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Riceviamo la tesi del dott. Giuseppe Gervasio, laureatosi presso l’Università degli Studi “La Sapienza”.
ABSTRACT
Le demenze sono delle malattie neurodegenerative dell’encefalo che insorgono generalmente in età avanzata, portando alla compromissione di diversi bisogni ed a disturbi cognitivo-comportamentali. Inoltre, causa forti disagi anche i famigliari e i caregiver che vivono passivamente una patologia che molto spesso è incurabile; assistono al lento declino della persona amata, con la convinzione di non poter fare nulla: questo porta al burn-out del caregiver.
Gli stessi operatori sanitari spesso soffrono, in quanto sanno di non poter salvare il loro assistito. Capiamo che in questi casi diventa fondamentale garantire la migliore qualità di vita possibile alla persona malata, ma anche ai suoi cari: nel malato magari rallentando il deterioramento cognitivo e garantendogli la dignità che spesso questi problemi portano via, ai famigliari e/o caregiver rendendoli protagonisti del percorso terapeutico-assistenziale. Ecco perché diventa fondamentale associare agli inibitori dell’acenticolinesterasi, agli agonisti recettori del glutammato, agli antipsicotici e agli antidepressivi, anche terapie non farmacologiche, in modo da agire più concretamente sui sintomi, evitando allo stesso tempo un abuso di farmaci.
Le terapie non farmacologiche (o TNF) sono tantissime e diversi studi hanno evidenziato come alcune di queste, ad esempio la ROT, abbiano un’efficacia, sul miglioramento dei disturbi cognitivo-comportamentali, quasi pari agli inibitori dell’acetilcolinesterasi. Da queste basi è stato quindi condotto uno studio per comprendere quanti professionisti sanitari in Italia conoscono e adottano queste terapie, quali sono quelle più somministrate, dove sono maggiormente somministrate e che vantaggi gli operatori che le somministrano riscontrano.
Giuseppe Gervasio
Allegato
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