Riceviamo e pubblichiamo una nota del vice presidente dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico, dott. Carlo Pisaniello sulla sentenza n. 5329 del Tribunale Roma sez. lavoro, 6 giugno 2017
Poiché l’attività di coordinamento fa parte del profilo professionale di appartenenza, ossia il profilo D, il mero svolgimento di attività di coordinamento non può automaticamente dare diritto alle relative indennità, che invece presuppongono il conferimento formale di un incarico di coordinatore.
Presupposto per il riconoscimento dell’indennizzo quindi è l’assunzione di responsabilità del proprio operato, assunzione di responsabilità che può conseguire solo ad un incarico formale e non anche ad un ruolo di fatto, ruolo che come visto in sé è insito nelle mansioni proprie della categoria D.
Questa è la risultanza del Tribunale di Roma sez. lavoro n. 5329 del giugno 2017, che ha confermato semmai ve ne fosse ancora la necessità, la copiosa giurisprudenza in merito.
La ricorrente Ce. De. lavora dal 2004 presso il Policlinico Umberto I di Roma come infermiera, inquadrata nella categoria D con profilo di collaboratore professionale come previsto dal CCNL comparto sanità.
Con ricorso depositato in data 15 dicembre 2016 la ricorrente ha affermato che dal 2011, a seguito del pensionamento di alcune coordinatrici infermieristiche, è stata nominata responsabile del servizio di day hospital allergologia e di avere di fatto svolto il ruolo di coordinatore responsabile degli ambulatori e day hospital di allergologia, immunologia e reumatologia.
Ha affermato inoltre di non avere percepito per tale ruolo alcuna indennità aggiuntiva e di avere svolto funzioni di coordinamento fino al giugno 2015, allorquando è stata riassegnata ai turni quale semplice infermiera con sottrazione del ruolo di coordinamento e che ciò le ha causato una grave e profonda depressione con intenti suicidi.
Ha affermato poi il diritto a percepire per il periodo dal 1 settembre 2011 all’8 giugno 2015 l’indennità di cui all’art. 10 del CCNL – indennità di coordinamento – comparto sanità pari ad euro 12.394,96 ed inoltre, che la cessazione del ruolo di coordinatrice le ha causato un danno professionale e biologico, consistente nell’insorgenza di una patologia depressiva.
Ha convenuto quindi in giudizio l’Azienda Policlinico Umberto I chiedendo di accertare lo svolgimento di fatto di tali funzioni di coordinamento infermieristico dal 2011 al giugno 2015 e condannare l’Azienda al pagamento delle relative indennità oltre che al risarcimento dei danni non patrimoniali da liquidarsi in via equitativa.
Di contro l’Azienda ha preliminarmente eccepito la prescrizione quinquennale dei crediti maturati anteriormente al quinquennio precedente la notifica del ricorso dell’II gennaio 2017 e, nel merito, ha affermato l’infondatezza della domanda chiedendone il rigetto; in particolare, ha affermato che l’indennità di coordinamento spetta solo al personale che venga designato con un atto formale quale coordinatore ed ha inoltre contestato l’esistenza di un demansionamento, affermando che la ricorrente è stata assegnata a mansioni proprie della qualifica di appartenenza.
Il ricorso quindi verte su due domande distinte:
- il diritto a percepire l’indennità di coordinamento prevista dall’art. 10 del C.C.N.L. comparto sanità;
- il risarcimento del danno da demansionamento.
Il citato art. 10 dispone al primo comma: “…è prevista una specifica indennità per coloro cui sia affidata la funzione di coordinamento delle attività dei servizi di assegnazione nonché del personale appartenente allo stesso o ad altro profilo anche di pari categoria ed ove articolata al suo interno – di pari livello economico, con assunzione di responsabilità del proprio operato. L’indennità di coordinamento si compone di una parte fissa ed una variabile”.
Il secondo e il terzo comma poi, disciplinano la situazione relativa alla prima applicazione della norma contrattuale, cioè i presupposti per il riconoscimento dell’indennità nei confronti di coloro che alla data del 1 settembre 2001 svolgessero attività di coordinamento, prevedendo che in tal caso “l′indennità di funzione di coordinamento – parte fissa – con decorrenza 1 settembre 2001, è corrisposta in via permanente ai collaboratori professionali sanitari caposala – già appartenenti alla categoria D e con reali funzioni di coordinamento al 31 agosto 2001, nella misura annua lorda di L. 3.000.000 cui si aggiunge la tredicesima mensilità” e che “L’indennità di cui al comma 2 – sempre in prima applicazione – compete in via permanente – nella stessa misura e con la medesima decorrenza anche ai collaboratori professionali sanitari degli altri profili e discipline nonché ai collaboratori professionali – assistenti sociali – già appartenenti alla categoria D, ai quali a tale data le aziende abbiano conferito analogo incarico di coordinamento o, previa verifica, ne riconoscano con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001″.
