Il dirigente che non ha vigilato per prevenire il mobbing e il demansionamento, deve pagare il risarcimento che l’azienda è tenuta a versare al lavoratore.
Commento a Corte dei Conti: sez. Toscana n. 18 del 18 luglio 2016
C’è responsabilità contabile per il dirigente che con la sua condotta dequalificante e vessatoria, provoca un danno da demansionamento e mobbing, depauperando il patrimonio dell’amministrazione a seguito del risarcimento riconosciuto al dipendente dal giudice del lavoro.
Questo, in sintesi, il nucleo della sentenza dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Toscana, n. 183, depositata il 18 luglio 2016.
Nel caso in esame il sindaco di un comune Toscano, per garantire la continuità del servizio di notificazione, all’epoca dei fatti carente di personale, emanava un ordinanza nella quale attribuiva tale compito ai componenti della Polizia Locale attribuendo loro la qualifica di “messo notificatore”.
Rinviando altresì la facoltà al dirigente della polizia locale di scegliere 4/5 elementi da far ruotare per l’espletamento del servizio.
Sulla scorta della disposizione del sindaco, il Comandante della Polizia Municipale aveva preposto al servizio di notificazione, con effetto immediato, solo ed esclusivamente un solo dipendente; tuttavia il provvedimento dirigenziale si configurava in difetto di una rotazione, prevista dalla stessa direttiva sindacale, con altri agenti di Polizia municipale attraverso un rispettivo coinvolgimento part-time per l’ottimale copertura del servizio stesso.
Peraltro la condotta del Comandante si sommava a un insieme di comportamenti quali l’esclusione dal lavoro straordinario in occasione delle elezioni amministrative, la mancata consegna della scheda di valutazione, il rifiuto delle ferie ed era stata ritenuta illegittima dal tribunale adito dal dipendente.
Il dipendente ritenendo che i provvedimenti summenzionati fossero illegittimi, oltre a chiedere formalmente il loro annullamento al Direttore Generale del Comune ed al Sindaco, provvedeva a dar notizia degli avvenimenti a varie autorità, fra cui la Procura erariale ed inoltre attivava un giudizio civile per il risarcimento dei danni subiti, incardinato presso il Giudice del lavoro.
All’esito del giudizio, il Tribunale di Grosseto – Sezione Lavoro emetteva la sentenza n. 138 del 16 ottobre 2013, condannando il Comune al pagamento, in favore del ricorrente, della somma complessiva di € 28.062,00 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento e mobbing, oltre alle spese di lite e alle spese di CTU.
Il Comune, per far fronte a tale risarcimento, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 62 del 26 novembre 2013, provvedeva al riconoscimento di un debito fuori bilancio, per un importo pari a € 43.314,33 ed all’emissione del relativo mandato di pagamento.
Successivamente il Comune, con deliberazione della Giunta del dicembre 2013, decideva di ricorrere in appello nei confronti della decisione del Tribunale di Grosseto, appello deciso dalla Sezione Lavoro della Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 299/2015, deposita agli atti del fascicolo in data odierna.
Tale sentenza confermava la spettanza del risarcimento, con esclusione della sola posta di €. 5.850,00 relativa al danno patrimoniale alla professionalità.
Le parti convenute in giudizio si sono difese ognuna per le proprie presunte responsabilità, il Comandante della polizia locale il quale, nel merito, sosteneva che nessuna responsabilità poteva essergli attribuita, in quanto egli non aveva adottato alcuna condotta lesiva nei confronti dell’agente di polizia locale e che comunque mancava la prova di una sua responsabilità per dolo o colpa grave, essendosi limitato a dare seguito alle disposizioni del Sindaco.
Sosteneva inoltre che il Tribunale aveva errato nel ritenere che l’attribuzione al dipendente della qualifica di messo notificatore costituisse una grave dequalificazione, sintomo di un intento vessatorio, in quanto in passato tale funzione era stata stabilmente svolta anche da altri agenti di Polizia Municipale.
Di converso il Sindaco dichiarava la sua estraneità al comportamento demansionante e mobbizzante, in quanto, nella sue successive delibere dopo le doglianze dell’agente di polizia, aveva espressamente fatto riferimento all’opportunità di far ruotare la nomina su 4/5 agenti diversi e che quindi non poteva addebitarsi a lui l’attività dequalificante e demansionante posta in capo all’agente di polizia odierno attore.
Nel merito dei fatti, Collegio condivide la prospettazione attorea per la quale nella vicenda sussisterebbero, in astratto, tutti gli elementi costitutivi della responsabilità contabile.
- In primo luogo è indubitabile che all’epoca degli eventi le parti convenute nella loro qualità di Sindaco pro-tempore del Comune di XXXX e Dirigente del Settore V dello stesso Comune, erano direttamente legate all’Amministrazioni da un rapporto funzionale di servizio e pacificamente soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti.
- Altrettanto evidente è il nesso causale tra la condotta delle parti convenute e l’evento dannoso, consistente nell’effettivo pagamento da parte del Comune di somme erogate a favore di un dipendente comunale, a seguito della sentenza che ha sancito il suo diritto al risarcimento.
Come ampiamente illustrato nell’atto di citazione, il depauperamento dell’amministrazione avviene con l’effettivo pagamento nei confronti del terzo, a nulla rilevando il fatto che la pronuncia civile sia gravata da impugnazione ed è, infatti, con il pagamento che il danno assume i caratteri della concretezza e attualità e che si impone il suo ristoro, in effetti il comune aveva comunque dovuto elargire le somme al dipendente per ristorarlo del danno da demansionamento e questo pagamento ha ovviamente comportato una deminutio patrimoni delle casse comunali, tali da dover per questo, far intervenire il collegio per il sospetto di danno erariale.
Il collegio comunque assolve il sindaco dalla responsabilità a lui ascritta, poiché con le successive delibere che invitavano il capo della polizia a far ruotare i dipendenti nel ruolo di messo notificatore ha evitato di assumersi lui direttamente la responsabilità che di converso è stata addebitata direttamente al dirigente capo della polizia locale il quale con il suo atteggiamento è stato foriero di danno di cui trattasi come evidenziato nei passaggi delle sentenze di primo e secondo grado, il Comandante nell’ambito della gestione del personale a lui demandata ha posto in essere atti che, a prescindere dalle chiare valutazioni del Giudice del Lavoro, integrano non solo il fenomeno del demansionamento e del mobbing ma anche un censurabile esercizio della funzione amministrazione.
Da una parte ha utilizzato un solo agente nelle mansioni “suppletive” e non ha posto in essere la rotazione possibile con gli altri Agenti di Polizia Municipale parimenti individuati per la supplenza e, dall’altra, ha avuto un insieme di comportamenti quali l’esclusione dal lavoro straordinario in occasione delle elezioni amministrative, la mancata consegna della scheda di valutazione, il rifiuto delle ferie etc. etc. che integrano una gestione amministrativa del dipendente improntata ad un grado di colpa censurabile.
Per tali motivi viene condannato al risarcimento del danno in favore del Comune.
L’Ufficio Legale Nazionale
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