I giorni che hanno preceduto le festività, con la “F” maiuscola solo per chi non svolge la nostra professione come dimostrano le centinaia di foto che sono comparse sui Social nella giornata del Natale con colleghi sorridenti in divisa che festeggiavano il Natale nelle corsie, hanno visto come protagoniste delle cronache professionali due figure di prima grandezza del panorama sanitario: la Presidente Fnomceo, Chersevani e la Senatrice Silvestro.
La Chersevani e la Senatrice Silvestro hanno dato vita ad un botta e risposta, causato più dalla seconda che dalla prima, girando attorno all’ormai stantio comma 566, ovvero quell’articolo in cui c’è scritto tutto e con ogni probabilità il nulla.
Per chi si fosse dimenticato cosa recita il 566? Riportiamo integralmente il testo:
“Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e Regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Cosa abbia da rammaricarsi Chersevani me lo sono chiesto per giorni prima di mettermi a scrivere, perché non mi pare che nel 566 venga di fatto annullata la presunta superiorità medica ma al contrario si cerchi di valorizzare (dopo quasi un ventennio) le professioni sanitarie che vivono nella terra di mezzo vagando senza meta.
A Chersevani diamo atto che sia scritto male, che sia interpretabile a seconda di chi lo legge e soprattutto sia maledettamente “propagandabile” da parte di chi ne vuole fare una bandiera di lotta politico-professionale. Stiano tranquilli medici ed infermieri, con il 566 non si cambia nulla o meglio si cambia tutto perché nulla cambi.
Umilmente faccio notare che chi sventola queste righe come la soluzione dei problemi evidentemente non ha compreso che non è possibile utilizzarlo per costruire un qualsiasi percorso di cambiamento, a meno che non si voglia far credere a 400 mila infermieri che “gli asini volano”.
Per comprendere meglio quanto affermo occorre fare un passo nella storia, da appassionato di materie storiche ho trovato molti spunti che mi hanno convinto che siamo in presenza di una grande bluff, forse più grande della Legge 42/1999.
Cominciamo con il dire che il 2015, che sta per chiudersi, era il 60esimo dalla nascita dei Collegi ed il 50esimo dal 1° Congresso Nazionale IPASVI. Interessante per esempio è ripercorre le parole dell’allora Presidente IPASVI, Laura Sterbini Gaviglio non fu affatto rituale: ripercorrendo le tappe dei dieci anni di vita dei Collegi, sottolineò tutte le difficoltà con le quali la professione si doveva confrontare, dalla mancanza di scuole statali e gratuite per la formazione, ai problemi di inquadramento contrattuale, alla più generale difesa della dignità della professione infermieristica, concludendo con l’affermazione di essere ormai in tempi “maturi per il raggiungimento di un sistema di sicurezza sociale”. (fonte IPASVI)
Possiamo dire che molte cose non sono cambiate (qui il dramma) quanto il richiamo alla “sicurezza sociale“ che oggi tradurrei in “valore sociale della professione” che sembra scomparso dalle politiche del Collegio, che si rifà ad un generica quanto inespressiva “tutela del cittadino/utente”, se entrerà nel lessico il termine “cliente” smetterò di pagare la tassa annuale.
Sarebbe interessante ricordare, magari approfondire e studiare per valutarne i reali effetti o benefici, che il prossimo 25 febbraio saranno passati 45 anni (come gli anni di chi scrive) dalla promulgazione della legge 124 che avrebbe permesso agli uomini di intraprendere la nostra cara professione, si abbatteva una delle uniche diseguaglianze sociali che premiava le donne più degli uomini.
Tralasciando compleanni e anniversari, che non vanno più di moda nel nostro Paese 2.0 che confonde la memoria corta con la coscienza pulita, arriviamo al Dpr 225 conosciuto da tutti i colleghi come “mansionario”. Per i colleghi più giovani consiglio la lettura del documento che verrà pubblicato nelle note a margine.
L’evoluzione del Regio Decreto n° 1310 del 1940 si inserisce in un quadro sociale di cambiamento, dove anche gli Infermieri sentono di dover fare la loro parte.
Sono molto interessanti i titoli del 3°, 4° e 5° Congresso Nazionale IPASVI. In tutte e tre le occasioni viene messo in primo piano il ruolo “sociale” dell’Infermiere, il Mansionario si inserisce in quel quadro evolutivo?
Storicamente gli anni 70 sono per tutti un momento di passaggio fondamentale per la Professione Infermieristica che riesce a stare agganciata al rinnovamento culturale che le lotte sociali stanno portando al Paese. Nei momenti cruciali di trasformazione dei Servizi Sanitari, il graduale passaggio da un Sistema Mutualistico ad un Sistema Universalistico non solo non viene subito dalla Professione, ma esso lo anticipa per farsi trovare pronta alle nuove sfide.
Prendiamo i titoli del Congrssso del 1973 e del 1975 e capiremo la lungimiranza di chi all’epoca guidava la Professione con occhio attento e lungimirante delle evoluzioni sociali del Paese. Nel 1973 al 3° congresso nazionale il titolo è quasi profetico “Le categorie infermieristiche di fronte alla trasformazione delle strutture sanitarie e sociali del Paese” mentre nel 5° congresso si celebra la svolta che avverrà nel dicembre dello stesso anno con la promulgazione della 833, infatti gli Infermieri anticipano quella legge parlando apertamente di servizi socio – sanitari “Intervento socio-sanitario sul territorio e ruolo delle professioni infermieristiche”.