Al di fuori quindi dalle ipotesi di applicazione della norma nella fattispecie in esame, posto che la ricorrente afferma di avere iniziato a svolgere funzioni di coordinamento dal 2009, il C.C.N.L. 2001 dispone che, la posizione di coordinamento utile ai fini del conseguimento dell’indennità di cui al citato art. 10, può essere conferita al personale in possesso di una esperienza nella categoria D di cinque anni, sulla base dei criteri stabiliti dall’azienda, di concerto con le organizzazioni sindacali.
La Suprema Corte in più occasioni ha chiarito che “In tema di indennità per incarico di coordinamento prevista dall’art. 10, comma 3, del CCNL Comparto Sanità biennio economico 2000-2001, stipulato il 20 settembre 2001, la disposizione contrattuale collettiva si interpreta nel senso che, ai fini del menzionato trattamento economico, il conferimento dell’incarico di coordinamento o la sua verifica con atto formale richiedono che di tale incarico vi sia traccia documentale, che esso sia stato assegnato da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente, e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonché del personale….” (Cass. 22 settembre 2015; 8 novembre 2013, n. 25198 e 27 aprile 2010, n. 10008).
In questo quadro il conferimento dell’incarico di coordinamento, del quale si parla nel comma 3 dell’art.10 del CCNL 20 settembre 2001, o la sua verifica con atto formale, vanno intesi, conformemente al significato complessivo della stessa istituzione dell’indennità, come indicatori della necessità che di tali incarichi vi sia traccia documentale e che essi siano stati assegnati da coloro che, secondo le linee organizzative dell’ente, avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente.
Il coordinamento, d’altra parte, come espressamente previsto dal comma 1, dell’art. 10 riguarda le “attività dei servizi di assegnazione e del personale … con assunzione di responsabilità del proprio operato”.
Il presupposto quindi per il riconoscimento dell’indennizzo è l’assunzione di responsabilità del proprio operato, assunzione di responsabilità che può conseguire solo ad un incarico formale e non anche ad un ruolo di fatto in sèche, come visto,è insito nelle mansioni proprie della categoria D.
Spesso infatti capita che in assenza del coordinatore referente per l’U.O. il personale infermieristico svolga le stesse medesime funzioni ed attività senza che per questo chieda le relative indennità.
Si deve pertanto concludere che il diritto in questione consegue solo alla nomina formale da parte dell’amministrazione datrice di lavoro, in quanto solo in presenza di un incarico formalmente conferito secondo le regole selettive individuate dall’Azienda, può affermarsi l’esistenza di una responsabilità del coordinatore in relazione all’andamento dell’ufficio.
Nella fattispecie in esame è pacifica l’assenza di qualsiasi conferimento in favore della ricorrente dell’incarico di coordinatore; avendo la stessa ricorrente ammesso di avere svolto di fatto tale incarico, senza alcuna formalizzazione, non si può affermare che spetti in favore della ricorrente l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 del C.C.N.L. citato.
Deve quindi essere rigettata la domanda volta al risarcimento del danno per demansionamento, non sussistendo nella privazione dell’incarico di fatto di coordinatrice alcuna ipotesi di demansionamento.
La ricorrente inoltre, non specifica neppure quale sia stata la sua attività prima del giugno 2015, in particolare in cosa sia consistito il ruolo di coordinatrice degli ambulatori; per quanto riguarda il periodo successivo al giugno 2015, si limita ad affermare che, a seguito della sottrazione del ruolo di coordinatrice, è stata nuovamente assegnata ai turni di infermiera.
Il demansionamento può configurarsi o attraverso la privazione di mansioni o attraverso l’assegnazione del dipendente a mansioni corrispondenti ad una qualifica inferiore, ovvero attraverso l’assegnazione di mansioni che, seppure formalmente equivalenti a quelle svolte in precedenza e corrispondenti alla qualifica di appartenenza, abbiano oggettivamente un contenuto professionale inferiore.
