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Malattie croniche: l’importanza dell’infermiere di famiglia e comunità

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Coronavirus, Asl Roma 6:  infermieri di famiglia sempre più in prima linea
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Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave. Nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno soli, e di questi, 1,2 milioni avrà più di 85 anni. Il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità fondata sulla rete territoriale di presidi sociosanitari e socioassistenziali, oggi ancora privilegio per pochi con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari.

Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 ce ne saranno quasi il doppio: 63. Un cittadino su due reputa che il numero di infermieri sia insufficiente per garantire l’assistenza non solo in ospedale ma anche sul territorio: i cittadini chiedono soluzioni che promuovano la figura del professionista nella realtà quotidiana della persona, vorrebbero essere assistiti da un infermiere nella farmacia dei servizi (65,5%), poter disporre di un infermiere di famiglia/comunità (78,6%), avere la possibilità di consultare un infermiere esperto in trattamento di ferite/lesioni cutanee (86,1%), un infermiere a disposizione nei plessi scolastici per bambini e ragazzi che ne abbiano bisogno (84,1%). Vorrebbero avere un infermiere di fiducia convenzionato come il medico di famiglia perché lavori in sinergia con questo ed entrambi possano assicurare assistenza h24.

La Fnopi ha calcolato che per far fronte nell’immediato al bisogno di salute sul territorio delle persone con patologie croniche e non autosufficienza, oltre ai medici di medicina generale per quel che attiene alla diagnosi e alla terapia, servono per l’assistenza continua di cui questi soggetti hanno bisogno almeno 31mila infermieri (uno ogni 500 persone con queste caratteristiche, che in Italia sono oltre 16 milioni). La forma contrattuale per questi infermieri, se non dipendenti delle aziende sanitarie che potrebbe essere un problema dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro ed è giudicata un’opzione limitante dagli stessi infermieri finora coinvolti nelle sperimentazioni/organizzazioni locali, potrebbe essere anche quella libero professionale o, appunto, convenzionata, in modo tale da poter anche dividere con il Mmg il rischio di impresa: lo studio funziona se funzionano i professionisti, il paziente è fidelizzato se si ottiene la loro fiducia.

Secondo l’Oms il “nuovo infermiere” è colui che aiuta gli individui ad adattarsi a malattia e disabilità cronica trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio della persona assistita e della sua famiglia. L’obiettivo è mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute. Oggetto dell’assistenza dell’Infermiere di famiglia è l’intera comunità, di cui la famiglia rappresenta l’unità di base. In tal senso l’infermiere di famiglia svolge il suo ruolo nel contesto comunitario di cui fanno parte la rete dei servizi sanitari e sociosanitari, le scuole, le associazioni e i vari punti di aggregazione.

Già alcune Regioni (Lombardia, Piemonte e Toscana ad esempio) hanno deliberato ufficialmente l’introduzione nel Ssr di questa figura, prevedendone non solo ruoli e funzioni, ma anche percorsi formativi, Altre (Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Puglia, Valle d’Aosta) hanno attivato sperimentazioni e altre ancora hanno presentato proposte di legge (Lazio, Sicilia) per istituire l’infermiere di famiglia. Il limite attuale è che tutto ciò avviene soprattutto in periferia, nelle realtà più piccole e senza un’organizzazione istituzionalizzata che sarebbe necessaria per allargare il metodo anche alle grandi città e alle metropoli e uniformare il modello di assistenza.

L’idea potrebbe essere quella del medico di medicina generale “clinical manager” dei pazienti sul territorio e dell’infermiere care manager, il loro “welfare manager” Perché dopo la giusta diagnosi e la scelta della migliore terapia il paziente ha assoluta necessità di essere seguito, guidato e aiutato nei suoi bisogni di salute con approccio proattivo e trasversale, prerogative della professione infermieristica. Un infermiere che lavori in équipe col medico, un infermiere “di famiglia” accanto e a fianco del medico di famiglia, vere e proprie “micro-équipe” sul territorio che siano davvero a fianco del paziente, senza soluzioni pericolose e che dia a ciascuno il suo ruolo nel rispetto delle singole professionalità.

L’infermiere di famiglia può gestire i processi infermieristici in ambito familiare e di comunità di riferimento e opera in collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta, il medico di comunità e l’équipe multiprofessionale per aiutare individuo e famiglie a trovare le soluzioni ai loro bisogni di salute e a gestire le malattie croniche e le disabilità.

