La coagulazione è un meccanismo di protezione: quando accidentalmente ci procuriamo una ferita il sangue cessa di fuoriuscire grazie all’interazione dei fattori della coagulazione e delle piastrine che formano una barriera, il cosiddetto trombo
La protrombina è una glicoproteina plasmatica sintetizzata dal fegato che partecipa al processo di coagulazione del sangue, conosciuta anche come fattore II della coagulazione.
In caso di lesione di un vaso sanguigno, si verifica la conversione della protrombina (fattore II) in trombina (fattore IIa), che a sua volta converte il fibrinogeno in un polimero di fibrina insolubile; si produce così un intreccio di fibre che partecipa alla formazione del coagulo.
Ciò innesca una reazione a catena che porta alla formazione di un coagulo di sangue.
Il tempo di protrombina (PT = Prothrombin time) è un’analisi di laboratorio, che quantifica il tempo necessario alla formazione di un coagulo:
- Valori di PT superiori a quelli di riferimento indicano che il sangue impiega più tempo del normale a coagulare.
- Valori inferiori indicano che il sangue coagula più rapidamente rispetto alla norma.
Per questo, la valutazione del tempo di protrombina viene prescritta anche quando una persona sta assumendo farmaci anticoagulanti.
La lesione di un vaso sanguigno determina la rapida conversione della protrombina (fattore II) in trombina (fattore IIa), che a sua volta converte il fibrinogeno in un polimero di fibrina insolubile; si produce così un intreccio di fibre che partecipa alla formazione del coagulo.
Misurando il tempo di protrombina è possibile valutare:
- Quanto è efficace la coagulazione;
- Quanto tempo è necessario affinché il sangue coaguli.
Inoltre, tale parametro permette di verificare il funzionamento del farmaco fluidificante del sangue (anticoagulante) e la sua efficacia nel prevenire la formazione di coaguli.
Il risultato del test può essere presentato in due diversi modi:
- Tempo di protrombina in secondi: indica il tempo necessario al sangue per coagulare. I valori di riferimento possono variare leggermente da laboratorio a laboratorio, ma in genere sono compresi tra 11 e 13 secondi.
- Tempo di protrombina come rapporto (INR): l’International Normalized Ratio (INR, rapporto internazionale normalizzato) permette di eliminare la variabilità dei risultati ottenuti nei diversi laboratori. Questo parametro viene solitamente utilizzato per le persone che assumono farmaci anticoagulanti. In assenza di particolari problematiche, invece, sono attesi valori compresi tra 0,9 e 1,3.
In genere il tempo di protrombina nel soggetto adulto viene misurato prelevando un campione di sangue periferico. Il sangue viene quindi posto in una provetta contenente del liquido citrato, che agisce come un anticoagulante legando gli ioni calcio presenti nel campione. Una volta giunto in laboratorio il sangue viene mescolato, quindi centrifugato al fine di separare le cellule del sangue dal plasma.
Nei neonati, si preleva invece un campione di sangue capillare. Il plasma a questo punto viene analizzato da un tecnico di laboratorio su uno strumento automatico a 37 °C e ne viene prelevato un piccolo campione. Al campione viene aggiunto un eccesso di calcio (si annullano in questo modo gli effetti anticoagulanti del citrato) e questa operazione consente al sangue di tornare a coagulare. Perché si possa ottenere una misurazione accurata del PT la proporzione di sangue e di citrato deve essere ben precisa. Molti laboratori non eseguono il test se la provetta per qualsiasi motivo è stata riempita troppo o troppo poco: in questi casi infatti la diluizione standard di 1 parte di anticoagulante e 9 parti di sangue intero non è più valida.
Come già accennato il risultato (espresso in secondi) per un tempo di protrombina effettuato su un individuo normale varierà a seconda del tipo di sistema analitico utilizzato in quello specifico laboratorio.
Ciò è dovuto alle variazioni esistenti tra lotti commerciali differenti di fattore tessutale usate nel reagente per eseguire il test.. In altre parole tromboplastine di differenti fabbricanti possono fornire tempi diversi sul medesimo plasma, e soprattutto possono reagire in modo differente alla carenza di fattori indotta dalla terapia anticoagulante, rendendo impossibile il confronto diretto di tempi e attività protrombiniche fra laboratori che usano reattivi differenti.
Per questo motivo nel 1987, sono stati introdotti l’ISI e l’INR. In questo modo gli INR dei pazienti diventano confrontabili fra loro anche quando il paziente effettua l’analisi presso laboratori che usano reagenti differenti.
L’INR e l’ISI sono calcolati sulla base del PT ratio (PR). L’INR è stato concepito proprio per standardizzare i risultati e renderli paragonabili indipendentemente dal laboratorio che esegue l’esame. Ogni produttore assegna un valore ISI (International Sensitivity Index) per ogni fattore tissutale che viene fabbricato ed immesso in commercio.
Il valore ISI indica un particolare lotto di fattore tissutale confrontato ad un fattore tissutale internazionale di riferimento. L’ISI riscontrabile sulle partite di test in commercio è di solito tra 0,8 e 1,0. L’INR è il rapporto del tempo di protrombina del paziente a un normale (controllo) del campione, elevato alla potenza del valore ISI per il sistema analitico utilizzato.