Da quel momento i Congressi Nazionali prenderanno una spinta centripeta, tutti rivolti all’interno della Categoria Professionale con pochi spunti e visioni di insieme, un accentramento della figura che all’inizio degli anni 2000 diverrà drammaticamente autoreferenziale con la perdita della capacità di guardare oltre in quello spirito anticipatorio dei cambiamenti sociali che gli infermieri erano riusciti a farsi portavoce all’interno di un panorama sanitario ancora fortemente incentrato sulla figura medica.
Questa “trasformazione” della cultura infermieristica ci porta verso le grandi riforme degli anni 90, quando l’infermiere trova uno spazio completamente diverso all’interno delle fibrillanti stagioni di cambiamento del SSN. Mentre negli anni 70 siamo una categoria che anticipa quanto sta avvenendo nel Paese e si interroga su come l’infermiere può partecipare attivamente a questo cambiamento, nel decennio finale del secolo breve gli Infermieri sembrano sempre di rincorsa, come se subiscano la necessità di vedere il riconoscimento professionale. La domanda provocatoria che mi sono formulato in questi giorni è stata: a chi sarebbe giovata l’evoluzione infermieristica del 1994 e successivamente del 1999?
Gli anni 90 si caratterizzano per la presa d’atto da parte della politica del fallimento della 833 (un fallimento annunciato secondo osservatori autorevoli vista la sua mancata attuazione) e il passaggio aziendalista che ne era derivato aveva la necessità di trovare una nuova collocazione alle figure professionali non mediche che ivi vi operavano.
L’abolizione del Mansionario nel 1994, che molti fanno seguire alla “grande manifestazione” di Roma, è solo il primo passo verso la tanto auspicata autonomia degli Infermieri e dei professionisti sanitari in genere. Fu davvero la Manifestazione romana a convincere l’allora Ministro Costa a cambiare il proprio atteggiamento e portarlo a firmare il Decreto Ministeriale 739? Due considerazioni velocissime: siamo nel 1994, epoca del 1° governo Berlusconi dopo il drammatico biennio di Tangentopoli e degli attentati della Mafia con la morte di Falcone e Borsellino e le stragi di Via dei Georgofili a Firenze e Via Palestro a Milano. Il Paese attraversa un momento complicato, ci sono forti tensioni sociali dovute all’innovazione liberale che il governo di Centro Destra vuole portare nel Paese. In questo quadro confuso e mal governato, gli Infermieri raggiungono un risultato insperato: quanto fu logico inserirlo di imperio? Chi all’epoca c’era parla di un bisogno ormai acquisito dagli Infermieri, un cambiamento culturale di fatto già avvenuto nelle corsie, quel DM altro non era che un atto dovuto. Io c’ero nel 1994 e lo ricordo bene quel 1 luglio e ricordo bene anche i mesi successivi. Ricordo bene anche che nella mia UO non cambiò nulla.
Se un errore si fece nel 1978 quando venne promulgata la 833 fu il non prevedere la riforma del lavoro dei professionisti sanitari, un errore che replicammo nel 1992 e che avremmo continuato a perpetrare negli anni successivi. Arrivavano le riforme per le professioni ma nulla cambiava in termini di “lavoro”, anzi, se un cambiamento avveniva era il graduale scollamento della visione sociale che l’infermiere aveva della società in cui viveva.
Quando nel 1999 gli Infermieri si liberavano del concetto di professione ausiliaria, il passo successivo fu quello di ritrovarci completamente stravolto il Sistema in cui operavamo, da un Servizio Nazionale ci ritrovavamo catapultati all’interno di SSR con tutti i problemi che ne sarebbero derivati nel decennio successivo.
Questo lungo excursus storico, sicuramente deficitario, si inserisce molto bene con l’ultimo capitolo ovvero il comma 566.
In questi 20 anni, ma potrei dire anche 40, l’infermiere ha operato come i gamberi rintanandosi sempre più all’interno del suo piccolo orticello, senza più alcuna visione sociale del sistema in cui opera.
Il 566 rappresenta, per chi scrive, l’ultimo passaggio, quello decisivo. Dopo averci fatto assaggiare le redini ed il morso, non potevano non metterci anche i paraocchi in modo che non potessimo più avere una visione a 360° ma ci limitasse a guardare solo davanti a noi.
Il comma 566 cara Chersevani, io sono pronto a stracciarlo domattina se esso mi limita ad essere solamente un operatore tecnico sanitario, lascio volentieri a lei ed alla sua categoria professionale la grande sfida di divenire dei professionisti a velocità limitata, incapaci di anticipare i cambiamenti che la società sta portando con se.
Gli Infermieri devono smetterla di inseguire un’autonomia fittizia figlia solamente dell’aziendalismo esasperato che non vede nell’Infermiere la risorsa ma solo il risparmio. Le sfide che ci aspettano sono altre, come per esempio la capacità di guardare oltre il giardino della Sanità ed entrare nuovamente nel grande prato della Salute.
I numeri ci dicono che moriamo di più, che sono in aumento le patologie croniche, le disabilità, che molte di queste statistiche sono figlie di un esasperato consumo dell’ambiente.
Gli Infermieri siano portatori di una nuova cultura della prevenzione, perché è lì che possiamo fare la differenza: prima che insorga la malattia e prima che insorgano le complicanze.
Piero Caramello
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