Negli ultimi anni i bisogni di salute della popolazione sono profondamente cambiati, con un progressivo aumento delle patologie croniche e una crescente domanda di continuità assistenziale. Questa evoluzione ha reso necessario un ripensamento dell’organizzazione dei servizi sanitari, orientandoli verso modelli più vicini al cittadino, capaci di intercettare precocemente i bisogni e di garantire una presa in carico proattiva e personalizzata.
In questo scenario, delineato dal DM 77/2022, l’ambulatorio di cardiologia si configura come un presidio territoriale strategico per la prevenzione e la gestione delle malattie cardiovascolari. L’infermiere, in questo ambito, svolge un ruolo chiave come figura di collegamento tra ospedale e territorio, contribuendo a costruire percorsi di cura integrati e continui.
Attraverso l’applicazione delle linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC), l’infermiere interviene sia nella prevenzione primaria, monitorando e gestendo i fattori di rischio, sia nella prevenzione secondaria, supportando i pazienti nella gestione della cronicità, promuovendo l’educazione alla salute e accompagnando il cittadino in un percorso di cura centrato sui suoi reali bisogni, contribuendo a una sanità più efficace, sostenibile e umana.
All’interno dell’ambulatorio di cardiologia, l’infermiere opera sia in autonomia che in sinergia con l’équipe multidisciplinare per rispondere in modo appropriato ai bisogni infermieristici dei pazienti. Il suo contributo è essenziale per garantire una presa in carico globale, continua e personalizzata, identificando i bisogni di assistenza infermieristica, applicando e gestendo le prescrizioni diagnostico-terapeutiche, assicurando l’educazione terapeutica e la promozione della salute, gestendo le urgenze cliniche, assicurando il monitoraggio clinico e la continuità.
Competenze e qualità dell’infermiere in cardiologia: un’evoluzione al passo con i bisogni della popolazione
L’evoluzione epidemiologica e l’aumento delle patologie croniche, in particolare quelle cardiovascolari, hanno trasformato profondamente la presa in carico e la gestione dell’assistenza infermieristica per rispondere a bisogni di salute sempre più complessi e multidimensionali. In questo contesto, l’infermiere è un professionista sanitario autonomo che integra e coadiuva l’équipe multidisciplinare, contribuendo in modo attivo alla presa in carico del paziente.
Le competenze richieste si sono ampliate e perfezionate, includendo:
- Conoscenze scientifiche avanzate
L’infermiere deve possedere una solida preparazione in ambito cardiologico, comprendente la fisiopatologia delle malattie cardiovascolari, la farmacologia specifica e le più recenti evidenze cliniche e linee guida. - Competenze tecniche specialistiche
L’evoluzione tecnologica ha richiesto lo sviluppo di competenze nell’esecuzione e nella gestione di esami diagnostici come ECG, Holter, test da sforzo e monitoraggi pressori, nonché nella somministrazione sicura e appropriata delle terapie. - Capacità organizzative e precisione operativa
L’infermiere assicura appropriatezza ed efficienza nella gestione il flusso di lavoro, garantendo accuratezza nella documentazione clinica e nella gestione dei dati, elementi fondamentali per la continuità assistenziale. - Competenze comunicative e relazionali
La relazione con il paziente è parte integrante del processo di cura. L’infermiere comunica in modo chiaro, empatico e rispettoso, creando un clima di fiducia che favorisca l’aderenza terapeutica e il coinvolgimento attivo del paziente. - Empatia come strumento clinico
L’empatia non è solo una qualità personale, ma una competenza professionale che può essere coltivata. Essa consente di comprendere profondamente i vissuti del paziente, ridurre l’ansia, migliorare la soddisfazione e, come dimostrato da numerosi studi, influenzare positivamente gli esiti clinici.
I pilastri dell’empatia includono:- Ascolto attivo: attenzione autentica a parole, tono e linguaggio del corpo del paziente.
- Comprensione: capacità di cogliere emozioni, paure e bisogni.
- Comunicazione empatica: esprimere vicinanza e supporto attraverso parole e gesti.
- Rispetto: riconoscere il valore della persona, accogliendone desideri e timori.