Dieci potrebbero esse le funzioni che lo descrivono, sempre, si intende concordate e coordinate in base allo spirito multiprofessionale e di collaborazione: 1. Valutare lo stato di salute e i bisogni della persona nelle diverse fasi della vita (adulta, infanzia, adolescenza), del contesto familiare e conoscere quelli di comunità; 2. Promuovere e partecipare ad iniziative di prevenzione e promozione della salute rivolte alla collettività; 3. Promuovere interventi informativi ed educativi rivolti ai singoli, alle famiglie e ai gruppi, atti a promuovere modificazioni degli stili di vita; 4. Presidiare e facilitare i percorsi nei diversi servizi utilizzando le competenze presenti nella rete; 5. Pianificare ed erogare interventi assistenziali personalizzati alla persona e alla famiglia, anche avvalendosi delle consulenze specifiche degli infermieri esperti (es. wound care, sto mie e nutrizione artificiale domiciliare, ventilazione domiciliare, cure palliative ed altre); 6. Promuovere l’aderenza ai piani terapeutici e riabilitativi 7. Partecipare alla verifica e monitoraggio dei risultati di salute; 8. Sostenere i percorsi di continuità assistenziale tra sociale e sanitario, tra ospedale e territorio e nell’ambito dei servizi territoriali sanitari e sociosanitari residenziali e semi-residenziali; 9. Garantire le attività previste per la realizzazione degli obiettivi della nuova sanità di iniziativa; 10. Partecipare nell’integrazione professionale al perseguimento dell’appropriatezza degli interventi terapeutici e assistenziali, contribuendo alla relazione di cura, al rispetto delle volontà del paziente espresse nella pianificazione delle cure, anche in attuazione della Legge 219/17 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento).

Ciò che importante è che si crei un team, una sinergia professionale a favore del paziente e che il team multiprofessionale non segua logiche di prevaricazione professionale, ma sia un team messo in condizioni di confrontarsi con pari dignità, con ruoli definiti e definibili che sono in grado di orientare i percorsi secondo la professione più “pesante” e “prevalente” nei bisogni della persona. Un team, una micro-équipe, appunto, che sia in grado di farsi carico davvero del paziente h24 nel rispetto e nella complementarietà di ruoli, competenze e funzioni di chi, unico, il paziente può davvero assisterlo sul
territorio, nella piena domiciliarità.

I ruoli dell’infermiere di famiglia – Applicando il concetto alla stratificazione della popolazione, i ruoli assumibili dalla professione infermieristica possono essere identificati su tre livelli:

✓ Infermiere di Comunità/Welfare comunitario
✓ Infermiere di Famiglia Care Manager
✓ Infermiere Disease Case Manager

La figura del care manager, nello specifico, deve svolgere una funzione di coordinamento di natura principalmente gestionale-organizzativa sulle attività assistenziali di uno o più persone in carico, garantendo la continuità del percorso e l’armonia degli interventi quando sono coinvolti molteplici soggetti erogatori e/o diverse modalità assistenziali.

Il care manager è la figura di riferimento per il paziente, la sua famiglia e il caregiver e rappresenta colui in grado di gestire in maniera efficace ed efficiente la presa in carico del paziente. Si tratta di un operatore esperto
in grado di orientarsi sia rispetto al percorso assistenziale previsto, sia rispetto all’offerta del territorio, di interfacciarsi con l’assistito e il suo contesto e di rapportarsi con le istituzioni e gli enti erogatori. Può aver un
profilo di tipo sanitario o socioeducativo in funzione della tipologia di utenza seguita. Tale percorso permetterebbe una regia condivisa della valutazione con relativa definizione del percorso di presa in carico, con modalità di attivazione reattiva, su richiesta dell’assistito, familiari, caregiver o proattivo, sulla base della valutazione della popolazione e territorio di afferenza.

L’intervento dei professionisti infermieri si sviluppa sostanzialmente in tre ambiti:

• A livello ambulatoriale, l’Infermiere eroga l’assistenza a tutti gli utenti che sono in grado di deambulare e che necessitano di assistenza infermieristica a medio-bassa complessità e/o interventi di educazione – promozione alla salute. L’attività ambulatoriale può essere svolta in strutture residenziali già esistenti nella comunità e affinché si attivino percorsi di integrazione efficaci è fondamentale la vicinanza dell’ambulatorio infermieristico al luogo di attività dell’assistente sociale, facilitando il riconoscimento di una sede socio-assistenziale e di conseguenza l’integrazione delle due aree. L’attività ambulatoriale provvede all’erogazione delle prestazioni di maggiore richiesta degli utenti (prelievi, medicazioni, iniezioni, infusioni, controllo e monitoraggio dei parametri vitali, ecc.) con una modalità di risposta complessiva che permetta di limitare in modo significativo la distanza, non solo fisica, tra cittadino e istituzioni; all’orientamento e informazione all’utente relativamente all’offerta sanitaria migliorando l’accesso e l’utilizzo dei servizi sanitari pubblici; alla promozione di interventi di educazione alla salute finalizzati all’autogestione di problematiche assistenziali semplici.
• A livello domiciliare, l’Infermiere eroga l’assistenza a tutti gli utenti che non possono recarsi in ambulatorio per gravi patologie o per difficoltà alla deambulazione che necessitano di assistenza infermieristica a medio- alta complessità, con carattere di continuità, con bassi livelli di autonomia che
abbisognano di periodiche prestazioni sanitarie. Inoltre il professionista segue utenti che vivono in un contesto familiare e sociale che richiede una particolare sorveglianza e/o protezione. L’attività a domicilio si caratterizza per le attribuzioni già illustrate nell’attività ambulatoriale integrate dalle funzioni di promozione della continuità delle cure tra ospedale e territorio e viceversa attraverso la messa in rete di tutti i servizi e i professionisti sanitari e sociali presenti nel territorio; promozione della salute nella comunità attraverso l’integrazione delle cure infermieristiche con tutte le esigenze di ordine sanitario, sociale e soprattutto educativo del nucleo famigliare, con un approccio volto a valorizzare le risorse delle singole famiglie indirizzandole verso una corretta autocura ed autogestione;
promozione della presa in carico leggera ed anticipata quando ancora il bisogno non sia stato espresso, ma è già potenzialmente presente; progettazione e verifica di interventi di “aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona” resi da altri operatori (operatori socio-sanitari,
assistenti familiari, familiari stessi ecc.); tutorato nei confronti dei care-givers, badanti, e/o altre risorse presenti nella comunità.
• A livello sociale, l’Infermiere svolge attività trasversali di fattivo sostegno dell’integrazione con l’obiettivo di favorire l’attivazione e l’integrazione tra gli operatori sanitari e sociali e le possibili risorse formali ed informali presenti sul territorio utili a risolvere problematiche inerenti i bisogni di salute. Tutto ciò l’Infermiere lo svolge attraverso il lavoro di rete che si può definire una modalità di lavoro nel quale a partire da un problema specifico, si definiscono le integrazioni necessarie per garantire la continuità dei percorsi, nonché le interrelazioni tra le funzioni dei servizi coinvolti a vantaggio di un miglior trattamento dei problemi di salute della persona o della comunità. (Pellizzari, 2008).

L’introduzione della figura dell’Infermiere di Famiglia nel Servizio Sanitario nazionale in modo omogeneo in tutte le Regioni rappresenta la risposta concreta al mutato contesto delineato. Si tratta di un professionista che svolge il proprio ruolo nella comunità in maniera reattiva e/o proattiva, in rete con tutti i servizi sociosanitari già offerti per:

  • favorire la promozione e il mantenimento della salute della persona, attraverso il rafforzamento della sua autonomia decisionale, grazie ad un’offerta assistenziale capace di garantire non solo prestazioni, ma anche di anticipare la lettura dei bisogni ancora inespressi;
  • accompagnare persona e famiglia nel percorso di riappropriazione del proprio progetto di salute e di vita;
  • accompagnare la persona assistita e la sua famiglia nell’individuare in fase precoce malattie e/o situazioni di rischio sanitario;
  • cooperare con MMG, PLS e le altre articolazioni territoriali sociosanitarie per accogliere e accompagnare il paziente e la sua famiglia nella scelta più appropriata rispetto al bisogno espresso e le opportunità della rete di offerta territoriale.

L’attivazione del Servizio, attraverso la misurazione di outcome, potrà impattare su aree quali:

  • la qualità di vita della persona assistita e della famiglia/caregiver, attraverso l’engagement e l’empowerment a favore del mantenimento di autonomia e capacità di cura;
  • la presa in carico attraverso la ricomposizione dei percorsi e la realizzazione di attività interdisciplinare tra medici, specialisti, infermieri ed altri professionisti, al fine di integrare operativamente le prestazioni sanitarie con quelle sociali;
  • la qualità e sicurezza delle prestazioni attraverso l’utilizzo efficace dei servizi presenti e la valutazione delle prestazioni/attività e relativi outcome.

