Quest’anno si è tenuto nel Lazio un focus sulla diagnosi differenziale.
Come ogni anno l’Associazione Italiana Celiachia organizza una settimana di awareness sui disturbi intestinali legati alla celiachia. E nel Lazio, quest’anno il focus è sulla diagnosi differenziale tra celiachia, sensibilità al glutine e allergia alle altre proteine del grano.
La prevalenza della celiachia in Italia è di un caso ogni 100. Quindi si stima che gli italiani affetti da questa condizione siano almeno 600mila. Ma fino al 2019 quelli diagnosticati erano appena 221mila. Insomma, ne mancano all’appello circa 400mila. Di qui, la necessità di far conoscere questa condizione che si presenta con disturbi intestinali, spesso vaghi, come dolore aspecifico, gonfiore, digestione lenta.
“Una delle tendenze più comuni (e sbagliate) – ricorda il professor Italo De Vitis, direttore UOS Patologie dell’assorbimento intestinale, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ricercatore in Medicina interna all’Università Cattolica, campus di Roma e presidente del Comitato scientifico dell’Associazione Italiana Celiachia per la Regione Lazio – è quella di iniziare per conto proprio una dieta senza glutine che consente un miglioramento dei sintomi, ma impedisce di fare la diagnosi attraverso tutti gli accertamenti necessari; questo perché, dopo aver escluso il glutine, gli eventuali marcatori biologici di malattia (anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA e IgG, anticorpi anti-endomisio), si azzerano”.
La positività degli anticorpi anti-transglutaminasi, superiori di dieci volte la norma, unita a un test genetico positivo (presenza del DQ2 o del DQ8) consente già di far diagnosi di celiachia in età pediatrica. Nell’adulto è utile associare anche l’esecuzione della biopsia duodenale per valutare i danni che il glutine può aver creato nell’intestino e per la certificazione.
“I campanelli d’allarme della malattia – prosegue De Vitis – sono la carenza di ferro e, nel sesso femminile l’abortività, l’infertilità, la stomatite aftosa. Nell’uomo, oltre alla stomatite aftosa, un segno importante è la carenza di smalto già nei bambini-adolescenti o nel giovane adulto. Altra caratteristica comune a entrambi i sessi è l’aumento delle transaminasi (2-3 volte la norma) senza causa apparente”.
Molto importante è la familiarità. Il tasso di prevalenza per i familiari dei celiaci è 20 volte superiore alla popolazione generale. “Importante fare accertamenti per celiachia, anche in assenza di sintomi in presenza di patologie che condividono la stessa origine genetica, in particolare la tiroidite autoimmune di Hashimoto e il diabete di tipo 1, ma anche l’artrite reumatoide e la sindrome di Sjögren”, prosegue De Vitis.
L’unica terapia possibile al momento è la dieta senza glutine. “Lo Stato italiano, unico al mondo – ricorda De Vitis –, mette a disposizione del celiaco fino a 110 € nel maschio e 99 € nella donna per l’acquisto di prodotti senza glutine ogni mese. Nel Lazio, a breve, questa quota sarà a disposizione direttamente nella tessera sanitaria e potrà essere utilizzata anche nella grande distribuzione. Sono poche le Regioni d’Italia (Emilia Romagna, Lombardia e Puglia) che lo hanno già fatto”.
Nella diagnostica differenziale, oltre alla celiachia, vanno considerate la gluten sensitivity e le forme di allergia al grano. Alcune persone che lamentano disturbi in rapporto al consumo di pane o pasta, una volta esclusa la celiachia, potrebbero avere altre forme di allergia a una delle cinque proteine del grano (non al glutine), che sono molto più frequenti di quanto si pensi.
“Nella nostra casistica del Gemelli, che tiene conto solo delle persone sintomatiche, abbiamo riscontrato l’1,5% di prevalenza di allergia al grano – conclude De Vitis –. Il trattamento in questo caso consiste in una dieta di esclusione dei prodotti del grano, sotto stretta guida dell’Allergologo, con il quale si potrà organizzare una terapia personalizzata, tentando una desensibilizzazione al grano e ricorrendo eventualmente all’aiuto di farmaci (antistaminici, cortisonici, a terapie più moderne, cosiddette biologiche)”.
“Negli ultimi anni – ricorda il professor Giovanni Cammarota, direttore del Day Hospital di Gastroenterologia e trapianto di Microbiota della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore associato di Gastroenterologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma – l’attenzione per chi soffre di sensibilità al glutine, pur non essendo celiaco, è crescita enormemente. Non esistono ancora numeri ufficiali ma si stima che questa condizione potrebbe riguardare fino a 3-4 milioni di persone in Italia. La gestione di questi pazienti è molto sfidante per il gastroenterologo, in relazione alla diagnostica differenziale (celiachia, sindrome dell’intestino irritabile, malattie infiammatorie intestinali, altre intolleranze alimentari), alla personalizzazione della dieta improntata alla esclusione del glutine, e alle possibili strategie di una sua graduale reintroduzione nel tempo”.
Redazione Nurse Times
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