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Essere infermiere sull’Amerigo Vespucci

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“Quando torna in Italia vado sempre a vederla, sono in contatto con i colleghi a bordo, ne seguo il percorso sui social: l’Amerigo Vespucci rappresenta una tappa fondamentale nella mia vita e nella mia professione”.

Vent’anni più tardi, a pochi giorni dal 2 giugno e dalla conclusione del giro del mondo dello storico veliero della Marina Militare, Sandro Di Tuccio, infermiere, 53 anni, componente della Commissione d’Albo Infermieri della FNOPI e presidente dell’Ordine di Macerata, racconta cosa significa essere infermiere militare e, soprattutto, cosa vuol dire svolgere la professione su una nave che gira il globo e ha pochissimi contatti con la terra ferma.

Arruolatosi nel 1991, finito il liceo, Sandro Di Tuccio si è diplomato infermiere e subito ha iniziato l’esperienza della navigazione fino a quando, nel 2001, è salito a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci, all’interno dell’equipe sanitaria composta da quattro infermieri e tre medici di cui un chirurgo e un anestesista.

“Il giro del mondo è durato un anno. A bordo c’erano circa 450 persone. Io mi occupavo sia dalla parte infermieristica sia dalla parte della patologia clinica, perché – racconta l’infermiere – ognuno di noi aveva una doppia specializzazione. L’Amerigo Vespucci è una una nave che non permette l’atterraggio per gli elicotteri, quindi, nelle lunghe traversate c’è bisogno di personale pronto a fronteggiare qualsiasi emergenza. Nella traversata da Honolulu alla Polinesia, siamo stati 47 giorni nell’Oceano Pacifico: qui nessuno poteva raggiungerti prima di 10 ore. All’interno del veliero, ci sono una sala operatoria, uno studio radiologico e uno di patologia clinica. Mi è capitato di dover gestire con i colleghi un principio di appendicite e un piccolo intervento chirurgico, ma l’attività ordinaria era quotidianamente concentrata su traumi, interventi di sutura e ingessatura, visto che l’equipaggio era costantemente impegnato in attività manuali”.

Tra i ricordi indelebili, Sandro Di Tuccio colloca “di sicuro la partenza, è struggente. È un’esperienza bellissima ma difficilissima. Nel mio caso lasciavo i miei figli piccoli e in alcuni periodi di navigazione ho trascorso 40 giorni senza poter comunicare, nemmeno con il satellitare: ero in mezzo al mare e vivevo in un limbo”.
Un aspetto, questo, che può dirottare verso altre carriere professionali. Insieme ad altre criticità. “La maggiore – spiega Di Tuccio -, ad oggi, è rappresentata dal mancato riconoscimento dal grado di ufficiale, cui hanno diritto, ad esempio, farmacisti e psicologi. Abbiamo infermieri laureati e con dottorato di ricerca ancorati al ruolo di maresciallo, nonostante in tutto il mondo vengano riconosciuti ufficiali. È un problema che va risolto perché chiaramente scoraggia i colleghi a intraprendere la carriera o li spinge a lasciarla. Ed è veramente un peccato, perché può donarti tantissimo, sia umanamente che professionalmente”.

In ogni parola pronunciata dall’infermiere, traspare il senso di quel dono e l’amore per un pezzo di vita difficile, ma profondamente appassionante. “Far parte dell’equipaggio del Vespucci, la nave più bella del mondo, rappresenta un privilegio enorme e ti rende fiero ogni giorno di quello che fai. Qui sono nate amicizie fraterne e legami indissolubili e ho vissuto esperienze che oggi caratterizzano il mio approccio alla professione. Mi porto dietro un senso del dovere profondo e la capacità di trovare sempre una soluzione, anche quando sei solo. Ho sviluppato una grande capacità di adattamento e di gestione del problema molto più proattiva con una formazione che – conclude Di Tuccio – mi ha permesso di affrontare i problemi quotidiani in maniera onesta e serena”.

Redazione NurseTimes

Fonte: Fnopi

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