Dieci professionisti dall’Uzbekistan dormono in un’area educativa dell’ASST Fatebenefratelli-Sacco; la Regione parla di “programma di cooperazione” ma si apre il problema di dove ospitare altri 210 infermieri previsti nel 2026
Dieci infermieri arrivati dall’Uzbekistan e assegnati all’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano sono stati alloggiati all’interno di un’area dell’ospedale normalmente destinata ad attività ludico-educative: non appartamenti regionali, non convitti né soluzioni alberghiere. La decisione, spiegano fonti regionali, risponde alle richieste del governo uzbeko che aveva chiesto di mantenere il gruppo unito e vicino ai luoghi della formazione. Questa scelta rilancia il dibattito su alloggi, sanità e organizzazione delle risorse per far fronte alle carenze di personale.
Cosa è successo: i fatti in breve
Secondo la nota diffusa dall’Assessorato regionale al Welfare e dall’ASST, i primi dieci infermieri fanno parte di un programma di cooperazione che prevede percorsi formativi clinici e teorici nei reparti (pronto soccorso, terapia intensiva, cardiologia, nefrologia, oncologia e pediatria) della struttura milanese. La Regione definisce l’iniziativa «fase iniziale di un programma di cooperazione sanitaria», con una durata di soggiorno prevista di circa tre mesi per questa “avanguardia”. (Regione Lombardia, nota ufficiale; ASST Fatebenefratelli-Sacco, comunicato).
Tuttavia — come riportato anche da fonti ospedaliere — la sistemazione scelta ha suscitato perplessità: i dieci infermieri vivono e dormono all’interno dell’ospedale, in un’area riconvertita per l’occasione e non in reparti sanitari attivi. L’assessorato precisa che si tratta di «un’area utilizzata per attività ludico-educative che si possono facilmente svolgere altrove».
Il contesto
A Milano, ricordano dirigenti degli enti sanitari, esistono oltre cinquecento appartamenti riconducibili ad ATS, ASST e IRCCS, con più di trecento unità attualmente libere. Inoltre, le Aler hanno in passato siglato protocolli per mettere a disposizione alloggi riservati al personale sanitario. Ciò solleva la domanda: perché non sono state impiegate soluzioni già esistenti e integrate nel sistema regionale?
Le ragioni ufficiali toccano più livelli: esigenze del Paese mittente (cohesione del gruppo), tempistica e coordinamento tra enti (Regione, ASST, Aler) e la necessità di trovare soluzioni temporanee in attesa di un piano strutturato per l’accoglienza su larga scala. Ma in ambienti ospedalieri si segnala la preoccupazione per la sostenibilità della scelta, soprattutto se l’accordo con l’Uzbekistan porterà davvero altri 210 infermieri nei primi mesi del 2026.
Redazione NurseTimes
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