Una ricerca spagnola ha dimostrato che la neurogenesi va avanti molto a lungo, ma è ridotta nei malati di Alzheimer.
Il cervello umano continua a rigenerarsi e a produrre neuroni almeno fino ai 90 anni, in particolare nel centro della memoria, l’ippocampo. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Medicine dai ricercatori del Centro di biologia molecolare “Severo Ochoa” di Madrid, e condotto su campioni prelevati da 58 persone decedute. I risultati evidenziano la presenza di migliaia di nuove cellule nervose in via di maturazione. Una capacità rigenerativa che si mantiene fino alla tarda età nelle persone sane, mentre appare ridotta nei malati di Alzheimer: proprio il suo blocco potrebbe essere alla base della perdita di memoria.
Si riaccende così un lungo dibattito iniziato nel 1998, quando i ricercatori californiani del Salk Institute annunciarono per la prima volta che la formazione di nuovi neuroni nel cervello adulto, fino ad allora osservata su roditori e primati, era presente anche nell’uomo. Da allora si sono susseguiti molti studi contrastanti, fino a una ricerca pubblicata su Nature nel marzo del 2018, quando il gruppo coordinato da Alvarez-Buylla dell’Università della California sembrava smentire la possibilità di rigenerazione negli adulti. Ma appena un mese dopo, sulla rivista Cell Stem Cell è comparso uno studio che confermava l’ipotesi opposta: il cervello non invecchia e continua a creare neuroni, anche se neuroplasticità e vascolarizzazione risultavano minori durante la terza età. In quel caso si era stimato che i neuroni sostituiti ogni giorno fossero circa 700, indipendentemente dall’età.
Insomma, l’argomento in letteratura scientifica è ancora largamente dibattuto. «C’è una vera battaglia in atto – conferma Marco Canossa, dell’Istituto europeo per le ricerche sul cervello (Ebri) –, ma il fatto che questo nuovo studio dimostri la presenza di neurogenesi adulta negli umani è una buona notizia, soprattutto per le implicazioni che potrà avere sullo studio delle malattie neurodegenerative».
Maria Llorens-Martin, la studiosa dell’Università Autonoma di Madrid che ha condotto l’ultimo lavoro, ha spiegato all’Ansa: «Nel cosiddetto “giro dentato”, una piccola porzione dell’ippocampo dove già la neurogenesi era stata documentata nei roditori, abbiamo identificato un’abbondante popolazione di neuroni immaturi, quindi di nuova formazione, che esibivano un grado variabile di maturazione. Inoltre abbiamo dimostrato che la neurogenesi è drammaticamente ridotta nel cervello dei pazienti con Alzheimer. Qualora divenissimo capaci di rilevare la neurogenesi con metodi non invasivi, potremmo sfruttare tale processo come un importante biomarcatore per seguire la progressione della malattia di Alzheimer nei pazienti. Inoltre, se i nuovi neuroni prodotti con la neurogenesi risultassero implicati nella memoria, sviluppare dei metodi per stimolare la neurogenesi, per ora testata solo nei roditori, potrebbe avere importanti implicazioni terapeutiche».
Ma quali sono le condizioni perché il processo di rigenerazione avanzi correttamente? Uno stile di vita sano, un ambiente stimolante, interazioni sociali ed esercizio che mantengano la mente “in forma”, attraverso l’apprendimento continuo. Sappiamo, infatti, che la neurogenesi è favorita da questi importanti fattori: cambiamenti che tutte le persone possono introdurre per mantenersi in buona salute, fisica e mentale, nella vecchiaia.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.corriere.it
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