Nella fattispecie in esame, premesso che non è contestata la circostanza che la ricorrente sia prima che dopo il giugno 2015 abbia svolto mansioni infermieristiche proprie della qualifica di appartenenza (categoria D) di collaboratore professionale, l’assenza di qualsiasi indicazione in ordine alle concrete attività svolte sia prima che dopo preclude ogni possibilità di verificare se la lavoratrice sia stata o meno demansionata.
Peraltro, in tema di lavoro pubblico, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico.
Ne consegue che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 52, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico (Cass., 30 marzo 2015, n. 6367).
Applicando tale principio alla fattispecie in esame, la revoca dell’incarico di responsabile, trattandosi di un incarico accessorio alla qualifica di infermiere che non presuppone una maggiore e diversa professionalità, non può portare a ritenere sussistente una ipotesi di demansionamento, continuando il lavoratore a svolgere mansioni infermieristiche proprie dell’inquadramento.
Si deve evidenziare che il sesto comma dell’art. 10 del c.c.n.l. citato dispone che “L’indennità di coordinamento attribuita al personale dei profili interessati successivamente alla prima applicazione è revocabile in entrambe le componenti con il venir meno della funzione o anche a seguito di valutazione negativa”.
Dunque, la funzione di coordinatore, che la ricorrente possedeva solo di fatto, tanto da non dar luogo al godimento della relativa indennità, può venire meno anche a prescindere da una valutazione negativa, per cui una volta concessa il lavoratore non ha diritto a mantenerla.
Se allora, tale funzione può del tutto legittimamente cessare, per esempio anche in una ottica di turnazione degli incarichi, ne consegue che la revoca della stessa non potrebbe in ogni caso integrare un demansionamento che costituisce pur sempre una condotta illegittima da parte del datore di lavoro.
Infatti, la ricorrente ha sempre svolto funzioni infermieristiche proprie dell’inquadramento nella categoria D, così che la lamentata diminuzione della professionalità è pur sempre da inquadrare all’interno delle stesse mansioni di infermiera.
Ciò premesso, poiché la ricorrente lamenta la fulminea insorgenza di una gravissima forma di depressione con intenti suicidi, appare assolutamente inverosimile collegare tale patologia ad una mera modifica organizzativa che ha pur sempre riguardato lo svolgimento di mansioni omologhe di infermiera.
Per tali ragioni il tribunale rigetta il ricorso e la ricorrente Ce. De., soccombente, è condannata al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma convenuta, liquidate in dispositivo sulla base dei parametri di cui al d.m. 10 marzo 2014 n. 55 (valore della causa indeterminato) in E 4.039,00, di cui E 527,00 per spese generali, oltre IVA e CPA come per legge.
La sentenza in oggetto è una ulteriore conferma di quello che predichiamo da diversi anni, molti colleghi infatti per lo più sindacalizzati, in barba ai requisiti sostanziali e formali che tale assegnazione comporta, cedono alle lusinghe dei vari amm.ri aziendali svolgendo di fatto ruoli di coordinamento senza le relative lettere di incarico, ciò comporta che in prima istanza si verifica una riduzione di fatto del numero delle risorse umane assegnate a quella specifica U.O. gravando quindi sugli altri componenti dell’equipe tutto il peso della mancanza di una unità infermieristica che è collocata fuori turno per svolgere incarichi e compiti meramente organizzativi, in seconda istanza, lo svolgimento del ruolo che di per sé rappresenta una fictio iuris, innesca meccanismi di conflittualità interpersonali anche molto accesi, proprio in virtù del fatto che solo soggettivamente il ruolo è vissuto come reale, mentre in realtà dagli altri componenti del gruppo, è visto solo come un semplice svolgimento di mansioni appartenenti al medesimo profilo professionale.
La stessa identica situazione si palesa quando si ha a che fare con i vicari dei coordinatori, ossia, i c.d. “aiuto capo sala” figure mitologiche del sistema sanitario nazionale e privato che,a seguito della nomina illegittima conferita oralmente dal coordinatore al primo collega che si rende disponibile, di fatto, si sentono investiti di una autorità ed una potestà che non ha riscontro alcuno in nessuna disposizione contrattuale o giurisprudenziale.
Ma tant’è, le abitudini e le modalità attraverso le quali si svolge spesso l’azione della pubblica amm.ne non sempre sono correlate al ruolo e alle capacità,spesso sono la risultanze di attività di public relation sindacali che per fortuna non si pongono mai, o quasi, al di sopra delle diposizioni legislative o contrattuali e che quindi possono essere facilmente ricondotte nell’alveo della legalità azionando i meccanismi previsti dalla legislazione vigente.
Dott. Carlo Pisaniello
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