Se mi chiedessero: “Come mai hai scelto questi lavoro?”, darei sempre la stessa risposta: “Per essere d’aiuto”.
Ho conseguito la laurea in infermieristica qualche anno fa, non immaginavo che sarei andata incontro ad una pandemia e che mi sarei ritrovata a fronteggiare il senso di solitudine mio e dei miei pazienti che, invece di un sorriso, hanno interagito con una tuta bianca, una mascherina, e una visiera appannata.
Tenendo conto della necessità di potenziare il quantitativo di personale per sopperire alla richiesta dell’emergenza, sono partita, subito.
Ho firmato un contratto presso una ASL, e sono stata assegnata presso il reparto di medicina sub-intensiva COVID, in cui lavoro tutt’ora.
Personale infermieristico giovane, con la voglia di lavorare per raggiungere lo stesso obiettivo, la fede nella professione che bolle nelle vene e la voglia di farcela tutti insieme. Alcuni con esperienze in RSA, 118, cliniche private, altri neolaureati da poco più di un mese.
Il reparto ha 43 posti letto. Il reparto non ha un coordinatore infermieristico. Il reparto, fino al mese scorso, non aveva OSS. Il reparto è stato stravolto da ricoveri, giunti anche nel turno di notte (talvolta anche 2-3 ricoveri dalle 2 del mattino alle 5), con 4 o 5 infermieri nel turno di mattina, 3-4 infermieri nel turno pomeridiano e, abitualmente, 2 infermieri nel turno di notte, 3 se baciati dalla fortuna. Il medico, durante il turno di notte, non è presente in reparto: c’è un reperibile presente nel Pronto Soccorso che indossa lo scafandro e sale in reparto solo se contattato telefonicamente.
Il personale infermieristico, che mi comprende, si è ritrovato a sopperire a tutte le necessità di reparto:
- -dispensa : mestolo in mano e sporzionamento del vitto (hanno anche preteso, per un periodo, che lavassimo i mestoli), assistenza ai pazienti durante l’alimentazione (in molti provenienti da RSA, quindi non autonomi) ;
- -barellaggio dei pazienti e trasporto degli stessi nel reparto di radiologia che;
- -cure igieniche;
- -terapia farmacologica;
- -medicazioni;
- -organizzazione dei rifiuti (biancheria, ROT; scatole di cartone contenenti i materiali) ;
- -organizzazione della biancheria pulita;
- -trasporto dei pazienti per trasferimenti presso altre strutture, o per ricoverarli nel reparto stesso (il tutto in maniera fittizia, senza alcuna retribuzione extra, abbandonando il reparto per ore, lasciando scoperto un turno già esasperato)
Abbiamo dovuto pregare la direzione affinché potessimo farci il tampone a cadenza mensile per controllarci.
Questa situazione è durata dal mese di novembre fino ad un paio di mesi fa.
Ricordo tutt’ora la situazione che si palesa a nell’ora X: il carrello del vitto nel corridoio; la radiologia che pretendeva velocità nei trasporti; la terapia da somministrare; ricoveri di cui non sapevamo nulla che si accalcavano nei corridoi; pazienti che avevano bisogno di essere cambiati e che avevano aspettato già troppo; noi che correvamo a cercare la biancheria per sistemare i letti in cui spostare i pazienti che aspettavamo in barella.
Si arrivava a fine turno con il fiatone, stremati, i pazienti trascurati che si mortificavano perché suonavano il campanello per un malore, la terapia somministrata anche un’ora dopo.
Ci guardavamo in faccia, mentre consegnavamo il reparto al turno successivo: la vergogna, la rabbia, la mortificazione nata da una situazione lavorativa non dignitosa che, inesorabilmente, incideva sulla qualità assistenziale.
Perché non ci siamo ribellati? Il primario più volte si è rivolto alla direzione della ASL, ricevendo porte in faccia e anche trattamenti poco carini.
Abbiamo fatto intervenire i sindacati e, magicamente, gli OSS sono arrivati: dapprima solo nel turno di mattina, 2 operatori per 43 pazienti, per 5 ore. Hanno assegnato anche altri 2 OSS nel turno pomeridiano. La notte ci sono ancora 2, a volte 3,infermieri.
Indennità COVID? Neanche l’ombra. Di eroico non ci vedo nulla. Vedo solamente carne da macello. Vedo solo vittime in divisa e vittime nei letti. Ci si fermava a chiacchierare con i pazienti fingendo che avessero bisogno, pur di riprendere fiato. Ci si dimenticava di chi fossero i colleghi in turno perché ci si vedeva negli spogliatoi, e poi durante le consegne.
1640€ mensili presso un’Azienda Sanitaria Locale. Alcuni colleghi di altri reparti non covid, negli spogliatoi, ci guardavano dicendo: “Che aria di tensione…”. TENSIONE? In 16 abbiamo retto un reparto al massimo delle nostre capacità, fermandoci dove non arrivavamo perché dovevamo sopperire alla mancanza di tutte le figure che avrebbero dovuto essere presenti.
Ho sempre voluto essere d’aiuto, non avrei mai pensato che l’aiuto sarebbe servito a me.
Demansionamento? No, umiliazione.
La testimonianza di un’infermiera
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