La manovra prende il nome da colui che l’ha messa a punto, ovvero Antonio Maria Valsalva, un medico italiano del diciassettesimo secolo.
Il suo esperimento è stato questo: “se la glottide è chiusa dopo una profonda inspirazione e si fa un intenso e prolungato sforzo espiratorio, si può esercitare una pressione sul cuore e sui vasi intratoracici tanto da arrestare temporaneamente il flusso del sangue”
Questo intervento però sfuggì per molto tempo all’attenzione di coloro che stavano lavorando sulla relazione che intercorre tra respirazione e circolazione. Fu notato solo nel 1869, anche se in realtà altri medici si erano avvicinati molto prima ad una manovra molto simile a quella descritta da Valsalva.
Valsava era molto interessato all’orecchio e alle sue funzioni. Per questo motivo, la manovra all’inizio era utilizzata semplicemente per ispezionare meglio la tromba di Eustachio e per espellere il pus in caso di otite o corpi estranei. In realtà, oggi serve soprattutto per effettuare rapidi cambiamenti nella frequenza cardiaca e nella pressione sanguigna.
E per questo motivo andrebbe eseguita sempre sotto la supervisione di un medico.
La risposta di un soggetto alla manovra di Valsalva dipende non solo dall’azione del cuore ma anche da fattori che ne controllano il ritorno del sangue al cuore attraverso il sistema venoso addominale.
È quindi sconsigliata in soggetti che soffrono di neuropatie del sistema neurovegetativo (per esempio diabete pancreatico o amiloidosi), di insufficienza cardiaca di tipo congestizio, di ipertensione arteriosa o di altre cardiopatie.
Insegnata in ambito sportivo, trova particolare applicazione tra i subacquei. Chi fa immersioni si trova infatti ad affrontare differenze di pressione, che diminuisce mano a mano che si scende verso il fondale marino.
Come varia la pressione esterna, anche la pressione all’interno del nostro organismo deve variare per adattarsi. Tale compensazione viene effettuata in maniera automatica dai polmoni che fa sì che trachea, laringe, seni paranasali e frontali, strutture a contatto con l’esterno, si compensino senza rischiare danni.
L’unica struttura a non effettuare tale compensazione è l’orecchio: qui, infatti, la tromba di Eustachio impedisce che l’aria, proveniente dai polmoni, possa essere compensata. Per non danneggiare le strutture dell’orecchio (la differenza di pressione interna ed esterna può provocare perforazione e lacerazione della membrana del timpano) diventa fondamentale imparare la manovra di Valsalva, che permette di adeguare la pressione interna a quella esterna.
In pesistica invece viene utilizzata allo scopo di prevenire ernie discali, soprattutto durante esercizi in cui il carico agisce prevalentemente sui muscoli spinali e sulle vertebre lombari in quanto, contraendo sinergicamente i muscoli, le pareti della cavità addominale diventano rigide e resistenti stabilizzando la cassa toracica. Tale manovra viene comunemente utilizzata in clinica medica per valutare la presenza della funzione diastolica del ventricolo sinistro, per valutare la presenza di soffi cardiaci e di scompensi cardiaci, per ripristinare il corretto ritmo cardiaco in presenza di tachicardia parossistica e di fibrillazione atriale tramite la stimolazione del nervo vago e del nervo vagale parasimpatico, che rallentano la frequenza cardiaca.
La manovra di Valsalva porta ad aumentare l’attività parasimpatica, che permette di rallentare il ritmo cardiaco. La stimolazione del parasimpatico avviene grazie alla stimolazione dei nervi vaghi che innervano i polmoni.
ATTENZIONE: La manovra non va praticata alla leggera, poiché può avere delle controindicazioni importanti soprattutto per chi soffre di problemi cardiocircolatori. L’aumento della pressione intratoracica va infatti a comprimere i vasi venosi che riportano il sangue al cuore. Questo significa meno ossigeno al cervello, con la possibile conseguenza di una perdita di coscienza o addirittura provocare una sincope.
Francesca Biscosi
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