Stop “all’anarchia” nelle sale operatorie: il capo dell’equipe chirurgica non può rimanere “inerte” innanzi alle scelte degli altri specialisti, anestesisti in primis, qualora le ritenga non condivisibili in base al suo bagaglio di conoscenze e dannose per il paziente.
Lo afferma la Cassazione – con un verdetto sulla malasanità – rigettando la tesi di un primario chirurgo per cui “la diversità delle conoscenze specialistiche” circoscriverebbe “l’ambito delle responsabilità delle competenze scientifiche dei singoli”.
Per questo motivo, la Suprema Corte ha confermato la condanna per omicidio colposo a carico di un chirurgo, primario all’ospedale di Vibo Valentia, ritenuto colpevole di non essersi avvalso “dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli” – di capo dell’equipe – e di non aver bloccato la scelta dell’anestesista, di praticare una anestesia generale con curaro su una ragazzina per reciderle un ascesso alla gola, pur avendo manifestato dissenso da questa decisione che, infatti, portò alla morte la paziente e rese vano il tentativo di tracheotomia da lui praticato.
Spiega la Cassazione – con la sentenza 33329 – che “il lavoro di equipe vede la istituzionale cooperazione di diversi soggetti, spesso portatori di distinte competenze: tale attività deve essere integrata e coordinata, va sottratta all’anarchismo. Per questo assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro. Costui non può disinteressarsi del tutto dell’attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla”.
Nei suoi confronti – chiariscono gli “ermellini” – “non opera, in linea di massima, il principio di affidamento”. Ossia, il capo dell’equipe non può astenersi dal valutare gli effetti delle scelte degli altri camici bianchi confidando nella loro specializzazione. Anche se la sua responsabilità non può essere considerata, per questo, “senza limiti”. Può succedere, infatti, “che sia in questione sapere altamente specialistico che giustifica la preminenza del ruolo decisorio e della responsabilità della figura che è portatrice delle maggiori competenze specialistiche”. Per esemplificare, la Cassazione rileva che “l’anestesista rianimatore è portatore di conoscenze specialistiche e assume la connessa responsabilità in relazione alle fasi di qualche qualificata complessità nell’ambito dell’atto operatorio”. Invece, “diverso discorso va fatto per ciò che attiene a scelte e determinazioni che rientrano nel comune sapere di un accorto terapeuta; nonché per quanto riguarda ambiti disciplinari nei quali è coinvolta la concorrente competenza di diverse figure”.
“In tali situazioni – affermano i supremi giudici – riemerge il ruolo di guida e responsabilità del capo equipe” e “si vuole dire che quando l’errore è riconoscibile perché banale o perché coinvolge la sfera di conoscenza del capo equipe, questi non può esimersi dal dirigere la comune azione ed imporre la soluzione più appropriata, al fine di sottrarre l’atto terapeutico al già paventato anarchismo”. Giungendo anche a bloccare l’intervento.
Fonte: www.ansa.it
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