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Il Bisogno di parlarne con qualcuno: quando le emozioni sono troppi forti per essere taciute

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Il Bisogno di parlarne con qualcuno: quando le emozioni sono troppi forti per essere taciute
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Un nuovo appuntamento con PsicoPoint, la rubrica a cura del dott. Giuseppe Marino sta per avere inizio. Tratteremo il tema del bisogno del professionista Infermiere di avere a disposizione qualcuno con cui parlare, quando le emozioni provate iniziano a diventare troppo intense.


IL BISOGNO DI PARLARNE CON QUALCUNO
Quando le emozioni sono troppo forti per essere taciute

Il lavoro del professionista sanitario è sicuramente carico di emozioni. Chi ha scelto questo ruolo ha scelto anche di avere quotidianamente a che fare con i sentimenti più toccanti per l’uomo: che sia una giornata trascorsa tra i corridoi di un ospedale, in un ambulatorio, dentro una casa di riposo, al letto di un paziente o in strada, sopra un’ambulanza con la sirena spiegata. C’è sempre qualche emozione forte. Emozioni forti, capaci di scuotere molto le nostre coscienze e toccare la nostra personalità: a volte queste emozioni sono crude e violente e per quanto ci facciamo forza, alcune riescono a sorpassare la nostra corazza; altre sono dolcissime ed appaganti, e se la nostra divisa è bianca quel giorno si accende dei nostri sorrisi e diventa più colorata!

È naturale in un’unità operativa percepire il bisogno di dover esternare emozioni, di poter parlare con qualcuno di quelle situazioni che ci hanno particolarmente colpito, in positivo e in negativo.

Ma come si fa? Non è facile parlare di questi argomenti; i fattori in gioco sono molti e non tutti sono propriamente legati alla sfera professionale. Quando si ha a che fare con la vita e con la morte e con l’immenso ed affascinante (nel bene e nel male) corollario di sensazioni che questi temi portano con se, ebbene, non è proprio cosa da poco riuscire a gestire al meglio il proprio equilibrio per tornare a lavorare in modo efficace.

Come possiamo allora parlare tra colleghi di argomenti così delicati, mantenendoci professionali, ma contemporaneamente non ostacolando la nostra umanità?

Tre consigli per parlare delle nostre emozioni

1. Creiamo una base di ascolto solida: avere un buon team di lavoro predispon a parlare con i colleghi dei sentimenti relativi all’ambiente in cui si opera; questo perché c’è la consapevolezza gruppale che situazioni difficili possono intaccare il lavoro nell’insieme e che la forza del gruppo è data anche dal benessere di ogni singola persona. Un gruppo responsabile sa affrontare questi argomenti assieme e talvolta organizza vere e proprie riunioni specifiche per riportare questi temi. Il primo consiglio è assolutamente impegnarsi per fondare una base solida, attenta e predisposta all’ascolto. Ascoltare non è facile! E se il nostro team di lavoro non fosse abituato ad ascoltare, cominciamo noi a cambiare le cose: mettiamoci in ascolto per primi!
2. Alleniamoci a descrivere le emozioni in modo fenomenologico; questo non è facile! Cosa significa. Ebbene: noi abbiamo una predisposizione naturale a riassumere ciò che ci capita con una sola parola; cerchiamo sempre di sintetizzare, rendendo un concetto più rapido, ma non sempre chiaro o trasparente. Un esempio è quando parliamo della persona che ci piace: non siamo sempre attenti a descrivere i fattori che hanno determinato il nostro affetto, spesso siamo vaghi; diciamo “è simpatico”, “è bella”, “è affascinante”, senza riflettere su quanto questi termini siano molto interpretabili da tutti e tutti ne dIano  una loro definizione.

Ci innamoriamo non del concetto dell’amore, ma bensì di quella persona particolare perché quella persona ha delle caratteristiche uniche che ci coinvolgono e ci fanno battere il cuore. Ecco, lo stesso esercizio è da farsi quando durante il lavoro dobbiamo parlare delle emozioni intense: non limitiamoci ad un racconto sintetico, proviamo a descrivere meglio cosa è successo, nei particolari: aiutiamoci con la domanda “perché?”

Ad esempio
“Ieri quel paziente mi ha piacevolmente stupito … (perché?) .. di solito è scontroso ed invece ieri si è dimostrato gentile .. (perché?) .. mi ha ringraziato.. (perché?) .. ho passato con lui qualche minuto in più scambiando due chiacchiere.. (perché?)..” e così via ..

Nell’esempio siamo passati da un sintesi, lo stupore, a scoprire che il collega in questione era piacevolmente stupito perché il paziente si era dimostrato gentile, dopo aver passato qualche momento in più assieme.

In questo modo, la storia che viene raccontata è meno interpretabile, è più fedele alla realtà e condivisa da tutti gli ascoltatori. Se riusciamo a descrivere in modo accurato i fatti, poco a poco riusciremo anche a cogliere meglio ciò che queste esperienze smuovono dentro di noi: capiremo dove possiamo effettivamente lavorare e su che cosa.

Il nostro collega ora sa che per non avere un paziente scontroso deve organizzarsi per concedergli qualche minuto in più. Non sintetizziamo le emozioni, raccontiamole a lavoro per come queste si traducono effettivamente nel reale. Riusciremo a conoscerci meglio ed ogni scambio sarà sempre motivo di crescita oltre che di condivisione.

3. Non sempre si può condividere. Alcune situazioni sono talmente energiche che ne richiamano altre, certe volte capita di vivere momenti su lavoro che ci feriscono, che toccano corde troppo personali da condividere con i colleghi di lavoro. Vi sono poi volte in cui dobbiamo affrontare situazioni talmente difficili che non si riesce neppure a parlarne con i propri cari.

In quel momento ricordiamoci che non siamo soli e che il silenzio non è sempre la via migliore per metabolizzare. Lo psicologo è una figura professionale e sanitaria che può aiutare questo percorso di risoluzione: insieme si può tornare a riacquistare il nostro senso di libertà e serenità, non dimentichiamocene.


Ringraziamo il dottor Giuseppe Marino per il tempo dedicato allo studio della professione infermieristica. Invitiamo tutti i nostri lettori a non perdere il prossimo appuntamento con PsicoPoint, tra sette giorni.

Simone Gussoni

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