Percorsi e racconti di cura
Ogni paziente che varca la soglia dell’ambulatorio porta con sé una storia unica, fatta di fragilità, speranze e percorsi di cura che si intrecciano con il lavoro quotidiano dell’équipe. In questo spazio di prossimità e ascolto, l’infermiere non è solo un operatore sanitario, ma un punto di riferimento costante, capace di cogliere i bisogni emergenti, accompagnare il paziente, la sua rete familiare o il suo caregiver nel tempo e costruire con lui un’alleanza terapeutica solida e duratura.
Attraverso alcuni casi clinici emblematici, vogliamo raccontare come l’assistenza infermieristica si declina nella pratica quotidiana, adattandosi all’evoluzione della condizione clinica e contribuendo in modo determinante alla presa in carico globale del paziente cardiologico.
– Caso 1
Prevenzione secondaria, l’assistenza si evolve
All’ingresso in ambulatorio, ho incrociato lo sguardo di un paziente già conosciuto del nostro servizio. È in follow-up presso la Cardiologia da quando, anni fa, è stato sottoposto con successo a un intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante triplice bypass aorto-coronarico. Da allora, è stato inserito in un percorso di sorveglianza clinica regolare. Nonostante abbia sviluppato nel tempo diverse complicanze, oggi – in età avanzata – mantiene condizioni cliniche stabili e un atteggiamento positivo.
Questo caso rappresenta emblematicamente la gestione del paziente in prevenzione cardiovascolare secondaria: soggetti con pregresso evento ischemico acuto necessitano di un monitoraggio continuo per l’adeguamento della terapia farmacologica, la valutazione dell’efficacia terapeutica e l’ottimizzazione del trattamento in base all’evoluzione del quadro clinico e alla comparsa di comorbilità. L’obiettivo della prevenzione secondaria è rallentare la progressione dell’aterosclerosi, ridurre il danno d’organo e prevenire recidive di eventi acuti (infarto miocardico, ictus ischemico, trombosi arteriose periferiche). Si tratta spesso di pazienti complessi, con polipatologie legate all’età.
Parallelamente, una parte rilevante dell’attività clinico-assistenziale riguarda la prevenzione primaria, ovvero l’identificazione e la gestione precoce di soggetti asintomatici ma a rischio cardiovascolare. Questi pazienti vengono inviati per alterazioni di parametri laboratoristici (colesterolemia, glicemia, pressione arteriosa) o per familiarità e predisposizione genetica. Talvolta, la diagnosi avviene in modo incidentale, ad esempio durante la valutazione preoperatoria o per l’idoneità all’attività sportiva. Molte patologie cardiovascolari decorrono in modo subclinico per anni, e un intervento tempestivo può prevenire complicanze gravi come infarto, ictus, insufficienza renale o arteriopatia periferica.
Il caso del sig. E.P.: un percorso di cronicità e resilienza
Il sig. E.P. è in carico al nostro ambulatorio da oltre trent’anni. Oggi ha 87 anni ed è affetto da scompenso cardiaco cronico su base di cardiopatia ischemica evolutiva con disfunzione sistolica ventricolare sinistra e fibrillazione atriale permanente. La sua storia clinica inizia nel 1981, quando, all’età di 43 anni, in apparente benessere, sviluppò un infarto miocardico inferiore. Ricoverato in Unità di Terapia Intensiva Coronarica, fu trattato con i presidi allora disponibili (antiaritmici, ASA) e dimesso senza coronarografia, con un piano di controlli clinici periodici.
Dopo 15 anni, comparvero angine da sforzo ingravescenti che limitarono significativamente la sua qualità di vita. Una coronarografia evidenziò una coronaropatia severa e nel 1998 fu sottoposto a intervento di bypass aorto-coronarico quadruplo. Nel frattempo, era emerso un diabete mellito tipo 2, e il paziente cessò definitivamente l’abitudine tabagica.
Il recupero post-operatorio fu parziale, ma la terapia farmacologica personalizzata e l’aderenza ai controlli consentirono una buona qualità di vita. Nel 2013, durante un viaggio, si manifestò una fibrillazione atriale parossistica, che richiese un nuovo inquadramento clinico e aggiustamenti terapeutici. Nel 2015, la comparsa di dispnea da sforzo fu aggravata da broncopatia cronica ostruttiva secondaria al fumo pregresso.
