Gli ospedali francesi e tedeschi potrebbero trovarsi, nel giro di pochi mesi, a gestire non più soltanto pazienti civili, ma anche feriti di guerra. Non è fantapolitica, bensì un piano di emergenza che i ministeri della salute dei due Paesi hanno chiesto alle loro strutture ospedaliere di approntare.
Francia: un piano entro marzo 2026
A Parigi il ministero ha inviato alle agenzie sanitarie regionali una direttiva chiara: ospedali pronti entro marzo 2026 a gestire un afflusso straordinario di militari feriti fino a 250 al giorno in caso di picchi, con scenari che prevedono tra i 10 e i 50mila feriti da trattare nell’arco di sei mesi.
Il piano prevede la creazione di centri di smistamento vicino a stazioni, porti e aeroporti, l’addestramento del personale su traumi da combattimento e stress post-traumatico e persino la possibilità di mobilitare operatori sanitari civili nel servizio militare.
Germania: difesa civile della sanità
A Berlino è stato presentato un piano quadro di difesa civile per gli ospedali. Lo scenario peggiore contempla città sotto attacco, evacuazioni di massa e persino il ricorso a rifugi sotterranei. L’obiettivo dichiarato è garantire la continuità dell’assistenza sanitaria e proteggere funzioni essenziali dello Stato in caso di crisi.
Perché questa preparazione?
Le motivazioni ufficiali parlano di “anticipazione”. La pandemia ha mostrato la fragilità dei sistemi sanitari: carenza di posti letto, personale sotto pressione, ritardi nelle forniture. Prepararsi a uno scenario estremo, sebbene improbabile, significa poter rispondere meglio anche a crisi meno drammatiche, dalle catastrofi naturali agli attentati.
L’impatto psicologico sul mondo
Ma la scelta solleva interrogativi. Non rischia di aumentare ansia e paura in una popolazione già provata da pandemia, crisi economiche e conflitti internazionali? Molti parlano di “allarmismo istituzionale”, altri sottolineano invece che ignorare questi scenari sarebbe irresponsabile.
Preparare ospedali a scenari di guerra può sembrare “folle”, ma nella logica della sanità pubblica potrebbe significare un esercizio di resilienza: rafforzare strutture, personale e procedure in vista di qualunque emergenza.
Eppure resta l’amarezza di un progetto pensato dalle origini per non essere calpestato: l’Unione Europea era nata con l’obiettivo di garantire pace duratura tra i popoli dopo le ferite del Novecento. Vedere oggi i suoi Paesi fondatori allestire piani ospedalieri da conflitto conduce a una riflessione: la paura di un ritorno alla guerra è entrata nelle agende politiche, laddove avrebbe dovuto regnare la fiducia nella cooperazione.
La sfida, allora, non è soltanto sanitaria, ma anche culturale e politica: non permettere lo smarrimento della missione originaria dell’Europa dopo i conflitti mondiali del Novecento, che rimane quella di essere il più grande progetto di pace mai realizzato.
Anna Arnone
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