Per un infermiere, per la sua stessa essenza e per l’alto valore morale della sua professione risulta alquanto complesso doversi confrontare con la guerra. Troppe sono le sfaccettature e i dilemmi etici che comporta per noi infermieri doversi confrontare con quella che possiamo definire per antonomasia il punto più alto e distruttivo della violenza.
Per questo motivo non voglio soffermarmi sugli aspetti tecnici, sulle sterili procedure, sui protocolli e così via, ma sugli aspetti etici che questo scenario ci mette davanti crudelmente e violentemente. La guerra, da che si conosca l’uomo, è una costante della nostra storia, tanto che viene da chiedersi se non faccia parte della nostra stessa essenza di esseri umani senzienti, se così tanta violenza abbia uno scopo nel nostro essere umani.
Tutti i Paesi del mondo, a parole, disapprovano e sono preoccupati per questi eventi. Eppure ancora oggi si combattono guerre convenzionali o meno, si commettono stermini di massa con contabilità di vittime e feriti che da sole dovrebbero farci accapponare la pelle e sollevare l’indignazione dell’umanità.
L’Onu dovrebbe essere un organismo, almeno sulla carta, atto a scongiurare il ripetersi degli orrori del passato, ma è mai riuscito veramente a scrollarsi la stessa idea di guerra al suo interno? In realtà sembra più essa stessa un diverso, ma non per questo meno orrendo campo di battaglia per i belligeranti.
In questo scenario così fosco e con diverse guerre più o meno grandi che il mondo anche oggi vive quotidianamente l’infermiere dove si colloca? La nostra deontologia ci suggerisce che un infermiere dovrebbe curare tutti, indipendentemente da quali siano le sue collocazioni.
Come può un infermiere restare distaccato dai feriti, dai morti, dai bambini offesi e martoriati nel corpo e nell’anima? Bella domanda davvero, e probabilmente è una domanda che non trova risposte certe. Come si può, infatti, restare indifferenti alle pressioni umane, deontologiche e di fede quando si è giocoforza proiettati in uno scenario così devastante, e quasi sempre da una parte o dall’altra del conflitto?
Salveresti la vita di chi fino a poco prima tentava in ogni modo di toglierla ai tuoi amici e commilitoni? E con i civili, che sono le vittime sacrificali di ogni guerra, perchè anch’essi sono visti e percepiti come nemici, sopratutto nelle guerre più recenti? Anche questi dovrebbero essere curati, e non soltanto fisicamente, perchè sono coloro che soffrono di più negli scenari di guerra.
Le recentissime esperienze delle guerre Russia-Ucraina e Israele-Palestina ci hanno permesso di osservare quante e quali siano le implicazioni per la popolazione civile, che per lo più è formata da donne, bambini, anziani e persone inabili alla guerra. Persone che non dovrebbero certo essere viste come una minaccia da nessuna delle parti in disputa. Eppure sono in maggior numero tra le vittime.
Per un infermiere che si trova a operare in scenari ostili e così pericolosi diventa davvero difficile gestire le sue emozioni e razionalizzare i suoi pensieri. Il nemico altro non è che un uomo come te, a cui qualcuno ha affidato il compito di essere da un lato un assassino e dall’altro carne per i cannoni.
Possiamo, ad esempio, farci sopraffare di fronte a un nemico, o peggio ancora a un civile ferito gravemente dall’odio di parte, o più semplicemente dal nostro istinto di sopravvivenza? Ogni infermiere prima di ogni altra cosa è un UOMO. Un uomo che ha competenze elevate e un forte imprinting etico-morale, ma pur sempre un uomo. E come tale, a quanto pare, non può che essere coinvolto più o meno dall’istinto primordiale alla guerra.
Per questo, oltre a dover subire i bombardamenti e il pericolo per la sua stessa vita, deve anche subire i conflitti etico-morali che trovarsi in uno scenario così complesso e ostile comporta. Personalmente ho grande stima dei colleghi che si trovano a operare in simili situazioni, in cui oltre a declinare competenze molto avanzate, si deve fare i conti con la propria coscienza.
Ancora maggiore è la stima per quanti in questo scenario ci vanno volontariamente, per portare sollievo e salvare vite, sopratutto civili, pur non essendo coinvolti nelle operazioni militari di una parte. Parlo degli infermieri che sono su quei campi con le organizzazioni non governative.
Non posso nemmeno immaginare come ci si senta a trovarsi nella situazione, come spesso accade, di essere presi in mezzo dalle parti in guerra, nel veder piovere bombe sugli ospedali dove si lavora, o nel vederli occupati militarmente e vedere i tuoi pazienti rastrellati e portati via o uccisi.
A conclusione di queste riflessioni, che hanno la presunzione di voler sottoporre alla attenzione alcuni dei grandi dilemmi etici e deontologici che riguardano gli infermieri in guerra, credo sia opportuno partire proprio dal concetto stesso di guerra, che si riassume nella violenta distruzione morale e materiale di un NEMICO, che poi in definitiva altro non è che me stesso, una specie di violenta ossessione in grado di portare alla distruzione della stessa umanità.
In questa spasmodica follia di massa gli infermieri sono proiettati e fagocitati. Il conflitto tra questo e i suoi valori è per noi quanto mai evidente e difficile da gestire. Perchè l’infermiere ha l’obbligo morale e deontologico di preservare la vita degli uomini chiunque essi siano. Questo è il suo Dna, e la guerra ci pone di fronte all’esatto opposto e diviene particolarmente difficile mantenere equilibrio tra le due anime dello stesso individuo.
Per questo motivo credo che per tutti gli infermieri la vera differenza etica la faccia il rifiutare senza se e senza ma la violenza come strumento di dominio e di risoluzione di conflitti, spesso sanabili in altri modi, e il doversi calare giocoforza in questi scenari. Perchè la guerra è una realtà a cui non possiamo sottrarci.
Chi più e meglio di noi tocca con mano le atrocità della guerra? Chi vede morire persone, spesso innocenti, e inutilmente? Una vecchia canzone che faceva riferimento a una guerra del secolo scorso e alle sue atrocità recitava così, e con queste parole vi lascio alle vostre riflessioni, sperando di averne suscitate: “Quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si fermerà”.
Quel vento è la guerra e lo sterminio sistematico che comporta. Iniziamo da noi, dalla nostra etica, dalla nostra deontologia e dal nostro essere infermieri e uomini, per tentare almeno di fermare questo vento. Gli infermieri, proprio come parte in causa, dicano basta ai massacri, basta alle guerre.
Angelo De Angelis
Articoli correlati:
- Guerra e tutela degli ospedali: cosa dice il diritto internazionale umanitario (IHL)
- Israele, gli orrori della guerra raccontati da un medico italiano a Be’er Sheva
- Ucraina, morto l’infermiere eroe Pete Reed: ha salvato migliaia di vite nelle zone di guerra
- Trapianto di rene madre-figlio salva paziente ucraino evacuato da zone di guerra
- Dall’Ucraina all’Italia con un grave problema al cuore: l’odissea a lieto fine di un uomo in fuga dalla guerra
Scopri come guadagnare pubblicando la tua tesi di laurea su NurseTimes
Il progetto NEXT si rinnova e diventa NEXT 2.0: pubblichiamo i questionari e le vostre tesi
Carica la tua tesi di laurea: tesi.nursetimes.org
Carica il tuo questionario: https://tesi.nursetimes.org/questionari
Lascia un commento