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Cancro al seno: nuova cura dal veleno delle api

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Cancro al seno: nuova cura dal veleno delle api
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Una nuova cura dal veleno delle api può uccidere le cellule tumorali in due sottotipi di cancro al seno, il triplo negativo e il HER2-arricchito. La scopeta si deve a un recente studio condotto dall’Harry Perkins Institute of Medical Research di Perth e pubblicato su Nature Precision Oncology.

Il triplo negativo e il HER2-arricchito sono le due forme di cancro al seno più aggressive e più difficili da curare, particolarmente diffusi nelle donne più giovani.

Il veleno delle api  ha già mostrato i suoi effetti antitumorali nei test di laboratorio su diverse cellule ottenute da melanoma, glioblastoma, cancro alle ovaie. La melittina costiuisce la componente attiva di questo veleno ed è la responsabile del suo effetto anti-tumorale. Si tratta di un peptide, che si lega al doppio strato fosfolipidico della membrane cellulare e, grazie a questo legame, forma dei pori al suo interno che possono consentire l’internalizzazione di piccole molecole aggiuntive con attività citotossiche. La formazione di questi pori può quindi agevolare l’assorbimento di agenti chemoterapici. Proprio per questo, il suo utilizzo come mezzo anti-tumorale può essere affiancato ad una terapia chemoterapica.

Lo studio dell’Harry Perkins Institute of Medical Research di Perth è partito da analisi in laboratorio, in vitro, sulle linee cellulari ottenute sia dal tumore TNBC sia dal HER2.

La cura dal veleno delle api, grazie alla melittina, sarebbe in grado di ridurre specificamente la vitalità delle cellule di queste due forme di tumore, mostrando invece un impatto trascurabile sulle cellule normali.

Sono stati realizzati anche degli studi in vivo su modelli murini per andare a testare poteniali effetti sinergici tra melittina e agenti chemioterapici. Quello che si è osservato è che la melittina sensibilizza il TNBC al trattamento con docetaxel in vivo. Questi risultato hanno evidenziato il potenziale racchiuso da questo nuovo trattamento: la melittina può essere utilizzata in terapie combinate per aumentare potenzialmente l’efficacia e / o ridurre la dose di agenti citotossici, consentendo l’erogazione di trattamenti più convenienti con potenzialmente meno effetti collaterali.

Per la responsabile della ricerca Ciara Duffy la scoperta è un primo step importantissimo verso una possibile cura per questo tipo di tumore.

Fonte: biomedicalcue.it

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