In emergenza – urgenza è possibile trovarsi in situazioni in cui il paziente si presenta in stato di shock
Uno shock può essere determinato da cause ipovolemiche; ad esempio un massiccio sanguinamento a seguito di un incidente stradale; da motivi cardiogeni, può essere di natura settica, ad esempio un anziano con ulcere da pressione al quarto stadio, può essere neurogenico o anafilattico.
Indipendentemente da quale sia la causa, lo shock è caratterizzato da ipoperfusione tissutale, che determina ipotensione, cambiamenti nello stato di coscienza, una riduzione della diuresi dall’oliguria fino all’anuria.
Può comparire, a seconda dello stadio, una tachiaritmia o una bradicardia, la cute si presenta pallida e con estremità fredde, vi è desaturazione arteriosa più o meno marcata.
La gestione di una tale urgenza prevede il ripristino dei liquidi e la somministrazione di farmaci vasoattivi.
I liquidi somministrati possono includere sia cristalloidi che colloidi che somministrazione di emocomponenti. [1]
Accesso intraosseo: una tecnica salvavita
La gestione dello shock prevede il reperimento di almeno un accesso venoso di grosso calibro.
Tuttavia, in emergenza urgenza, vi sono situazioni in cui il paziente non dispone di un patrimonio venoso tale da consentire il posizionamento di un agocannula in tempi brevissimi (meno di 90 secondi).
Ciò è molto comune durante lo shock, soprattutto con pazienti anziani, pazienti sottoposti a chemioterapia, o anche pazienti che hanno fatto o che fanno uso di sostanze stupefacenti.
In questi casi, una strategia che si è rivelata un vero e proprio salva vita è l’accesso intraosseo.
Attraverso la via intraossea è possibile somministrare qualunque tipo di farmaco e fluido compresi sangue e plasma, ed è possibile eseguire prelievi ematici. [2]
Le dosi di farmaco che possono essere somministrate attraverso l’accesso intraosseo si equivalgono a quelle per via endovenosa; è necessario, in ogni caso, eseguire, dopo l’infusione di ogni farmaco, un bolo di 5 ml di soluzione fisiologica.
Una corretta tecnica riduce il rischio di complicanze.
Le controindicazioni al posizionamento di un ago per via intraossea sono fratture e precedenti interventi ortopedici in prossimità del sito di accesso, un accesso intraosseo nelle 24 ore precedenti, un’eventuale infezione a livello del sito di inserimento e l’impossibilità di individuare il sito di inserimento.
In letteratura i siti più utilizzati sono la tibia, prossimale e distale, il femore, l’omero e il radio. Il sito idoneo deve essere di facile accesso e semplice da monitorare.
Il tipo di ago (da 15 mm, 25 mm o 45 mm) è in rapporto al peso del paziente e alla presenza di tessuti molli; si utilizza l’ago da 45 mm per i pazienti con peso > di 40 Kg.
Il kit è composto dall’ago, da una linea di connessione (Ez Connect ad esempio) che va riempita con soluzione fisiologica prima di procedere al posizionamento dell’ago; una siringa che viene collegata alla linea di connessione, e dal trapano su cui si innesta l’ago.
L’ago, dopo aver disinfettato il sito di inserzione, va inserito con un’angolatura di 90° rispetto all’osso; una volta inserito l’ago, si disconnette il trapano, si stabilizza l’ago e si rimuove il mandrino, infine si collega la linea di connessione, dalla quale sarà possibile effettuare l’infusione.
Si possono tuttavia riscontrare delle complicanze, quali la dislocazione dell’ago, l’ostruzione dell’ago dopo l’inserimento, lo stravaso di liquido, l’infezione del sito e le fratture ossee.
Per evitare tali complicanze, l’ago deve essere inserito in modo asettico, devono essere effettuati un controllo di eventuale stravaso successivo all’inserimento ed una corretta rimozione dell’ago a seguito del reperimento di un altro accesso venoso periferico o centrale, e comunque mai oltre le 24 ore.
Annalisa Pazienza
Bibliografia
[1] Volume I. Strategie globali di trattamento nello shock. Infermieristica medico-chirurgica. Brunner-Suddarth. Unità 3, pag 370. Quarta edizione. Casa Editrice Ambrosiana 2010.
[2] “L’infusione intraossea”. F. Feola & M. Gervasi, Emergenza Sanitaria, 2015
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