Negli anni successivi, il compenso emodinamico divenne sempre più instabile, con nicturia legata a ipertrofia prostatica benigna. Nel 2020, un aneurisma dell’aorta addominale fu diagnosticato tramite ecocolordoppler e confermato da TC. Nel 2021, una caduta domestica causò contusione polmonare, frattura costale e emorragia subaracnoidea, complicata dalla terapia anticoagulante in corso per la FA, che fu temporaneamente sospesa.
Dopo un anno, la stabilizzazione del quadro neurologico permise la ripresa della terapia anticoagulante con un anticoagulante orale diretto (DOAC). Nel 2022 fu introdotto il dapagliflozin, inizialmente sviluppato per il diabete ma rivelatosi efficace anche nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta. Tuttavia, nel 2023 la dispnea peggiorò e si manifestarono episodi di ortopnea parossistica notturna. Nel 2024, un’infezione urinaria complicò ulteriormente il quadro con un episodio di scompenso acuto, che rese necessario il rientro anticipato da una crociera.
La progressiva dilatazione ventricolare sinistra e la neuropatia diabetica peggiorarono la capacità deambulatoria. In collaborazione con i colleghi dell’Ospedale Maggiore, fu avviata una nuova terapia con un farmaco innovativo per lo scompenso, che migliorò significativamente la sintomatologia.
Il sig. E.P. ha potuto beneficiare dei progressi della medicina cardiovascolare e della presa in carico multidisciplinare. La sua storia rappresenta un esempio paradigmatico di gestione integrata in prevenzione secondaria in un paziente ad alto rischio, ex fumatore, iperteso, diabetico e con pregresso infarto miocardico.
Nei pazienti ad alto ed altissimo rischio la prevenzione delle recidive infartuali e delle patologie legate alle arteriopatie (in particolare ictus, insufficienza renale e scompenso cardiaco) deve essere la più stringente possibile con target di valori pressori più rigidi ed indici metabolici (in particolare la colesterolemia) ai livelli più bassi previsti dalle linee guida.
– Caso 2
Prevenzione secondaria: l’assistenza si evolve
Il sig. M.V., ex imprenditore nel settore metalmeccanico, ha mantenuto un’attività lavorativa quotidiana fino al compimento del 95° anno di età. È in carico al nostro ambulatorio di Cardiologia da quando, all’età di 70 anni, si sottopose a una valutazione cardiovascolare di controllo, in seguito a un pregresso ictus ischemico con esiti neurologici minimi, secondario a stenosi carotidea trattata con angioplastica e posizionamento di stent.
Durante quella prima valutazione emerse una cardiopatia ischemica silente. La successiva coronarografia evidenziò stenosi coronariche multiple e significative, che resero necessario un intervento cardiochirurgico di bypass aorto-coronarico quadruplo. Tuttavia, alcune arterie coronariche secondarie non risultarono rivascolarizzabili, lasciando un residuo di ischemia miocardica cronica. La prognosi iniziale era riservata, ma la scrupolosa aderenza del paziente al follow-up clinico e la compliance terapeutica hanno permesso di evitare il deterioramento atteso, consentendogli di mantenere una vita attiva fino ai 90 anni.
Nel corso degli anni, il paziente ha beneficiato delle continue innovazioni terapeutiche in ambito cardiovascolare. Tuttavia, con l’avanzare dell’età, si sono manifestate nuove comorbilità: insufficienza renale cronica di grado moderato, insufficienza respiratoria lieve-moderata e disturbi neurologici motori con riduzione dell’autonomia funzionale e aumentato rischio di cadute, alcune delle quali con esiti traumatici.
Negli ultimi anni di vita, le difficoltà di spostamento hanno reso necessarie visite domiciliari, rese possibili grazie alla collaborazione attiva del personale infermieristico. Gli infermieri hanno svolto un ruolo fondamentale nell’assistenza territoriale, eseguendo prelievi ematici e urinari, monitoraggio ossimetrico, elettrocardiogrammi, e applicazione di Holter pressorio ed ECG. Il coordinamento con il medico di medicina generale, il fisiatra e lo pneumologo ha permesso una gestione multidisciplinare efficace, riducendo la necessità di ricoveri ospedalieri, spesso fonte di stress e rischio di complicanze nosocomiali nei pazienti anziani e fragili.
