torino il 12/10, la seconda a Firenze il 14/10 e la terza a Campobasso il 16/10) che hanno avuto come tema screening neonatali e medicinali orfani. Con la tecnica del gioco-dibattito Playdecide, certificato dalla Commissione Europea, varie figure che operano nel settore della sanità (medici, rappresentanti di aziende farmaceutiche, infermieri, farmacisti e, non per ultimi, anche pazienti con malattie rare) hanno potuto confrontarsi su queste due tematiche e, partendo da punti di vista personali, hanno costruito un percorso comune per creare una visione condivisa rispetto a questi due argomenti.
Questi incontri sono state occasioni uniche sia dal punto di vista formativo che attuativo, per smuovere le acque riguardo a screening neonatali e farmaci orfani, ma anche e soprattutto per discutere riguardo ai livelli assistenziali dei pazienti con malattia rara, cercando di dare continuità a quello che a livello nazionale si è proposto proprio con il rapporto sulle reti di assistenza ai malati rari, e a livello europeo con EUROPLAN, ovvero il Progetto europeo per lo sviluppo e l’implementazione di Piani nazionali per le malattie rare.
Per ulteriori informazioni su UNIAMO consultare www.uniamo.org
Marco Parracciani
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