L’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato uno studio multicentrico italiano, coordinato dall’Azienda Ospedaliera di Perugia, sotto l’egida della Società Italiana di Reumatologia (SIR), della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e dell’Associazione italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO).
Si tratta di uno studio randomizzato 1:1 vs standard di cura (SOC), in aperto, di Fase II, che valuta l’efficacia e la sicurezza di colchicina, un vecchio farmaco utilizzato nei disturbi su base auto-infiammatoria e nella gotta, in pazienti affetti da COVID-19.
La colchicina è un alcaloide originariamente estratto dalle piante del genere Colchicum (in particolare il Colchicum autumnale) e presente anche in piante del genere Gloriosa, Androcymbium e Merendera. La sua struttura chimica, ipotizzata empiricamente nel 1945 da Dewar, formata da 2 gruppi eptaciclici, di cui uno trienoico definito da Dewar tropolone, uniti ad un trimetossibenzene, è stata definitivamente individuata solo nel 1955 da H. Corrodi, E. Hardegger. Si presenta sotto forma di polvere giallastra e inodore, cristallina o amorfa ed è assai solubile in cloroformio, etanolo e acqua.
Attualmente viene utilizzato come farmaco per il trattamento della gotta, ma sembra essere utile in svariate sindromi con fenomeni flogistici. È anche il farmaco di prima scelta per alleviare i sintomi della “Febbre Mediterranea Familiare” (FMF), una malattia autoinfiammatoria facente parte della categoria “Febbri Periodiche” (FP).
Relativamente recente (2007) è il suo impiego da parte dei cardiologi nel trattamento delle pericarditi e nella prevenzione delle recidive di tale processo infiammatorio del pericardio (es. Sindrome di Dressler).
La colchicina si lega alla subunità fondamentale dei microtubuli, la tubulina, causandone la depolimerizzazione. Ciò determina un effetto antimitotico sulla cellula che viene bloccata allo stadio di metafase per la mancata genesi del fuso mitotico.
Sebbene l’elevata tossicità della colchicina ne impedisca l’uso come composto antitumorale, tale azione consente di inibire la motilità cellulare impedendo ai leucociti di raggiungere l’area d’interesse e bloccandone l’attività fagocitaria. Oltre a tale azione la colchicina è anche in grado di inibire la produzione del leucotriene B4.
Redazione Nurse Times
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