Il monitoraggio telefonico costante, sia con il paziente sia con i familiari, ha garantito la continuità terapeutica, la gestione tempestiva delle variazioni cliniche e l’adeguamento della terapia farmacologica. Questo modello di assistenza ha permesso al sig. M.V. di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel proprio domicilio, circondato dall’affetto familiare, mantenendo una buona qualità di vita e partecipando attivamente alla vita sociale, fino a poche settimane prima del decesso.
Il paziente è deceduto all’età di 95 anni a causa di una polmonite batterica acuta, verosimilmente da ab-ingestis. La sua storia rappresenta un esempio virtuoso di prevenzione secondaria ben condotta, in cui un paziente con prognosi inizialmente sfavorevole ha potuto vivere altri 25 anni in condizioni cliniche soddisfacenti.
Questo caso sottolinea l’importanza di un’assistenza ben strutturata, basata su un approccio multidisciplinare ed una integrazione medica e infermieristica. Tale modello consente di ridurre i ricoveri ospedalieri, evitare esami e trattamenti non necessari, e contenere la polifarmacoterapia, spesso dannosa nei pazienti anziani con pluripatologie.
– Caso 3
Cosa significa “farsi carico” del paziente e “fare rete”
Il sig. R.T., 59 anni, tecnico meccanico di un team automobilistico, conduce una vita professionale altamente dinamica e discontinua, caratterizzata da frequenti trasferte internazionali, ritmi irregolari e abitudini alimentari non strutturate. Durante un controllo sanitario aziendale di routine, previsto annualmente per il personale, sono emerse alterazioni all’elettrocardiogramma che hanno motivato l’esecuzione di un ecocardiogramma transtoracico, il quale ha evidenziato una dilatazione del ventricolo sinistro con disfunzione sistolica. La radiografia del torace ha confermato la cardiomegalia, in un paziente che riferiva dispnea da sforzo per attività precedentemente ben tollerate.
Il paziente si è rivolto al nostro ambulatorio per un parere specialistico, non avendo ricevuto una diagnosi chiara. Dall’anamnesi e dalla revisione della documentazione clinica è emerso che nessun medico aveva ancora integrato e interpretato i dati strumentali. L’esame obiettivo ha suggerito la presenza di una insufficienza valvolare aortica severa, verosimilmente sottostimata all’ecocardiogramma. È stata quindi indicata una valutazione emodinamica invasiva con coronarografia e ventricolografia per definire l’indicazione cardiochirurgica.
Gli esami invasivi hanno confermato la grave insufficienza aortica, e l’indicazione chirurgica è stata posta con urgenza. Il paziente è stato sottoposto a sostituzione valvolare aortica mediante accesso mini-toracotomico, tecnica che ha permesso un recupero funzionale rapido e una degenza ridotta.
Nel giro di poche settimane, il paziente ha ripreso una buona forma fisica. Sebbene non possa più operare nei box durante i Gran Premi, ha potuto reintegrarsi nel contesto lavorativo aziendale e riprendere le sue attività ricreative, come i viaggi in motocicletta.
Questo caso evidenzia l’importanza del giudizio clinico integrato e della collaborazione interdisciplinare. Il personale infermieristico ha avuto un ruolo centrale nella gestione del percorso assistenziale, nella presa in carico globale del paziente, facilitando la continuità assistenziale e contribuendo a evitare frammentazioni del percorso diagnostico-terapeutico.
Situazioni come questa non sono eccezionali: molti pazienti, soprattutto con pluripatologie, si trovano a muoversi tra ambulatori e specialisti, con cartelle cliniche ricche di esami ma prive di una regia clinica unitaria. Il rischio è quello di perdere di vista la visione d’insieme, con conseguente ritardo diagnostico, inappropriatezza terapeutica e spreco di risorse.
Il follow-up post-operatorio e la gestione cronica sono fasi cruciali per consolidare i benefici ottenuti nella fase acuta. Senza una rete assistenziale ben strutturata, il rischio di regressione clinica è elevato. Un modello assistenziale efficace si fonda su un’équipe multidisciplinare, in cui il medico coordina e l’infermiere connette, garantendo continuità, efficienza e umanizzazione delle cure.