A CHE COSA SERVONO GLI ANTICOAGULANTI ORALI
Gli anticoagulanti orali o dicumarolici (Warfarin- Coumadin e Acenocumarolo- Sintrom) sono farmaci in grado di modificare la capacità di coagulare del sangue, riducendo il rischio della formazione di trombi in pazienti che, per la loro malattia, corrono questo rischio.
La TAO serve a mantenere il sangue più fluido così da ridurre il rischio di formazione di trombi e coaguli all’interno dei vasi sanguigni (vene ed arterie).
La loro azione è basata sull’interferenza con l’attivazione di alcune sostanze (fattori della coagulazione) che servono per la formazione di un coagulo; queste, infatti, per essere attive hanno bisogno della vitamina K.
Gli anticoagulanti orali inibiscono l’azione di questa vitamina e quindi, indirettamente, rendono il sangue meno coagulabile. C’è quindi antagonismo tra dicumarolici (Coumadin e Sintrom) e vitamina K, che pertanto può essere usata come antidoto in caso di dosaggio eccessivo dei farmaci anticoagulanti.
La vitamina K di cui disponiamo è in parte introdotta con il cibo e in parte direttamente prodotta nel nostro intestino dai germi che normalmente vi abitano; questo ci consente di averne sempre la quantità necessaria.
I farmaci anticoagulanti non possono essere somministrati a dosi fisse come avviene invece per altri farmaci. Ogni paziente richiede una dose personalizzata di farmaco per raggiungere il livello di anticoagulazione adeguato. Infatti se da un lato questi farmaci prevengono la formazione di trombi dall’altro espongono l’individuo ad un aumentato rischio di emorragia.
Dose efficace di farmaco = sangue fluido = prevenzione trombosi senza rischio emorragia
COME SI MISURA L’EFFICACIA DEGLI ANTICOAGULANTI ORALI
L’azione di questi farmaci provoca un rallentamento della capacità di formazione del coagulo. Il loro effetto è molto variabile tra i diversi individui e può variare nel tempo anche per lo stesso individuo.
In altre parole, la quantità del farmaco necessaria per persona può essere molto diversa, con dosi anche dieci volte maggiori tra un individuo e l’altro.
Pertanto, per valutare l’efficacia del farmaco, è necessario fare riferimento non alla quantità assunta ma all’esame di laboratorio che misura il tempo che il sangue impiega a coagulare. Tale tempo viene misurato sul sangue tramite un esame chiamato Tempo di Protrombina (TP), che abitualmente troviamo espresso come 5 percentuale (attività protrombinica) o come INR.
L’INR rappresenta l’indice più sicuro e corretto di cui disponiamo. Questo è un rapporto tra il tempo di protrombina del paziente e il tempo di protrombina di una miscela di plasmi normali elevato alla potenza dell’ISI (International Sensitivity Index): il risultato è un numero che identifica la sensibilità del singolo kit utilizzato in laboratorio. Il tutto è espresso dalla formula: INR = TP paziente /TP soggetto normale.
PERCHE’ SI DEVONO ASSUMERE GLI ANTICOAGULANTI ORALI
Esistono alcune condizioni cliniche che hanno indicazione al trattamento con anticoagulanti orali. La TAO è utile nelle malattie che possono complicarsi con la formazione di “trombi” / “grumi di sangue” che staccandosi dalla loro sede provocano embolie nelle arterie, ostacolando la circolazione del sangue con conseguenze molto gravi.
I medici che pongono un paziente in trattamento anticoagulante orale (prescrivendo acenocumarolo o warfarin) generalmente puntano a raggiungere un INR stabilmente superiore a 2, ma non oltre il 3.
Tuttavia in particolari pazienti il target di INR che si vuole raggiungere può essere maggiore: è il caso ad esempio dei pazienti con valvola cardiaca meccanica il cui valore di INR deve essere compreso fra 2 e 3 (se in posizione aortica) e tra 2,5 e 3,5 (se in posizione mitralica o in correlazione con fibrillazione atriale).
INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI
Può capitare di dover prendere altre medicine oltre agli anticoagulanti orali. Si deve tener presente che queste possono modificare la risposta ai farmaci anticoagulanti, a volte con un aumento, a volte con una diminuzione dell’INR.
Perciò è necessario ridurre allo stretto necessario l’uso di altri farmaci, cercando di utilizzare quelli noti come sicuri. E’ importante tuttavia sapere che in caso di necessità qualunque farmaco può essere usato, con l’attenzione a effettuare controlli più frequenti dell’INR qualora si sappia che questo farmaco può interferire con gli anticoagulanti orali o, come accade molto spesso, quando non si è certi degli effetti che può determinare.
Consigliamo di attenersi ai consigli riportati sul libretto della terapia che prevedono:
- Come antipiretico: PARACETAMOLO
- Come antidolorifico: IBUPROFENE
- Come antibiotico: AMOXICILLINA
Si deve inoltre avere cura di evitare l’iniezione di farmaci per via intramuscolare, perché si possono creare ematomi profondi nel muscolo, molto fastidiosi.
Una nota a parte riguarda le vaccinazioni, che possono essere eseguite regolarmente, avendo cura di fare l’iniezione sottocute. In particolare non ci sono rischi nell’effettuare la vaccinazione antinfluenzale.
Redazione NurseTimes
Foto: pixabay.com
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