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Asl Roma 2 condannata per illecita somministrazione di lavoro

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Una sentenza storica. Il Tribunale del Lavoro di Roma, con decisione del novembre 2024, ha condannato l’Asl Roma 2 per violazione del divieto di intermediazione e interposizione di mano d’opera. Un gruppo di dipendenti della ditta NTA S.r.l, seguiti dall’avvocato Luciana Pirrongelli, ha ottenuto il riconoscimento del diritto alle differenze retributive e contributive previste dal Ccnl Comparto sanità per il lavoro svolto presso il Cup dell’Azienda sanitaria.

Ma veniamo ai fatti. L’Asl Rm B, poi confluita nell’Asl Roma 2, aveva indetto una gara a procedura aperta per l’affidamento della gestione dello sportello unico aziendale (Cup). La gara era stata aggiudicata alla NTA S.r.l., che era subentrata alla cooperativa La Begonia, assorbendo tutto il personale già in servizio da tempo.

L’oggetto della gara era la fornitura di 3.070 ore settimanali, equivalenti a 110 operatori part-time, per un totale complessivo di 159.640 ore annue. I dipendenti della ditta aggiudicatrice dell’appalto erano inquadrati con il IV livello del Ccnl Terziario con la qualifica di impiegati front/back office.

Gli operatori non si erano limitati a effettuate le attività di prenotazione presso il Cup, ma avevano svolto molteplici attività, utilizzando i programmi della Asl e della Regione, sopperendo alle carenze di organico dovuto al blocco delle assunzioni. In sostanza svolgevano le identiche mansioni dei dipendenti Asl ed erano assoggettati al potere organizzativo dell’Azienda, compreso lo spostamento nelle varie sedi di lavoro per garantire la copertura del servizio.

Per queste ragioni i dipendenti della NTA S.r.l. si sono rivolti al Tribunale del Lavoro per somministrazione illecita e violazione del divieto di intermediazione e interposizione di manodopera, chiedendo all’utilizzatrice Asl il pagamento delle retribuzioni in applicazione del Ccnl Comparto Sanità e dei minimi tabellari del livello B1 (coadiutore amministrativo).

L’art. 1 della Legge n. 1369/60 stabilisce infatti che “è vietato all’imprenditore di affidare in appalto a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore”.  Questa norma si applica anche alle aziende e agli enti della pubblica amministrazione.

Il contratto di somministrazione di lavoro è ben diverso dal contratto di appalto. Nel primo si forniscono lavoratori all’utilizzatore (D.lgs 276/2003), mentre nel secondo si appalta un intero servizio con pieno potere organizzativo e direttivo nei confronti del personale e responsabilità riguardo ai mezzi da utilizzare per lo svolgimento del servizio stesso (art. 1655 c.c.).

Nel caso di specie si è trattato pertanto di una somministrazione illegale, mascherata da contratto di appalto. I lavoratori pertanto potevano chiedere, mediante ricorso a norma dell’art. 414 del Codice di procedura civile, la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente. Trattandosi però di un appalto della pubblica amministrazione, per i noti principi di rango anche costituzionale che disciplinano le assunzioni nel pubblico impiego, è stato possibile chiedere all’Azienda sanitaria soltanto la corresponsione degli obblighi retributivi e contributivi.

In conclusione, è stato accertato da prove documentali e testimoniali che l’esternalizzazione del servizio Cup non era stata completata. I lavoratori della ditta appaltatrice sono stati inseriti a lavorare insieme ai dipendenti Asl per sopperire alla carenza di personale causata dal blocco delle assunzioni. È stato evidenziato, infatti, che nel 1999 era prevalente la presenza di personale della Asl, mentre con il subentro della NTA S.r.l. la situazione era invertita: il personale della ditta era prevalente e tutti svolgevano le medesime mansioni sotto la direzione della Asl.

I ricorrenti avevano chiesto l’inquadramento di assistente amministrativo, categoria C, mentre il Tribunale ha ritenuto che le mansioni svolte siano da ricondurre al profilo di coadiutore amministrativo, categoria B1, sulla base della declaratoria delle mansioni di cui al Ccnl Comparto Sanità.

Nel settore sanitario quello della violazione del divieto di intermediazione di manodopera è un fenomeno abbastanza diffuso. Ci sono molti casi di somministrazione di lavoro mascherati da appalti di servizi. Ci sono anche molte irregolarità nei contratti di lavoro dei dipendenti che operano all’interno di appalti effettivi.

Ritengo necessari un’internalizzazione di molti servizi e un intervento di regolarizzazione degli appalti in essere. La logica del “massimo ribasso” ha prodotto soltanto disservizi, sfruttamento e, nel lungo periodo, un aumento dei costi. L’esatto contrario di quello che si voleva ottenere.

Dott. Ivo Camicioli
Responsabile di Unità operativa ospedaliera e delegato sindacale

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