Gli effetti possibili dell’infermiere di famiglia:

  • Favorire la promozione della salute della popolazione attraverso interventi di prevenzione, educazione e informazione sanitaria, influenzando positivamente la qualità della vita e delle persone assistite;
  • Aumentare l’accessibilità e l’orientamento ai servizi favorendo la realizzazione della continuità assistenziale, al fine di garantire un’effettiva presa in carico della persona assistita e l’integrazione fra assistenza sanitaria e sociale, in raccordo e sinergia con i diversi soggetti istituzionali, poli della rete e le diverse professionalità
    presenti sul territorio;
  • Concorrere a contrastare l’istituzionalizzazione “fragilità” attraverso l’educazione e il supporto dei pazienti al self management e aumentando la responsabilizzazione delle famiglie (percorsi di engagement);
  • Riduzione dei costi diretti dell’assistenza, a seguito di attività di prevenzione diffusa e individuazione precoce dei bisogni della popolazione;
  • Riduzione del volume di attività dell’assistenza ospedaliera al paziente fragile e riduzione accessi inappropriati ai Pronto Soccorso (rafforzamento indice continuità assistenziale);
  • Facilitare le dimissioni precoci in modo protetto;
  • Influenzare positivamente la qualità e la sicurezza delle risposte ai bisogni di salute della popolazione anche attraverso la rilevazione della soddisfazione delle persone assistite.

Nello specifico, le Regioni che lo hanno già istituito hanno descritto il suo ruolo in:

  • la promozione di sani stili di vita;
  • il riconoscimento precoce di stati di fragilità prima che insorgano stati irreversibili di disabilità; – la gestione integrata delle condizioni di cronicità in piena collaborazione con i medici di medicina generali
    e gli altri professionisti della sanità;
  • il potenziamento dell’offerta dei servizi territoriali e domiciliari;
  • il rafforzamento delle potenzialità delle comunità locali;
  • il miglioramento dell’accesso ai servizi con integrazione dei servizi assistenziali, sociali ed ospedalieri;
  • lo sviluppo dell’educazione terapeutica per l’autogestione della malattia e per l’appropriatezza del ricorso agli strumenti diagnostici e terapeutici;
  • la gestione di appropriati strumenti di tele-assistenza.

E hanno riconosciuto la valenza strategica dell’Infermiere di famiglia e comunità per potenziare l’offerta dei servizi territoriali e domiciliari per:

  • migliorare l’accesso ai servizi sanitari, con integrazione dei servizi assistenziali, sociali e ospedalieri;
  • promuovere sani stili di vita;
  • riconoscere precocemente gli stati di fragilità prima che insorgano stati irreversibili di disabilità;
  • gestire in modo integrato le condizioni di cronicità in collaborazione con i Mmg e gli altri professionisti;
  • sviluppare l’educazione terapeutica per l’autogestione della malattia;
  • gestire appropriati strumenti di tele-assistenza.

Conclusioni – I percorsi possibili per mettere a sistema la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità dopo le esperienze
e le sperimentazioni regionali (in alcuni casi formalizzate da delibere di Giunta) possono essere due:

  • un disegno di legge ad hoc di iniziativa governativa;
  • l’inserimento nel Patto per la Salute recepito con intesa Stato-Regioni e quindi allargato all’intero territorio nazionale.

La seconda opzione sarebbe preferibile per il percorso più rapido di realizzazione e comunque la nuova figura potrebbe trovare appoggio legislativo nel momento in cui il Patto o parte di esso vengono recepite in norme. La nuova figura rientra nella garanzia, valorizzazione e sviluppo delle competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti nazionali di settore.
In particolare, la novità è finalizzata alla copertura dell’enorme incremento di bisogno di continuità dell’assistenza, educazione terapeutica soprattutto per i soggetti più fragili, affetti da multi-morbilità, e così via, che è possibile perseguire anche attraverso lo sviluppo di strutture intermedie (es.: Ospedali di Comunità) a gestione infermieristica e domiciliarità.

Lo strumento è quello dell’implementazione sul territorio nazionale dell’esperienze assistenziali efficaci a partire dall’infermieristica di famiglia e comunità. La forma contrattuale per questi infermieri, se non dipendenti delle aziende sanitarie, visto il fenomeno della carenza del personale e dei limiti assunzionali, potrebbe essere anche quella libero professionale o
convenzionata, in modo tale da poter anche condividere con il Mmg il rischio di impresa: lo studio funziona se funzionano i professionisti, il paziente è fidelizzato se si ottiene la loro fiducia.

Redazione Nurse Times

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