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L’importanza del protocollo ERAS in chirurgia: la parola all’esperta

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Il protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) rappresenta un approccio multimodale e interdisciplinare volto a migliorare il recupero del paziente sottoposto a intervento chirurgico. Attraverso l’applicazione di linee guida evidence-based il programma riduce lo stress chirurgico, le complicanze post-operatorie e la degenza ospedaliera, promuovendo al contempo una più rapida ripresa funzionale. Approfondiamo il tema con alcune domande alla dottoressa Valentina Fiore, cardio-anestesista presso il DEA di Lecce.

Dottoressa, quali sono gli obiettivi principali del protocollo ERAS in cardiochirurgia e in che modo esso differisce dalla gestione perioperatoria tradizionale?

“Rispetto alla chirurgia tradizionale l’ERAS introduce molte novità nel campo della medicina peri-operatoria. Da una concezione che metteva al centro l’atto chirurgico si passa a una visione paziente-centrica. Intorno al paziente ruotano tutte le figure che lo accompagnano in questo percorso: il chirurgo ovviamente, l’infermiere, il fisioterapista, l’anestesista, il nutrizionista, lo psicologo.

Dunque il paziente passa da un ruolo reattivo a uno proattivo: non è più un soggetto passivo, ma viene coinvolto e partecipa attivamente al suo percorso di recupero. Un intervento di cardiochirurgia, in particolare se con circolazione extracorporea (CEC), non è solo uno ‘stress’, ma un vero e proprio evento traumatico che innesca una risposta neuroendocrina e metabolica complessa. Questa risposta è mirata alla sopravvivenza, ma se prolungata o eccessiva, può diventare deleteria.

La modulazione della risposta infiammatoria riduce il rischio di sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) e di disfunzione d’organo. Ed è proprio per questo che seguire le indicazioni del percorso ERAS può essere di grande aiuto in un ambito che riguarda pazienti anziani, fragili, con comorbilità plurime, per cui è necessario fare in modo di non aggravare la prognosi quadvalitudinem e favorire il rapido ritorno a casa per maggiore comfort.

Per i pazienti più giovani, e in condizioni di salute migliori, significa farli tornare prima alla propria vita e al lavoro. Il tutto si traduce in una riduzione dei costi sanitari. Il che non è male, ma principalmente in maggior soddisfazione per il paziente. E non solo: anche per il personale sanitario, il cui unico scopo è il bene del paziente”.

Quali interventi specifici sono previsti nelle fasi pre-operatoria, intra-operatoria e post-operatoria del protocollo ERAS?

“La fase pre-operatoria si concentra sulla preparazione ottimale del paziente prima dell’intervento. Include elementi come l’ottimizzazione nutrizionale, la pre-abilitazione, il patient blood management, e la preparazione psicologica del paziente attraverso il counseling. La fase intra-operatoria riguarda le pratiche in sala operatoria per ridurre lo stress chirurgico e le complicanze. Punti chiave sono l’ottimizzazione dell’anestesia e dell’analgesia multimodale, il ricorso alla chirurgia mininvasiva, la normotermia e una gestione attenta dei fluidi e del sanguinamento, la prevenzione della nausea e del vomito perioperatoria. La fase post-operatoria si concentra sul recupero precoce. Qui entrano in gioco l’inizio precoce dell’alimentazione orale, la mobilizzazione precoce e la gestione del dolore con farmaci che non intorpidiscano troppo il paziente”.

Qual è il ruolo dell’infermiere nell’applicazione del protocollo ERAS e come contribuisce al miglioramento degli esiti clinici del paziente?

“L’ERAS è una strategia multidisciplinare e, in quanto tale, necessita della formazione di un team multidisciplinare. Nell’ambito del team il ruolo degli infermieri va oltre la classica assistenza tecnica e include competenze relazionali, educative, di programmazione e di gestione. Si può distribuire in cinque principali aree operative: promozione e partecipazione al programma di PBM, educazione, governance, sviluppo professionale, ricerca.

Gli infermieri gestiscono i materiali e i farmaci necessari, la modulistica specifica, realizzano brochure informative per i pazienti, curano il controllo del programma, pianificano e conducono audit clinici, occasione di feedback per l’intero team. Inoltre agiscono come figure di collegamento tra i diversi professionisti durante il percorso di cura e da anello di congiunzione fra i diversi professionisti e il paziente, spiegando in maniera comprensibile le motivazioni dietro le scelte terapeutiche. Questo li rende un punto di riferimento essenziale per il paziente, che tramite l’infermiere acquista fiducia nelle sue capacità di guarigione, migliorando la compliance alle terapie ed inevitabilmente l’outcome clinico”.

Giovanni Maria Scupola

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