– Caso 4
Cosa significa considerare la persona oltre il paziente
La sig.ra R.L., 69 anni, pensionata, è stata convocata presso il nostro ambulatorio in seguito alla valutazione della figlia, R.M., giovane podista agonista, inviata dall’Istituto di Medicina dello Sport per la presenza di extrasistolia ventricolare frequente sotto sforzo. Dall’approfondimento clinico emerge un prolasso valvolare mitralico severo. La paziente riferiva che anche la madre era stata in passato segnalata per un soffio cardiaco, motivo per cui abbiamo ritenuto opportuno convocarla.
La sig.ra R.L. si è presentata in buone condizioni generali, ma ha riferito palpitazioni frequenti e ridotta tolleranza allo sforzo, anche per attività quotidiane come salire le scale o lavorare nell’orto. L’ecocardiogramma ha confermato un prolasso mitralico severo con insufficienza valvolare significativa e dilatazione del ventricolo sinistro, ponendo l’indicazione a uno studio emodinamico per valutare la possibilità di un intervento cardiochirurgico di riparazione valvolare.
Tuttavia, la paziente, profondamente provata dal recente lutto per la perdita di un figlio, ha inizialmente rifiutato qualsiasi proposta terapeutica, compresi i controlli futuri. In questo contesto, si è attivato un percorso di ascolto e accompagnamento attraverso numerosi colloqui con la figlia, nutrizionista in ambito sanitario, e con il supporto di un’infermiera del nostro team, che ha saputo stabilire un contatto empatico con la paziente, favorendo un graduale cambiamento di atteggiamento.
Dopo alcuni mesi, la paziente ha accettato di sottoporsi a valutazioni di terzo livello presso l’Istituto di Cardiologia del Policlinico Sant’Orsola. Gli esami hanno confermato la gravità dell’insufficienza mitralica, ma nel frattempo si erano verificati episodi di fibrillazione atriale parossistica, con ulteriore deterioramento della funzione ventricolare sinistra e incremento della pressione polmonare. Questo peggioramento ha reso l’intervento cardiochirurgico ad alto rischio, non tanto per la fattibilità tecnica, quanto per la fragilità emodinamica del ventricolo sinistro.
A questo punto, grazie a un rapporto di fiducia instaurato tra l’infermiera e la figlia della paziente, si è riaperto il dialogo terapeutico. La paziente, consapevole del peggioramento clinico, ha accettato di valutare un’alternativa meno invasiva. È stata quindi proposta una procedura di cardiologia interventistica avanzata, la MitraClip, che consiste nell’impianto percutaneo di clip mitraliche per ridurre l’insufficienza valvolare, senza necessità di toracotomia.
La procedura è stata eseguita con successo. Sebbene inizialmente la paziente abbia presentato aritmie recidivanti e sia stata trattenuta in terapia intensiva cardiologica, nel giro di alcune settimane ha raggiunto una stabilità emodinamica soddisfacente, con miglioramento della dispnea e recupero dell’autonomia funzionale. È stata dimessa senza necessità di supporti assistenziali.
Attualmente, la sig.ra R.L. è clinicamente stabile, autonoma nelle attività quotidiane, e ha ripreso a occuparsi del suo orto. Frequenta regolarmente i controlli ambulatoriali, mostrando un atteggiamento positivo e riconoscente verso l’équipe, in particolare verso l’infermiera che ha avuto un ruolo determinante nel suo percorso decisionale.
Questo caso evidenzia come “considerare la persona oltre il paziente” significhi riconoscere e accogliere la dimensione emotiva, sociale e relazionale dell’individuo. L’infermiere, in questo contesto assume un ruolo di mediatore relazionale, capace di ascoltare, comprendere e accompagnare la persona nei momenti di fragilità, facilitando scelte consapevoli e condivise.
La relazione di cura diventa così uno strumento terapeutico, capace di incidere concretamente sull’aderenza al trattamento e sugli esiti clinici. L’infermiere, con la sua prossimità e continuità, rappresenta un punto di riferimento stabile, in grado di favorire il percorso di cura e di agevolare l’integrazione tra i diversi attori del sistema sanitario.
I pazienti inconsapevoli
All’estremo opposto dello spettro dei pazienti che afferiscono al nostro ambulatorio di Cardiologia di secondo livello, troviamo i soggetti apparentemente sani, che si sottopongono a check-up cardiovascolariper motivi assicurativi, sportivi o in preparazione a interventi chirurgici. In questi casi, non di rado, si rilevano condizioni di rischio cardiovascolare significativo o patologie cardiache e vascolari misconosciute, spesso in fase asintomatica.
