L’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico dice…
Commento a Cassazione sez. Lavoro n. 856, 16 gennaio 2017. La mancata reperibilità del medico al cercapersone non equivale “all’abbandono del posto di lavoro” pertanto non è ammissibile il recesso contrattuale.
La vicenda riguarda un cardiologo licenziato dalla struttura sanitaria presso cui operava per abbandono del posto di lavoro durante il turno di notte.
Con la sentenza n. 224 del 2014, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, confermando l’ordinanza resa all’esito della fase sommaria, aveva accolto l‘impugnativa proposta da FG, medico presso il Centro cardiologico di Milano, avverso il licenziamento intimatogli per aver abbandonato il posto di lavoro durante il turno della notte tra ii 1 e il 2 settembre 2012
L’addebito elevato al Dott. G nella contestazione disciplinare, dichiarava che durante il turno 20.00/08.00, alle ore 2.30 c.a. era stato contattato dall’infermiere con il cercapersone al quale non aveva risposto e che lo stesso infermiere l’aveva cercato anche in reparto senza riuscire a trovarlo, sino alla fine del turno.
La corte territoriale ha ritenuto che l’addebito cosi come contestato non configurasse abbandono del posto di lavoro previsto dall’art, 11 lettera f) del CCNL.
II motivo di tale decisione non si fondava sul fatto che il medico avesse o meno compiuto l’illecito disciplinare di non rispondere al cercapersone, ma bensì sul fatto che, in tal senso, sussiste l’inversione dell’onere della prova in quanto, considerato che incombe al datore di lavoro dimostrare la fondatezza dell’addebito, sarebbe stato suo onere dimostrare che il medico non solo non aveva risposto al cercapersone e non era presente in reparto, ma che si era allontanato dalla struttura, realizzando così l’abbandono del posto di lavoro secondo l’accezione che ne ha dato la Corte di merito.
Per altro il ricorso principale proposto dall’azienda ospedaliera è da ritenersi inammissibile, in quanto non indica di quale contratto collettivo si parli (solo riferendolo al “personale non medico”), che per altro non allega al ricorso, ne indica la collocazione in atti, né trascrive la disposizione la cui corretta interpretazione viene invocata.
Risultano in tal modo violate le prescrizioni desumibili dagli artt. 366, co. 1 n. 6 e 369 co. 2 n. 4 c.p.c. che impongono il requisito della specificità anche con riferimento alle censure che abbiano ad oggetto il contratto collettivo di diritto comune (Sez. U, n. 20075 del 23/09/2010, conf. Sez. L., n. 4350 del 04/03/2015).
Confermava inoltre, la sentenza del primo giudice laddove aveva ritenuto che la condotta addebitata al medico, di non avere risposto al cercapersone ove era stato interpellato durante ii turno, non configurasse il contestato abbandono del posto di lavoro, previsto dalla lettera f) dell’articolo 11 dei C.C.N.L., ma al più la sospensione del lavoro senza giustificato motivo, sanzionabile ai sensi dell’art. 11 lettera b) con la sospensione.
In quanto per “abbandono” si dovrebbe intendere il fatto del sanitario che abbandona la struttura recandosi all’esterno e diventando irreperibile nell’ambito del turno assegnato, ciò che non era avvenuto in quanto la mattina del 2 settembre lo stesso Dott. G aveva passato le consegne al medico del turno diurno, e durante la notte precedente non era stato cercato presso il locale messo a disposizione dei medici di turno, ove in altra occasione era stato reperito.
La Corte, nella sentenza n. 15441 del 26/07/2016, con riferimento all’art. 140 del C.C.N.L. Istituti di vigilanza privata del 2 maggio 2006 ha affermato che l’abbandono, secondo il suo significato letterale, individua il totale distacco dal bene da proteggere, totale distacco che non ricorre quando la persona sia fisicamente reperibile nel luogo ove la prestazione dev’essere svolta, cosi avvalorando indirettamente la nozione di “abbandono” del posto di lavoro adottata dalla Corte territoriale.
Inoltre afferma ancora la Corte “con riferimento alle linee guida adottate dal Centro cardiologico ed alle deposizioni testimoniali, la ricorrente azienda tenta di accreditare l’esistenza di una procedura aziendale di reperimento del medico di turno basato soltanto sulla chiamata telefonica con il cercapersone, ma in tal modo suggerisce una valutazione delle risultanze di causa meramente contrappositivi alla ricostruzione della Corte territoriale, sollecitando un’inammissibile rivalutazione da parte di questa Corte di legittimità delle risultanze fattuali.
II motivo peraltro non e idoneo a smentire la ratio decidendi adottata nella sentenza gravata, considerato che anche il fatto che normalmente si proceda alla ricerca telefonica del medico di turno non sarebbe in contraddizione con la conclusione secondo la quale l’abbandono del posto di lavoro contestato al medico possa aversi soltanto quando non dia esito neppure la ricerca fisica nei luoghi destinati alla permanenza notturna”.
È stato quindi dichiarato illegittimo il recesso del Dott. G. dalla Corte territoriale, poiché le prove addotte dalla parte ricorrente erano insufficienti a dimostrare l’assenza o l’allontanamento del posto di lavoro del medico di guardia, oltre che, per il fatto che la ricorrente azienda non ha documentato attraverso la presentazione del CCNL di lavoro o delle linee aziendali di comportamento che la condotta della parte resistente fosse passibile di sanzione espulsiva.
Ciò non toglie ovviamente che altra sanzione disciplinare sarebbe stata congrua e giusta, posto che il medico in ogni caso deve essere reperibile in qualsiasi momento, ma la decisione della Suprema Corte non ineriva le deduzioni finali qui esposte, ma solo l’illegittimità del licenziamento.
Il direttivo AADI
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