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Il datore di lavoro è responsabile della salute mentale e sociale dei propri dipendenti

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Il 16 Luglio, sulla rivista femminile Vanity Fair, compare un articolo della giornalista Camilla Strada dal titolo “Quante volte dottore?”, che tratta un argomento estremamente delicato ma che i professionisti sanitari, soprattutto quelli di area critica, conoscono bene: lo stress lavoro correlato.

Nel caso specifico la giornalista raccoglie la testimonianza di un’anestesista che decide di raccontare la sua esperienza. In particolare la pressione psicofisica che l’ha portata all’abuso di alcool con ripercussioni nel campo lavorativo, per fortuna senza conseguenze sui pazienti.

Si tratta di un argomento estremamente delicato che solo chi vive realtà simili può comprendere.

Sappiamo tutti benissimo come la carenza di risorse umane porti, il più delle volte, a dover sopperire a questa mancanza aumentando fino allo stremo la mole di lavoro!

Il datore di lavoro è responsabile della salute mentale e sociale dei propri dipendenti e deve adeguare la propria competenza, accrescendo le proprie conoscenze in materia, alla luce del nuovo “bene giudico da proteggere”.

Il DLgs 9 aprile 2008, n. 81, all’Art. 2, c. 1, lett. b) : “datore di lavoro”:

  • il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa…; e tra le novità, quella di una specifica definizione di “salute” (art. 2, c. 1, lett. o), al quale, il datore di lavoro dovrà prestare interesse particolare poiché, essa è d’ora in poi da intendere come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.

Questo è sancito per legge!

Ma quanti tra professionisti sanitari si sentono inseriti in un contesto di seria tutela del proprio benessere psicofisico? Sfido chiunque ad affermarlo.

Quando si è parlato seriamente, negli ultimi anni, dell’impatto che ha avuto sugli Infermieri l’ormai cronica carenza di risorse umane?

Non risulta pervenuta alcuna politica che affrontasse questa spinosa problematica. Vengono recepite (in ritardo come sempre!) direttive come quelle sul cosiddetto “orario europeo” (VEDI) ma senza risorse… Sempre a costo zero! Non è così che si progredisce.

L’argomento è complesso ed articolato e, sicuramente, meriterebbe di essere trattato con più ampio respiro. Il burn-out è una realtà, una patologia seria che forse si finge di non vedere.

Quanti Infermieri si sentirebbero tutelati o al sicuro o saprebbero a chi rivolgersi pronunciando la frase: “non ce la faccio, sono troppo stanco”?

Attendiamo risposte nell’attesa di politiche di tutela che diano la giusta attenzione ed ascolto a chi, davvero, non ce la fa più!

Anna Di Martino

Fonte

www.vanityfair.it

 

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