Tra questi, particolare attenzione va riservata ai soggetti che, pur consapevoli di essere portatori di fattori di rischio cardiovascolare, non hanno mai effettuato una valutazione specialistica approfondita. In tali situazioni, la visita cardiologica ha il duplice obiettivo di:
- Individuare danni d’organo subclinici;
- Intervenire precocemente sui fattori di rischio modificabili, ottimizzando la strategia preventiva.
Il caso del sig. M.P.: dalla sottovalutazione alla consapevolezza
Il sig. M.P., 53 anni, imprenditore, si presenta in ambulatorio per una valutazione motivata dalla recente scomparsa del padre per scompenso cardiaco refrattario, preceduto da un infarto miocardico all’età di 54 anni. Anche la madre è affetta da diabete mellito. Cinque anni prima, M.P. era già stato valutato presso il nostro servizio, ma non aveva dato seguito agli approfondimenti consigliati, nonostante la presenza di una placca ateromasica carotidea.
Alla rivalutazione, l’aterosclerosi carotidea risulta evoluta, con placche lipidiche instabili bilaterali, e l’ECG da sforzo evidenzia ischemia miocardica silente. In assenza di sintomi, viene avviata immediatamente una terapia farmacologica con antiaggreganti, betabloccanti e statine, e inviato a coronarografia, che documenta lesioni coronariche diffuse e una stenosi critica del ramo discendente anteriore, trattata con stent medicato.
Viene inoltre avviata una terapia antidiabetica, in quanto i valori glicemici risultano fuori controllo. Attualmente, il paziente è in follow-up regolare, con monitoraggio laboratoristico, test ergometrico e valutazioni ecodoppler vascolari. Ha modificato lo stile di vita, migliorato l’alimentazione, perso peso e normalizzato la glicemia. Ha ripreso l’attività sportiva e aderisce scrupolosamente alla terapia.
L’ipertensione e le patologie misconosciute
Tra i pazienti inconsapevoli, gli ipertesi non diagnosticati rappresentano la categoria più numerosa. Le statistiche indicano che almeno il 50% dei soggetti ipertesi non è a conoscenza della propria condizione. L’ipertensione arteriosa è il principale fattore di rischio per infarto miocardico, ictus cerebrale, insufficienza renale cronica e arteriopatie periferiche.
Non sono rari, inoltre, i casi in cui, durante la valutazione preoperatoria, si riscontrano condizioni cardiovascolari gravi e misconosciute, come:
- Infarto miocardico pregresso asintomatico;
- Aneurisma dell’aorta addominale;
- Fibrillazione atriale silente;
- Stenosi carotidea significativa.
Per questo motivo, la valutazione cardiologica deve includere indagini ecodoppler mirate, con attenzione alle biforcazioni carotidee, all’aorta addominale e ai distretti iliaco-femorali.
In questo contesto, il ruolo dell’infermiere è cruciale. L’infermiere: coordina le attività diagnostiche ambulatoriali; gestisce i contatti con il paziente, anche a distanza, facilitando la comunicazione e la comprensione del percorso clinico; favorisce l’aderenza terapeutica e il rispetto delle indicazioni sullo stile di vita; supporta il paziente nella transizione da una condizione di inconsapevolezza a una presa in carico attiva e partecipata.
Quando il paziente percepisce di essere preso in carico da un’équipe coesa, aumenta la fiducia, migliora l’aderenza e si rafforza l’efficacia dell’intervento preventivo.
Ringraziamenti
Ringrazio il professore Paco D’Onofrio per l’ideazione e l’incoraggiamento ad intraprendere la progettazione e la stesura di questo articolo.
Ringrazio i miei colleghi e, fra tutti, la coordinatrice dottoressa Maria Ferrara per il sostegno.
Ringrazio il responsabile dottor Elio Malavolta, per l’appoggio e gli innumerevoli suggerimenti.
A loro la mia più affettuosa e riconoscente gratitudine.
A tutti i colleghi operatori sanitari, porgo il mio più grande in bocca al lupo per un sistema sanitario sempre migliore.
Chiara Nigro
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